Del naufragio avvenuto nella notte del 19 agosto del mega-yacht Bayesian, nave a vela di 56 metri di lunghezza, al largo di Porticello, 20 chilometri da Palermo, abbiamo seguito, giorno dopo giorno, l’evolversi della tragedia, sino al recupero delle vittime, mentre, ancora oggi, i mezzi di comunicazione forniscono particolari sull’andamento delle indagini. Tutte e tutti abbiamo visto, e apprezzato, l’impegno continuo e ininterrotto, come è giusto che sia, per recuperare i corpi dispersi.
Scrive L’Avvenire: “Sempre in mare si dovrebbe agire così, sempre si dovrebbe palpitare per la sorte dei naufraghi, sempre bisognerebbe ricoverare a terra gli scampati il più presto possibile”.
Ed è proprio di questo che vogliamo parlare, di una ‘società dello spettacolo’, qualcuno ha parlato di pornografia del dolore, che anche di fronte alle tragedie implementa la pratica dei due pesi e delle due misure. Sappiamo che c’è il rischio di assumere toni retorici, ma c’è una ‘sostanza’ di cui non si può tacere. Perché non condividiamo per nulla la scelta di richiamare la nostra (breve) attenzione solo quando tocca per un istante le nostre superficiali coscienze.
Nota Mem Med (Memoria Mediterranea): “Le medesime ricerche, notizie e attenzioni non vengono rivolte a chi non attraversa quel mare in vacanza e che non ci annega per maltempo, a chi muore per le politiche che, in quel Mediterraneo, contrastano deliberatamente la libertà di muoversi di chi lo attraversa con un gommone o un mezzo di fortuna. […] Nella nostra Sicilia che conta naufragi periodici, alziamo l’attenzione sui naufragi fantasma di cui nessuno parla se non per alimentare razzismo e odio nei confronti di chi tenta la traversata per la sopravvivenza e in nome della libertà”.
In effetti, è insopportabile, prosegue L’Avvenire: “che queste basilari regole di umanità non valgono per tutti. Colpisce la distanza tra la giusta empatia rivolta ai passeggeri dello yacht e il trattamento politico, mediatico, e si potrebbe dire ‘antropologico’ riservato ai naufraghi dei viaggi della speranza dalla costa sud del Mediterraneo. Scaricabarile tra governi, incessanti tentativi di addossare l’onere dei soccorsi alle autorità dei paesi da cui salpano le imbarcazioni (Libia, Tunisia, Egitto, Turchia…), arrivando a ritardi, omissioni, disimpegno delle navi in transito. Monta sempre più l’indifferenza per la sorte delle persone che affrontano il mare per cercare asilo in Europa, e i loro naufragi fanno sempre meno notizia”.
Visto che soccorsi, compassione e accoglienza dei sopravvissuti non sono uguali per tutti e le navi umanitarie sono costantemente sotto attacco e il loro impegno è reso sempre più difficile, siamo di fronte alla realizzazione della “politica dello scarto” di cui ha parlato il Papa?
Dobbiamo accettare l’idea che la mobilità degli esseri umani dipende dal passaporto e dal portafoglio?
Noi, con i nostri limitati mezzi, continueremo a parlare – e indignarci – per chi ogni giorno parte senza mai arrivare, per chi non ha un nome perché non appartiene alla parte ricca del mondo.
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