48.940 nel 2022, 101.637 nel 2023, 37.818 nel 2024. Questi gli sbarchi dei migranti nelle coste italiane sino al 15 agosto di ogni anno. Assenti i dati rispetto agli arrivi “via terra”, dalla cosiddetta rotta balcanica. Sulla base di questi numeri, nella tradizionale conferenza del 15 agosto, il Ministro degli Interni Piantedosi ha espresso grande soddisfazione.
“Solo quest’anno è stata impedita la partenza di quasi 60mila migranti dalle coste di Libia e Tunisia […] Ci confortano inoltre i risultati raggiunti sul fronte dei rimpatri che fanno segnare un aumento del 20%, anche grazie alle recenti operazioni straordinarie condotte da tutte le Questure per allontanare dal nostro Paese i migranti irregolari”, ha detto.
Tutto bene, allora, anche per chi teme l’invasione?
Partiamo dai rimpatri. Secondo Skytg24 sarebbero addirittura in calo. Ma anche accettando le cifre fornite dal Ministro, non è chiaro di quali significativi successi si stia parlando. I rimpatri forzati hanno coinvolto poco più di 2500 persone, a fronte di circa mezzo milione di migranti presenti in Italia privi di permesso di soggiorno.
Gli arrivi via mare, invece, sono indubbiamente diminuiti. Cerchiamo di capire come e perché.
Non certo perché siano migliorate le condizioni di vita nei paesi africani e asiatici, dove ai problemi esistenti si vanno aggiungendo quelli creati dal cambiamento climatico, dalla siccità alle alluvioni, le due faccie di un’unica medaglia che prevede l’innalzamento abnorme delle temperature di cui anche noi cominciamo ad assaggiatìre gli effetti. Ne conseguono, impossibilità di coltivare le terre, eventi estremi che inducono all’abbandono di molti territori, spinta all’emigrazione.
A questo si aggiungono i tanti conflitti regionali in atto nel continente africano, che, come nel caso del Sudan, stanno producendo centinaia di migliaia di profughi,
Se le cause che spingono a lasciare il Sud del mondo non cambiano, a cosa è dovuta la diminuzione degli sbarchi? Innanzi tutto ai terribili meccanismi di controllo esercitati dai paesi da cui avvengono le partenza, soprattutto Libia e Tunisia, ai quali l’Italia offre vantaggi economici in cambio del contrasto dell’immigrazione.
Scrive Fulvio Vassallo Paleologo: “Nelle ultime settimane la sedicente Guardia costiera libica, e la Guardia costiera tunisina, dotate di mezzi forniti ed assistiti dall’Italia, hanno bloccato in acque internazionali migliaia di persone, riportandole a terra in condizioni di estrema vulnerabilità, esposte agli abusi delle forze di polizia ed al ricatto dei trafficanti”.
Secondo “un rapporto dell’UNHCR, dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e del MMC (Mixe migration center)” prosegue Vassallo “tra il 2020 e il 2023 le morti di migranti e rifugiati nel deserto sahariano sarebbero almeno il doppio rispetto a quelle che avvengono nel Mediterraneo”. E’ infatti nel deserto che viene abbandonato un numero crescente di coloro che hanno cercato o vorrebbero ancora lasciare l’Africa.
“Scaricamenti nel deserto” (Desert Dumps) praticati anche da Marocco e Mauritania, con mezzi e risorse forniti da Bruxelles, documentati da una inchiesta di grandi testate internazionali con foto, video, tracciamenti satellitari e sopralluogi sul posto.
A questi numeri si aggiungono quelli di coloro che ancora muoiono nel Mediterraneo; dall’inizio del 2024 fino al 6 luglio, sono stati 399 i morti e 487 i dispersi.
Possiamo davvero dirci soddisfatti ?
Tutta l’azione del governo italiano – denuncia Vassallo Paleologo – si basa su una rete di complicità e sul coinvolgimento di regimi autoritari come quello di Saied in Tunisia, Dbeibah e Haftar in Libia, Al Sisi in Egitto (non dimentichiamo la sorte di Giulio Regeni), la cui collaborazione “si ritiene necessaria per potere spacciare al proprio elettorato i ‘successi’ nella riduzione degli arrivi di ‘irregolari’.
Il costo di questa collaborazione è il silenzio su veri e propri misfatti che distruggono tutte le conquiste che la civilissima e cattolica Europa ha fatto negli ultimi decenni. Delegandoli a libici e tunisini, vengono accettati i respingimenti collettivi, non ammessi dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU), il trattato internazionale che, dal 1950, tutela i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa. Viene di fatto cancellato il diritto di asilo, “dietro la cortina fumogena della categoria dei ‘paesi sicuri’”, e prosegue la “serie inarrestabile di naufragi e di abusi sulle persone intercettate in mare e riportate nei campi di detenzione in Libia e Tunisia”.
Ciò avviene talvolta con metodi sconcertanti, come nel caso dell’episodio dello scorso mese di aprile, quando motovedette libiche hanno sparato sul gommone dei soccorsi della Mare Jonio e sul gommone dei naufraghi, utilizzando, peraltro, una imbarcazione messa a disposizione dall’Italia.
A completare questo quadro di negazione dei più elementari diritti umani, si aggiunge il trattamento vessatorio imposto dal governo Meloni alle navi umanitarie. Fallito, anche nei tribunali, il tentativo di collegare le ONG (Organizzazione Non Governative) ai trafficanti di esseri umani (ricordate le navi definite ‘taxi del mare’), oggi il nostro governo costringe le navi umanitarie, dopo aver salvato i naufraghi, a precorrere migliaia di chilometri imponendo scali portuali molto distanti dai luoghi del soccorso.
Due i risultati ottenuti: tenere le navi il più lontano possibile dall’area dei soccorsi e rendere finanziariamente insostenibili le missioni. Con la conseguenza di rendere meno tempestive ed efficaci le cure e l’assistenza alle quali i migranti, già più che provati da quanto subito in precdenza, avrebbero diritto.
Scrive La Repubblica: “Le rilevazioni effettuate con il sistema di tracciamento Osint dal giornalista di Radio radicale Sergio Scandura mostrano, negli ultimi tre mesi, sette viaggi su e giù dal Mediterraneo al nord Italia per la Geo Barents di Msf, sei per la Humanity 1, cinque per la Ocean Viking, […] I conti sono presto fatti: più di otto milioni di euro di spese aggiuntive nel 2023, 150.000 chilometri percorsi senza motivo («pari a tre volte e mezzo il giro del mondo»), 374 giorni di assenza forzata dalla zona di ricerca e soccorso nell’anno che ha fatto segnare il record di morti con oltre 2.500 persone che hanno perso la vita”.
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Disperante
Con tutti soldi che diamo a questi governi per fermare le partenze, li potremmo mantenere nel nostro paese. O risparmiare questi soldi e farli lavorare, in regola. Ma, lo vogliamo? O siamo ipocriti oltre che razzisti?