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Innocence, un film per comprendere il dramma di Gaza

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A luglio, presso il cine arena Corsaro di Catania, il Comitato catanesi solidali con il popolo palestinese ha organizzato la proiezione del film Innocence, del regista israeliano Guy Davidi. Un film che ricostruisce le storie di ragazze e ragazzi che crescono all’interno di una società fortemente militarizzata. Girato nel 2022, tratta temi di particolare attualità, visto ciò che sta avvenendo nella striscia di Gaza.

Salvatore Distefano (docente e presidente dell’Associazione etnea studi storico-filosofici), presente alla proiezione, propone ai lettori di Argo le seguenti riflessioni.

All’uscita dell’arena Corsaro, eravamo tutti abbastanza sconvolti dopo aver assistito alla proiezione del film Innocence. In effetti, si tratta di un docu-film molto bello, “duro”, di quelli che ti costringono a riflettere e a tentare di capire com’è fatto il Mondo nel quale viviamo e a trovare delle soluzioni, per quanto è possibile, “al male di vivere”.

  1. Gli autori scelgono di mostrarci la società israeliana senza dover fare riferimento al “nemico”, tranne nelle scene finali, e quindi ciò che accade è “autonomo”, non dipende da ciò che hanno fatto “i nemici”. Per dirci che Israele è così, per sottrarre lo spettatore allo schema azione-reazione. Ci fa vedere quello che è Israele dalla sua nascita: uno stato militarista, bellicista, guerrafondaio, in possesso di armi ultra-sofisticate, addirittura l’arma atomica!, nato per affermare una supremazia verso il mondo arabo circostante in virtù dell’ideologia sionista, impregnata di razzismo, e di una religione che non afferma l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Non per caso, c’è il parallelismo tra il cammino dello stato di Israele e il cammino degli esseri umani che prima bambini, poi adolescenti e infine adulti, guarda caso avranno come sbocco “necessario” l’arruolamento nell’esercito e la guerra a tutti quelli considerati i nemici dello stato ebraico per cui “l’arabo buono, è l’arabo morto”. Ripeto: il film ci dice che questa è la natura dello stato di Israele, ci parla della “realtà effettuale della cosa”, liberandoci di quella retorica secondo la quale la società ultra-militarizzata è la risposta indispensabile agli attacchi cui lo stato sionista è continuamente sottoposto.
  2. Il docu-film è in gran parte incentrato su come funziona la scuola e fa vedere – le immagini sono eloquenti e si riferiscono alla vita reale – in che modo avviene la formazione delle nuove generazioni, dalle scuole materne al completamento degli studi superiori, che hanno come sbocco “naturale” l’arruolamento e il relativo addestramento nell’esercito: dunque, imparare a sparare e a uccidere. E quasi nessuno rifiuta questo itinerario: chi si sottrae viene di fatto escluso dalla società e “costretto” a suicidarsi. Al contrario, viene inoculato “il bisogno di socialità” su basi fortemente religiose, – e dunque fideistiche e guerresche -, fondato sulla guerra, sulle armi, svuotando a tal punto le capacità critiche dell’universo giovanile, che anche una ragazza non vedente si sente parte del gruppo nel momento in cui spara come gli altri.
  3. La visione del docu-film ha fatto subito correre la mente di molti dei presenti, in quanto docenti di vari ordini e gradi di scuola, a quello che potrebbe accadere in Italia nei prossimi anni, visto ciò che denuncia l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole a proposito di ciò che viene organizzato da diverse istituzioni scolastiche da qualche tempo.

Attenzione però, perché se è giusto coltivare una vigile preoccupazione su quanto di negativo avviene nelle nostre scuole, è anche vero che la situazione italiana è radicalmente diversa da quella descritta nel docu-film e quindi c’è lo spazio non solo per non arrendersi, ma addirittura per ribaltare la situazione.

Infatti: l’Italia è nata sull’onda della lotta al nazifascismo e la nostra Costituzione ha un impianto complessivamente pacifista e i suoi fondamenti sono il lavoro, la solidarietà, l’uguaglianza e il ripudio della guerra. Ancora: da noi (articolo 8) “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, mentre nello stato israeliano la religione spinge allo scontro e all’eliminazione dell’altro (rinvio a ciò che ha scritto un eminente intellettuale come Todorov). Da noi vige il principio dell’eguaglianza (articolo 3) e della solidarietà (articolo 2) e siamo contro qualsiasi forma di apartheid; e poi la Costituzione, agli articoli 33 e 34, proclama che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. […]”; e certo lo scopo della conoscenza non è quello di saper fare la guerra, ma di conquistare l’egemonia culturale a partire da uno studio che ha radici nel mondo classico, rinascimentale e moderno.

Allora il docu-film intanto ci dice, a mio avviso, che tra l’Italia, pur con gli arretramenti degli ultimi decenni, e Israele c’è ancora una enorme distanza e che assumendoci le nostre responsabilità nell’assolvere pienamente la funzione di docente, “de te fabula narratur”, abbiamo la possibilità di difendere la scuola democratica dall’assalto reazionario, proteso a distruggere le basi della Repubblica, il pensiero critico e la cultura della pace.

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