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La cittadella indigena di Cozzo Matrice

Nel cuore della Sicilia c’è un importante sito archeologico posto a nord del lago di Pergusa, sulla collina di Cozzo Matrice. Si tratta di una necropoli rupestre greco indigena risalente al VII/VI sec.a.C. (datazione attribuita a Paolo Orsi e Bernabò Bea), da cui si può ammirare sia il lago e l’antica città di Henna sia il vulcano Etna e il mar Ionio.

Di fronte all’antica acropoli di Henna su una grande spianata è stato rinvenuto un santuario rupestre, simile a quello scavato sotto il castello di Lombardia: entrambi sono dedicati al culto delle dee ctonie Demetra e Persefone. Infatti proprio il nome Cozzo Matrice ricorda il mito della madre Demetra che liberò la figlia Persefone dall’oltretomba dove la voleva confinata lo sposo Ade dopo averla rapita sulle sponde del lago di Pergusa. A tramandarci il mitico avvenimento del ratto è stato Diodoro Siculo il quale indicò il luogo da cui emerse il carro di Plutone dagli inferi, un pianoro alto e scosceso da tutti i lati ove si apriva una spelonca da cui comparve il dio. Recependo le suggestioni del passo si indicherebbe nella grotta sulla sommità di Cozzo il luogo dove la religiosità greca ha localizzato la narrazione del mito.

Ma, uscendo dal perimetro urbano, si sono rinvenute altre testimonianze: un altro santuario rupestre dedicato alle due dee, utilizzato per i riti funerari, tombe a camera con le porte coronate come nei templi ellenici, ricchi corredi dei defunti contenenti vasi greci e indigeni.

Tutto ciò fa pensare che la comunità indigena avesse contatti culturali e scambi commerciali con le poleis fondate dai Greci sulle coste siciliane sin dall’VIII sec. A.C. Con il passare del tempo a causa delle lotte tra i Siculi e le colonie greche di Siracusa e Gela si arrivò al declino e allo spopolamento di Cozzo Matrice i cui abitanti si trasferirono sulla montagna di Enna per la loro sicurezza.

Ma chi volesse recarsi a visitare questi luoghi così suggestivi e carichi di testimonianze remotissime riscontrerebbe che il percorso di visita ai santuari, alle tombe alle fortificazioni giace in uno stato di grande abbandono. A segnalarlo (link) è l’archeologa Francesca Valbruzzi, già funzionaria presso il Museo interdisciplinare regionale di Messina, ma che dal 2005 al 2021 ha lavorato presso la sezione Beni Archeologici della Soprintendenza di Enna ed è stata tra le promotrici del progetto di valorizzazione del sito di Cozzo nel 2015. Purtroppo dei 500.000 euro di finanziamenti ottenuti dalla Soprintendenza di Enna su fondi PO FERS 2007/2014 è stata utilizzata solo una parte, per realizzare la recinzione e le strutture di fruizione oggi molto degradate. Le residue somme non sono state spese per ragioni burocratiche.

Un’altra richiesta di 1 milione di euro sui residui non impegnati dei fondi PON è stata avanzata nel 2017. In questo progetto si prevedeva la realizzazione di una app per le visite del sito, ma anche la costruzione di un laboratorio di archeologia sperimentale collocato in un rudere da ristrutturare , per attivare campi scuola di archeologia per le scuole. Affidate ad associazioni culturali senza scopo di lucro, avrebbero messo in moto un percorso virtuoso di ricerca, conoscenza e fruizione del sito.

Purtroppo anche questo progetto – conclude Valbruzzi – pur completo di tutti gli elaborati non è mai stato presentato dalla Soprintendenza di Enna.

Oggi il sito è stato affidato alla gestione del Servizio Parco archeologico di Morgantina e della Villa del Casale, che ha già tanti problemi per proteggere i mosaici e i resti archeologici di Piazza Armerina e Aidone e non riesce ad occuparsi dei “siti minori” di Cozzo Matrice, Realmese, Montagna di Marzo, Filosofiana, Runzi e Troina.

Perché abbandonare questa memoria storica emersa dalle profondità dei millenni grazie al lavoro degli archeologi e così importante per la presenza di monumenti urbani realizzate dalle prime comunità indigene dell’isola?

Argo

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