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Ettore Majorana, un intellettuale al bivio

Francesco di Bartolo, docente di filosofia e storia presso il liceo Del Duca-Bianca Amato di Cefalù, propone ai lettori di Argo alcune riflessioni sulla presentazione di un libro di Gabriella Congiu.

Un libro, di questo parleremo, che cerca di scrutare i tratti umani di un personaggio sui generis, fuori dal comune apparire, che a un certo punto si trova davanti a un bivio, a una scelta. E come tutte le scelte, essa comporta sempre la rinuncia a qualcos’altro.

Con il patrocinio dell’amministrazione comunale di Aci Bonaccorsi presso la biblioteca comunale “Luigi Sturzo” si è svolta, lo scorso martedì 25 Giugno, la presentazione del libro di Gabriella Congiu (già docente di lettere presso i licei siciliani, saggista, giornalista, studiosa da tempo del Novecento letterario) dal titolo L’arte della variazione. Il moralista imperfetto. Ettore Majorana. Un intellettuale al bivio (Algra editore).

Non una biografia di Ettore Majorana, anche perchè di biografie ne sono state scritte parecchie, e neanche una indagine mirata a scoprire le ragioni della sua scomparsa. Certo sia la biografia sia le tracce che Majorana lasciò prima della sua “fuga” sono oggetto di riflessione, ma l’asse principale del libro sono le originali riflessioni su alcuni aspetti della personalità dello scienziato, le sue relazioni e la sua visione del mondo, il contesto dentro cui egli si trovò a lavorare e a vivere.

L’autrice è intervenuta ripercorrendo non solo le varie tappe del libro, i suoi contenuti principali ma anche le motivazioni che l’hanno spinta a scrivere del più grande scienziato italiano degli ultimi quattro secoli, rilevando nel personaggio una chiave letteraria vicina a quella di un mito utile a spiegare il Novecento.

Cresciuto all’interno di una famiglia di notabili siciliani con punte di eccellenza in vari campi della scienza accademica e non solo, molti di loro divennero ministri, senatori e rettori dell’Università di Catania, il giovane Majorana non appare essere sintonizzato con il mondo che non rientra nei suoi interessi. Ma le esperienze professionali e affettive nel mondo, nell’Europa degli anni Trenta, finiranno per essere decisive nella scelta di non lasciar più traccia di sé, come ha sostenuto Leonardo Sciascia nel suo celebre libro del 1975 La scomparsa di Majorana, ampliamente citato dall’autrice, .

L’autrice riporta l’incontro con Enrico Fermi a Roma dopo il passaggio di Majorana da ingegneria a Fisica. Come dirà Sciascia, Majorana non cercava consensi da parte di quello che sarà conosciuto come il gruppo di via Panisperna, ma intende provare, a se stesso e poi agli altri, le proprie capacità. Sempre Sciascia coglierà bene una differenza che l’autrice pone in evidenza, tra una scienza portata da Ettore Majorana “dentro di sé”, in segreto, e una portata “fuori da sé”, che apparterrà al gruppo di Fermi al fine di svelare al mondo le implicazioni delle loro scoperte.

Tanta era la tensione fra etica e razionalità che l’autrice sostiene che sarebbe fuorviante concentrarsi su un singolo aspetto della vicenda della sua scomparsa, è necessario guardare alla sua complessa ed enigmatica figura in ordine a diverse sfaccettature della sua esistenza.

E andiamo ai miti. Il principale è il rifiuto della scienza. Fa bene la Congiu a citare Bertold Brecht in Vita di Galileo. La tesi dell’autrice è che se si scompare lo si fa per oltrepassare i confini della propria libertà, se c’è un palese attentato alla propria volontà, per affermare la condizione di uomo libero rispetto ai giochi di potere. Nella terza parte del libro “geometrie dell’eroicità”, l’autrice dichiara che “gli scomparsi” oltre a generare un mito simile a quello dell’Ulisse dantesco obbligano alla memoria.

Sui rischi di proporre valutazioni ex post circa la scomparsa di Majorana ha messo in guardia Antonino De Cristofaro (docente di Storia e Filosofia), perché è necessario sempre calarsi in quello che gli storici chiamano lo “spirito del tempo”. Sciascia scrisse il suo libro su Majorana in occasione del trentennale dell’atomica utilizzando i documenti che gli aveva dato Erasmo Recami per esprimere il suo punto di vista sul pericolo dell’atomica. E non è detto che fosse il punto di vista dello scienziato.

A questo punto poco importa – ha proseguito De Cristofaro – sapere il motivo reale per cui è scomparso Majorana, l’importante è comprendere che questa vicenda ha dato luogo a una riflessione sui limiti e sulla non neutralità della scienza e sui rapporti con il potere.

Fabrizio Nicosia (psicoterapeuta e didatta IIPG sede di Catania) è intervenuto mettendo in rilievo la problematicità del genio. Premesso che Majorana fosse davvero non interessato ai risvolti pratico-sperimentali e a sperimentare solo un percorso evolutivo della mente e niente di più, dopo l’incontro con Heisenberg a Lipsia, seguono periodi di crisi, la chiusura, possibili tracce di malessere interiore con varie sintomatologie fisiche, “la solitudine nutrita di ricerca e come unico viatico il pirandelliano” Pascal.

Infine, la difficoltà del genio a “fare gruppo”, i suoi rapporti con “i ragazzi di via Panisperna” si interruppero, di fatto, nel 1932, e non come un siciliano qualsiasi che fa gruppo da solo perché è il rapporto con la “cosca mafiosa” che cerca, secondo la visione di Sciascia. Come ha osservato Nicosia, ogni individuo ha la difficoltà a unirsi con gli altri e oppone sempre resistenze narcisistiche individuali alla possibilità di fare gruppo. A maggior ragione quando si tratta di una mente complessa, come quella di un genio, che ha una sensibilità diversa, proiettata a ascoltare la matematica come fosse una sinfonia musicale.

Argo

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