Tra i canti popolari recuperati e cantati da Rosa Balistreri, “Signuruzzu chiuviti chiuviti” ci è parso di particolare attualità. Per lei, nata a Licata, la città in cui – nel dopoguerra – l’acqua arrivava anche ogni 40 giorni, quello dell’acqua era un problema molto sentito. Ma lo era per tutta l’isola, e proprio per l’acqua così come per la terra furono combattute le battaglie organizzate da Danilo Dolci per contrastare l’accaparramento delle risorse vitali da cui la maggior parte del popolo contadino era esclusa.
“Signuruzzu chiuviti chiuviti” è strutturata come una preghiera rivolta ad un Dio pietoso che può mandare la pioggia, una pioggia “bona, senza lampi e senza trona”, che disseti la terra e gli alberi morti di sete, permettendo agli uomini di avere il pane.
Di questo canto vi facciamo oggi riascoltare l’interpretazione che ne ha dato Etta Scollo durante il concerto organizzato al Monastero dei Benedettini nell’estate 2017, per il novantesimo anniversario della nascita di Rosa Balistreri, in cui si è esibita in trio con Cathrin Pfeifer alla fisarmonica e il polistrumentista Fabio Tricomi, al liuto, tamburello, marranzano.
Prima dell’esecuzione Etta Scollo descrive il contesto in cui veniva cantata questa “preghiera dei bambini per invocare la pioggia”, quando – come racconta l’etnomusicologo Alberto Favara – nel periodo più caldo dell’estate, si usava portare le sedie fuori dalla porta e si appoggiavano su queste sedie delle candele accese.
Ma Etta ha con questo canto anche un legame personale, che ci racconta in una testimoninanza molto spontanea.
“Il mio legame con questo brano è dato da un inedito che il mio amico e mentore, il giornalista Pasquale Marchese, mi aveva fatto ascoltare a Partinico quando ero ospite nel suo mulino ad acqua del Cinquecento. Lui che (come nessun altro) fu conoscitore e amico intimo di Rosa Balistreri, tanto che – insieme a Ignazio Buttitta e Ciccio Busacca – avevano preparato insieme gli spettacoli di Rosa e Ciccio, da lui poi divulgati attraverso i suoi articoli su L’Ora e tramite la sua etichetta editoriale ‘Libri siciliani’.
Pasquale mi raccontò molti aneddoti su questo brano tra cui il fatto che proprio nella zona di Borgetto e Partinico non c’era mancanza d’acqua bensì un problema per la troppa e mal gestita abbondanza dell’acqua con rischio di malaria. Questo suo racconto lo pubblicai nel mio libro “Voci di Sicilia” che uscì nei paesi di lingua tedesca nel 2020.
Pasquale mi raccontò dunque che Rosa, da ragazza, cantava questo pezzo quando ancora non aveva una sua chitarra e chiedeva ad un amico del paese, musicista di matrimoni, di prestarle la sua. Lui si rifiutava perché aveva paura che lei potesse rovinargliela e Rosa provò a convincerlo dicendogli che l’avrebbe toccata con la stessa cura con cui si prende un bimbo in braccio.
Questa storia mi ispirò a suonare il brano tenendo la chitarra sulle ginocchia proprio come si fa con un bambino e suonandola solo con un dito, dunque accarezzandola, immaginando che Rosa unisse nel suo canto, tanti sentimenti: l’amore per la propria terra, la rabbia per il problema della siccità, che tiene il popolo siciliano appeso come un cappio al collo, la disperazione di chi non sa a chi rivolgersi se non a Gesù bambino, sperando che almeno lui venga loro in soccorso.”
Ancora più personali i racconti successivi. “Io ricordo benissimo gli anni della mia infanzia a Caltanissetta, con l’acqua che si raccoglieva nella vasca da bagno, che mia madre riempiva ogni sabato e che doveva servire per lavarci noi tutti e per lavare i pavimenti, dopo.
Avevo tre anni quando scivolai dentro la vasca piena d’acqua e lo ricordo benissimo, mia madre fece in tempo ad acciuffarmi e ad asciugarmi contenta del fatto che neanche la mia canottiera si fosse bagnata, tanto tempestiva lei era stata. La sua dolcezza e premura rimangono indelebili in me.
Ricordo inoltre che poi a Catania, dove avevamo un serbatoio per l’acqua, che eravamo sempre attenti ad utilizzare con estrema parsimonia, (metodo tra l’altro utilissimo per imparare oggi come si debba gestire l’acqua), avemmo finalmente l’acqua corrente. Ricordo che mia madre un giorno lasciò il rubinetto aperto mentre svolgeva altre mansioni, io le chiesi il perché di quel gesto inconsueto e lei mi rispose “ma perché adesso abbiamo l’acqua corrente”. In quella risposta, apparentemente irrazionale, si nascondeva la liberazione da uno stato di perenne sofferenza e restrizione, il piacere di un momento spensierato, il rumore dell’acqua che scorre senza preoccupazioni, un lusso, una sorta di rivincita contro tutti gli anni della sua vita passati a centellinare ogni goccia d’acqua.
Oggi dedico a mia madre questo brano e spero che i governanti della nostra città, della nostra isola, del nostro paese, anziché voler costruire “ponti verso il nulla”, investano in strutture idriche e di depurazione, e anche nella messa a punto concreta delle normative per la protezione dell’ambiente, per il dramma climatico che viviamo, per la lotta sul territorio alla criminalità organizzata del controllo dell’acqua, agli incendi dolosi, alla “mafia dei pozzi” e quant’altro.
Etta Scollo, agosto 2024
Un momento del concerto per Rosa del 2017
Il concerto del 2017 si può ascoltare per intero a questo link
Con Etta Scollo, su Argo, leggi anche Il viaggio di Maria
e Etta Scollo e Vincenzo Consolo, nella gioia luminosa dell’inganno
Signuruzzu, chiuviti chiuviti
Ca l’arbulicchi su morti di siti
Mannatinni una bona
Senza lampi e senza trona
Mannatinni una bona
Senza lampi e senza trona
L’acqua di ncielu sazìa la terra
Funti china di pietà
Li nostri lacrimi posanu nterra
E Diu nni fa la carità
Signuruzzu, ‘un nni castigati
Ca lu panuzzu nni livati
Signuruzzu, chiuviti chiuviti
Ca l’arbulicchi su morti di siti
Mannatinni una bona
Senza lampi e senza trona
Mannatinni una bona
Senza lampi e senza trona
L’acqua di ncielu sazìa la terra
Funti china di pietà
Li nostri lacrimi posanu nterra
E Diu nni fa la carità
Li nostri lacrimi posanu nterra
E Diu nni fa la carità
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