A cosa serve, se ancora serve, l’istituzione museale? Lo spazio museale è ancora sentito come “impareggiabile risorsa collettiva contro l’azione distruttiva del tempo”?
Perchè abbia luogo questo rinvio all’eternità, è necessario evitare che “il Museo, e la Storia che questo mette in scena, vengano strumentalizzati, per fini di utilità personale o politica, come putroppo accade spesso con gli Stati odierni che, con le loro sponsorizzazioni ai musei, vogliono più che altro ottenere la rappresentazione di se stessi. “Un obiettivo non buono né innocente”.
Ce lo ricorda l’acronimo HMHNS (Hoc Monumentum Haeredes Non Sequitur, ‘questo monumento non passa in proprietà agli eredi’) , preso probabilmente in prestito, negli anni Settanta del 1700, da una lastra tombale latina e utilizzato nell’apertura del Museo Clementino, che avrebbe raccolto la massima collezione di antichità d’Europa.
Così si è espressa Francesca Valbruzzi, archeloga e amica di Argo, nell’intervento pronunziato in occasione della presentazione ( Palazzo Branciforte, 13 giugno 2024) dei tre volumi che raccolgono le lezioni tenute dai docenti del Corso triennale di Alta formazione di Museologia e Museografia che ha avuto luogo a Palermo, Palazzo Butera, negli anni 2020- 2021- 2022.
Voluto da Valter Curzi (direttore della Scuola di specializzazione in Beni storico Artistici della Università La Sapienza) per colmare una grave lacuna del sistema universitario di formazione dei professionisti dei beni culturali e per offrire l’opportunità di una riflessione critica sulla moderna museologia, è stato arricchito da diversi contributi tra cui quello della nostra relatrice.
Valbruzzi ha colto l’occasione per ricordare l’importanza del ruolo degli storici dell’arte e degli archeologi nel Museo contemporaneo. Un ruolo necessario alla sua stessa sopravvivenza, ma “disconosciuto in primis dal Ministero della Cultura che nei recentissimi bandi per le Elevate Professionalità esclude proprio le figure professionali degli storici dell’arte e degli archeologi, rimarcando la loro funzione accessoria, quindi subalterna, ad informatici, statistici, biologi, chimici, fisici, geologi, architetti, restauratori, ingegneri, e ingegneri gestionali richiesti dal concorso per vicedirigenti”.
Cosa rimane oggi della politica culturale delle riforme degli anni settanta, sviluppate per collegare i musei al territorio e alle comunità? Si è chiesta. Rimane ben poco, e prevale la prospettiva dell’intrattenimento, con il “rischio costante dell’effetto ‘luna park’, favorito dall’utilizzo sempre più invadente della multimedialità”.
Gli utenti perdono così la percezione della complessità e del ruolo quasi sacrale del museo come luogo di accesso ad un “insieme di valori che richiede una sorta di iniziazione”. Vero è che questo ruolo deve essere aggiornato ai bisogni attuali, il più importante dei quali è quello della narrazione, che va fatta a partire dalle aspettative del pubblico. Ma questo “non per abbassare ma per potenziare ed approfondire il livello della comunicazione” e la divulgazione del patrimonio culturale.
Occorrono, a questo scopo, risorse professionali qualificate, storici dell’arte, archeologi, e non “servizi aggiuntivi” che riducano quella del musei ad un’offerta commerciale, al pari di un gadget o di un cappuccino e brioche. Sotto la pressione del mercato, c’è infatti il rischio di ridurre i musei a biglietterie e di affidare la loro gestione a direttori-manager.
Leggi il testo integrale dell’intervento di Francesca Valbruzzi
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