Con Decreto del Presidente della Regione, due giorni fa (18 giugno 2024) è stato ricostituito il Consiglio Regionale dei Beni culturali, che – dal 1977- svolge in Sicilia il ruolo dell’omologo Cosiglio nazionale.
Un ruolo non da poco, viste le funzioni che dovrebbe assolvere. Si va dalla formulazione del Piano regionale per la tutela, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la loro fruizione sociale, alle indicazioni sui criteri di assunzione e formazione del personale scientifico; dalle proposte legislative sul risanamento dei centri storici alla difesa delle coste; dall’istituzione di parchi naturali e archeologici, fino all’organizzazione dei musei, Gallerie e biblioteche. E potremmo continuare. Ne fa un elenco preciso il volume “Utopia e impostura. Tutela e uso sociale dei beni culturali in Sicilia al tempo dell’autonomia” di Francesca Valbruzzi e Paolo Russo (Roma 2019), un testo che ricostruisce la nascita e l’evoluzione del sistema di tutela in Sicilia, di competenza esclusiva della Regione dal 1975. Come si evince già dal titolo, viene ripercorsa una vicenda che ha suscitato grandi speranze, con le innovative leggi regionali di fine anni Settanta, e grandi delusioni per la successiva degenerazione, in cui le competenze scientifiche sono state sacrificate allo “imperio del ceto politico”.
Ne è esempio anche l’evoluzione di questo organismo, il Consiglio Regionale, la cui composizione era, in origine, modellata sul suo corrispettivo nazionale, aperto – fino ad oggi – alla partecipazione di una larga rappresentanza della società. Ne facevano parte rappresentati degli enti locali, del mondo scolastico e sindacale; docenti universitari ed esperti di materie dei beni culturali; rappresentanti del personale scientifico delle Soprintendenze ma anche rappresentanti di associazioni culturali come Italia Nostra, l’associazione italiana biblioteche e Istituti di alta cultura esistenti in Sicilia.
Una composizione vasta, motivata dal fatto che si intendeva costituire una sorta di tavolo di lavoro a cui i vari soggetti potessero portare il loro contributo di competenze, utili a programmare interventi di ricerca, catalogazione, tutela, conservazione, restauro e fruizione del patrimonio culturale e paesaggistico della regione.
Nel 2015 il Governo Crocetta, tramite una norma inserita nella finanziaria, ridusse drasticamente il numero e la qualità dei componenti, e quindi anche la rappresentatività sociale e culturale di questo ‘organo di indirizzo dell’esecutivo’. Difficile che ci fosse alla base una motivazione economica, visto che l’incarico di componente del Consiglio era a titolo gratuito e prevedeva soltanto indennità per le spese di viaggio.
Ma, con la giustificazione che si trattava di un organismo pletorico, il Consiglio era stato di fatto già sopresso. Dal 2009 al 2017, infatti, gli assessori in carica non lo avevano rinnovato trasferendone le funzioni direttamente all’esecutivo, con il chiaro intento di riservare in esclusiva al ceto politico le scelte in materia di programmazione e quindi la destinazione delle risorse economiche.
Ora è stato rinnovato con le nuove nomine dei componenti: gli assessori all’economia e ai beni culturali e i Presidenti delle relative Commissioni ARS, il dirigente generale dei beni culturali, quattro docenti universitari di cui tre archeologi, i rappresentanti degli ordini degli architetti. degli ingegneri e degli avvocati.
Risalta la mancanza di importanti figure specializzate nei beni culturali, quali storici dell’arte, bibliotecari, restauratori, antropologi e dei rappresentanti della società civile.
Per stimolare ed aiutare il nuovo Consiglio nell’espletamento dei difficili compiti assegnati, le associazioni nazionali più attive nel promuovere il dibattito sulle politiche culturali in Sicilia hanno manifestato ai membri del Consiglio la volontà di discutere le proprie proposte per la necessaria riforma del sistema regionale di tutela.
Le possibili soluzioni ai problemi del settore dei beni culturali sono state condensate dalle associazioni Confederazione Italiana Archeologi, Italia Nostra, Memoria e Futuro, Ranuccio Bianchi Bandinelli , Emergenza Cultura, Icom Italia, nell’appello, pubblicato a questo link, che ha ricevuto un centinaio di adesioni.
L’idea di fondo che ne emerge è che non servano nuove disposizioni legislative ma che, per tutelare e “dare valore” al patrimonio culturale, garantendone anche l’uso sociale, sarebbe sufficiente applicare la normativa esistente, regionale e nazionale.
Leggi anche l’interrogazione parlamentare sui “professionisti dei beni culturali” presentata all’Ars dal gruppo dei deputati Pd, in cui – in modo circostanziato – si denuncia l’opera sistematica di smantellamento degli organi regionali di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e si chiede la sospensione in autotutela degli atti amministrativi con cui sono stati decisi gli affidamento degli incarichi di elevata professionalità a prescindere dai requisiti previsti per legge.
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Condivido pienamente e ho aderito al l'appello delle associazioni