Un lavoro lento ma determinato, iniziato da quasi un anno e portato avanti da un gruppo di cittadini e associazioni all’interno di San Berillo. Cittadini e associazioni che hanno dato vita all’Osservatorio Urbano e Laboratorio Politico, in cui confluiscono la parrocchia, Trame di quartiere, il Centro Astalli, il Sunia…
Nato per confrontarsi e ragionare sull’uso dei fondi del PNRR destinati dall’Amministrazione al vecchio San Berillo, l’Osservatorio ha fatto sentire inizialmente la sua voce presentando al Comune un approfondito documento di Osservazioni sugli interventi previsti nel quartiere dal Piano Urbano Integrato, considerati del tutto inadeguati alla drammatica complessità della situazione.
Contestualmente alla non facile interlocuzione con il Comune, l’Osservatorio comincia a farsi presente nell’area più degradata del quartiere. Investendo tempo ed energie, intessendo relazioni senza guardare a difficoltà di lingua e colore della pelle, stabilendo collaborazioni inedite, con l’imam da una parte e il vescovo dall’altra, suonando e cantando insieme, dando calci al pallone e una mano a gestire problemi abitativi e di salute, sono state accorciate le distanze con i ragazzi africani e con le donne – italiane o sudamericane che siano – che nel quartiere lavorano.
Piano piano sono venuti fuori anche progetti comuni, a lungo termine come la creazione di una vera e propria squadra di calcio, o a breve termine come una giornata da trascorrere insieme in un luogo piacevole e diverso da quel quadrilatero di strade, Pistone, Buda, Carro, delle Finanze, in cui sono di fatto confinati.
Si opta, come prima esperienza, per una gita sull’Etna, organizzata per domenica 23 giugno. Alle spese per il pulman, il pranzo a sacco, le scarpe adatte, provvedono il Centro Astalli, le due parrocchie di don Piero, i Cavalieri della Mercede e la locanda del Samaritano, ognuna con un proprio contributo. Si parte così alla scoperta di un contesto naturale insolito e affascinate.
A raccontare questa giornata particolare lasciamo che sia Nino Bellia, che di questa gita è stato l’animatore e grazie alla cui penna seguiamo, da mesi, l’interessante percorso di integrazione che l’Osservatorio ha avviato.
Il racconto inizia con le difficoltà della partenza.
“Domenica 23 giugno, 8.30, Piazza Falcone. Al tanto atteso appuntamento…nuddu? Rapida incursione nel cuore del quartiere. Le stradine, sempre quelle: via Carro, via Buda, via Pistone, via delle Finanze, via Reggio… Il maggior rischio si concentra ancora lì. Ragazzi, pronti? Signora, s’è vista la nostra amica? Ma come! ancora qua state? Dai dai dai che l’autobus è arrivato!
Finalmente, a drappelli, raggiungiamo il pullman, dal lato di via Crispi. Le nove. Bisognerebbe muoversi, ma lascio di nuovo i presenti e torno indietro, rifaccio il giro, non si sa mai, qualche disperso, qualche nuova recluta. I conti non tornano. Lo scopo di questa gita è la condivisione, il sogno di una mescolanza inedita, lo spirito di una comunità in viaggio verso il futuro: partire in tanti, a comu iè-gghiè, sì, ma quanta più gente possibile. Soprattutto chi, come i giovani migranti africani e le signore sudamericane, l’Etna la vedono soltanto da via Di Prima e Corso Sicilia.
Dovevamo essere in sessanta, ma alla conta definitiva, siamo poco più della metà. Già le dieci. Qualcuno non deve essersi svegliato, qualche altro, forse una birra di troppo al compleanno di Graziella (ca però ci vinni…). Insomma si parte, cu’ c’è c’è, e cu’ non c’è? Â prossima…
A Mascalucia carichiamo anche Natalia e Aboubakar. L’aria oggi è fine, meno arroventata dei giorni scorsi, e una leggera brezza ci rinfresca, come una benedizione. Il gruppo è sereno, voglia di relazioni vere e positive, nuove scoperte e sana spensieratezza. Nel bagagliaio, scatoloni stipati di sacchetti col pranzo per tutti, altri con calzature adatte alla scarpinata, o di riserva. E poi chitarre e djambè, a volontà. A bordo, niente cartuzze da arrotolare, mai una parola sgarbata, e neanche indecifrabili mutismi. Proprio come succede dallo scorso settembre, ogni sabato, tutte le settimane, giocando a calcio: sano divertimento, rispetto delle regole, correttezza e sportività.
Qui ci unisce il comune desiderio di amicizia e di conoscenza del vulcano più alto e complesso d’Europa, la connotazione maschile e femminile che è nei suoi nomi e nella sua natura, come del mare e come di Dio: nostra madre Etna, nostro padre Mongibello. Di papà e mamma, di sorelle e fratelli, di questo c’è bisogno, come del pane e dell’acqua, della buona salute, dei documenti, della casa e del lavoro. “Ciao, zio…ehi, bro’…”. Man mano che si sale, i paesaggi diventano sempre più tangibili, si alternano in rapida sequenza: ginestre accese a candelabro, faggi, castagni, astragali, sciara viva, bosco, deserto lavico.
Lo stupore e l’ammirazione negli occhi e nei sorrisi. Finalmente i Crateri Silvestri. Qui la nostra variegata e colorita compagnia si confonde col resto dei visitatori, turisti fra turisti. Ma la salita al Monte è anche conquista, attesa, fatica. Visione. Visione di altro, di quello che potrebbe essere, di un altro punto di vista, di un’altra possibilità. Anche quella costa laggiù, il Mediterraneo aperto. Anche quella città… Da un crocicchio di “strati ca non spuntunu”, da un vicolo cieco a un nuovo orizzonte, infinito e possibile.
La Montagna ci costringe a scalare il cielo, ad alzare lo sguardo, ci riabitua alla prospettiva verticale. Ci libera dalla dominanza delle trappole e da chi ci lucra, qualunque sia il colore della pelle. Pur essendosi fatto tardi, ci fermiamo a Piano del Vescovo. Ecco la faggeta più a sud d’Europa e là, a metà percorso, la roccia a strapiombo levigata dalle piogge e dal ghiaccio. Più in alto, lo stupefacente affaccio sulla Valle del Bove. Chi non può, aspetterà all’ombra dei castagni. Chi se la sente, forza! di buona lena, almeno fino alla sorgente. In fila indiana, lungo il sentiero quasi nascosto dalla vegetazione, si arriva al traballante ponticello di castagno. Da qui all’Acqua Rocca, tutta una tirata. L’escursione sembrerebbe finita. Chi si riposa, bevendo â muratura e mangiucchiando, chi si inerpica sulle rocce e respira la brezza a volo di poiana. Meraviglioso, certo, arrivare all’immane baratro. Ma tra salire, sostare e ridiscendere, a che ora si arriverebbe per il pranzo, a Monte Ilice? Un po’ di buon senso ci vuole ogni tanto.
Infatti…se il segnale di tornare è esplicito e inequivocabile, la tentazione della bellezza e dell’altezza evidentemente lo è di più, e un gruppetto si avventura, in perfetta anarchia, verso la Valle del Bove e…a comu finisci, si cunta! Chi coordina rischia di “santiàri”, ma tanto oramai… Così, in ampio ritardo su qualsiasi tabella di marcia, realizziamo serenamente e con soddisfazione l’ultima tappa al Rifugio della Capinera, ospiti di Chiara e Danilo Jeraci, i responsabili di Chiaìa Aps. Tutto il resto è noia? Ma ca quali! Tutto il resto è allegria, dialogo e persino accordi, musicali e di prospettive lavorative ed esistenziali. Torniamo che non sono ancora le sei del pomeriggio. Questa è andata. E già qualcuno pensa a una giornata al mare.
La cosa più bella, però, il sabato seguente la esprime Adele. Che sull’Etna non c’è venuta. Dovendosi giustificare per la defezione, riconosce di essersi trovata in imbarazzo e soprattutto ammette, con le lacrime agli occhi, di non avere più fiducia in se stessa. La rassicuro e garantisco di vedere in lei una bella persona. Si commuove quando le parlo come fossi suo papà. E poi è lei che fa commuovere me: “Noi diciamo di credere o di non credere in Dio…ma io so che è Lui che crede in noi, è Dio che crede in me…”. Mah…”
Finisce qui il racconto di Bellia, ma certo non finisce l’impegno dell’Osservatorio a stare, con attenzione intelligente, dentro questo luogo difficile e unico della nostra città. Nessun atteggiamento buonista, nessuna illusione che sia sufficiente la buona volontà, i problemi sono gravi, lo spaccio dilaga, la droga spegne le energie positive di ragazzi intelligenti ma abbandonati a se stessi, che hanno ormai, spesso, la strada come unica casa. Alle difficoltà esterne, al grave degrado del luogo, si aggiungono, talora, contrasti interni alla piccola galassia che è l’Osservatorio. L’orizzonte non è roseo, anche negli scritti di Bellia talora prevalgono i toni cupi, ma c’è anche tanta voglia di non mollare, disponibilità a scommettersi e a cercare forme nuove di presenza e nuove prospettive di cambiamento.