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Abolire i CPR

Una sigla sconosciuta per molti, con la quale si indicano i Centri di Permanenza per i Rimpatri, ovvero i luoghi di trattenimento dei cittadini stranieri in attesa di provvedimenti di espulsione.

Il 27 giugno, se ne è discusso a Catania, su proposta dell’Associazione LHIVE (impegnata, fra l’altro, in un progetto di supporto medico, psicologico, legale e sociale delle persone migranti) e di Progetto Diritti (una onlus che si occupa della tutela legale delle fasce meno abbienti).

Introducendo i lavori, Diego Trigilia (avvocato, LHIVE) ha ricordato innanzitutto l’art. 13 della Costituzione italiana “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione […] se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Nei CPR per queste persone, il cui unico reato è quello di essere entrate “illegalmente” nel nostro Paese, la detenzione può durare sino a 18 mesi.

Al termine dei quali dovrebbero essere rimpatriate nei paesi di origine. Un’azione quest’ultima, come ha ricordato l’avvocato Gaetano Pasqualino (Progetto Diritti), che, in Italia come in tutta Europa, è difficile da realizzare, soprattutto in assenza di accordi specifici con i paesi di provenienza. Infatti, su oltre 105.000 rimpatri, in Europa, ne sono stati eseguiti 29.000.

I relatori, oltre alla dubbia costituzionalità di questi centri, hanno sottolineato le condizioni inaccettabili in cui sono costretti i detenuti, parliamo in Europa di 600.000 persone, di cui 40.000 minori. In Italia, per esempio ci sono stati, dal 2018 al 2022, 14 suicidi, età media 33 anni.

Come ha ricordato Luciano Nigro (infettivologo, presidente LHIVE), il migrante che parte “sano” dal proprio luogo di origine, lungo il viaggio e a causa delle difficoltà cui è sottoposto nel territorio di arrivo, vede progressivamente peggiorare le proprie condizioni fisiche e psichiche. Per subire il crollo definitivo proprio nei CPR, come testimoniano le quantità “industriali” di psicofarmaci somministrati ai detenuti, spesso prescritti da medici non specialisti. A conferma che si tratta di luoghi in cui si viene trattati come “scarti” e non come esseri umani.

Per non parlare, come ha sottolineato Pasqualino, delle difficoltà degli avvocati per poter seguire i loro assistiti, un vero e proprio percorso a ostacoli,. O dei cosiddetti trattenimenti informali, come è capitato ad alcuni cittadini tunisini i cui permessi non sono stati ritenuti validi e per una settimana sono rimasti reclusi nella cabina della nave con cui erano arrivati.

Nella discussione non poteva ovviamente mancare un riferimento alle norme del cosiddetto “decreto Cutro”. I relatori hanno condiviso quanto scritto da Magistratura Democratica, “La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di chiedere la verifica di conformità al diritto UE di alcune norme del decreto Cutro conferma che gli attacchi nei confronti della giudice Apostolico erano privi di senso anche sul piano giuridico […] Le sezioni Unite confermano che c’è un problema di conformità alla direttiva delle norme che prevedono una garanzia finanziaria come alternativa alla detenzione nei centri”.

Ritorniamo ai CPR, visto che anche l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) sostiene che la detenzione, per i danni e i disagi che procura, deve essere l’ultimo strumento da utilizzare. Nigro e Pasqualino hanno ricordato che la persona migrante prima di essere reclusa deve essere sottoposta a un giudizio medico che escluda la presenza di patologie incompatibili con la detenzione. Nella stragrande maggioranza dei casi i medici si limitano a compilare velocemente un modulo prestampato, senza condurre nessuna anamnesi accurata della persona, né tanto meno tale analisi è effettuata da un’equipe di specialisti.

Che si tratti di situazioni “oltre il limite” ce lo conferma il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma, che, dopo una visita al CPR di Roma, ha indicato, alle altre autorità, alcune raccomandazioni (necessarie e urgenti) fra cui ricordiamo:

  • la predisposizione di un sistema generalizzato e standardizzato di registrazione degli eventi critici da parte degli Enti gestori dei Cpr;
  • la necessità di richiamare il personale sanitario in servizio nei Cpr affinché riporti nella documentazione sanitaria ogni informazione relativa a ferite o segni indicativi di possibili atti di violenza subiti dai migranti.

In conclusione, alcuni impegni:

  • Invitare i medici a verificare con la dovuta accuratezza e professionalità che non ci siano situazioni ostative alla detenzione (in particolare malattie infettive e/o disturbi psichici);
  • Ampliare l’impegno per la tutela legale delle persone ristrette e per far conoscere all’opinione pubblica ciò che realmente avviene all’interno di queste strutture, per ottenerne la chiusura;
  • Rilanciare la mobilitazione siciliana per la chiusura del CPR di Pian del Lago (Caltanissetta).
Argo

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