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Esami di stato, l’equilibrio del terrore fa capolino fra i banchi di scuola

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“Per carità di patria, non mi soffermerò sulle discussioni stucchevoli e insopportabili che precedono gli Esami di Stato (Maturità) e riempiono le trasmissioni televisive facendo crescere l’audience e rimpinguando il portafoglio dei bravi presentatori, vero e proprio vuoto chiacchiericcio che lascia il tempo che trova e che si risolve, per chi non ha perso la fede, nella beatificazione di Venditti, autore di “Notte prima degli esami”, così Salvatore Distefano, docente e presidente dell’Associazione Etnea Studi Storico-Filosofici, La Tecnica della Scuola, 25 giugno.

Chi non vuole partecipare a un dibattito rituale e ripetitivo, può entrare nel merito delle prove proposte, che, nel primo giorno di esami, hanno avuto diversi riferimenti all’attualità. Anche se, secondo Distefano “questo ingenera qualche sospetto: quello di voler orientare la riflessione in una certa direzione, non sempre disinteressata”.

In particolare, “rispetto al tema di Storia è stato scelto un testo tratto da Giuseppe Galasso, Storia d’Europa, un brano abbastanza lungo, che in gran parte ripropone l’analisi magistrale svolta da Hobsbawm ne Il secolo breve, “nel quale si evidenzia, pur in una drammatica situazione di scontro tra lo schieramento capitalista – a guida statunitense – e il campo socialista – a guida sovietica -, l’aspetto ‘positivo’ della guerra fredda e dell’equilibrio del terrore in virtù dei quali è stata evitata la distruzione dell’umanità”.

E’ sulla base di queste premesse che continua il ragionamento dello storico Galasso che pone, in particolare, la seguente domanda: “Che cosa sarebbe potuto accadere se essi (gli ordigni atomici) fossero venuti nella disponibilità di un gran numero di paesi e, soprattutto, se si fossero ritrovati nelle mani di leaders che non fossero quelli di grandi potenze aduse a una valutazione globale dei problemi politici mondiali e continentali e fossero, invece, fanatici o irresponsabili o disperati o troppo potenti in quanto non soggetti al controllo e alle limitazioni di un regime non personale e alle pressioni dell’opinione pubblica interna e internazionale? La lotta contro la proliferazione delle armi atomiche e per il disarmo in questo campo divenne perciò un tema centrale della politica internazionale e vi apportò un considerevole elemento sedativo (per così dire) di eventuali propensioni a varcare la soglia del temibile rischio di una guerra atomica”.

Con quest’ultima domanda, sottolinea Distefano, sorge un problema: “mentre nella prima parte della traccia si fa correttamente riferimento al bipolarismo e al concetto di ‘guerra fredda’ coniato dal giornalista americano Walter Lippman nel 1947, il quale così volle definire lo stato delle relazioni internazionali sancito dalla Seconda guerra mondiale, e soprattutto si voleva sottolineare l’invalicabilità di una ‘linea rossa’, pena l’estinzione dell’umanità. Al contrario, la seconda parte, quella che chiude il testo proposto, viene utilizzata come se dal 1991 ai giorni nostri non fosse successo niente.

Con un evidente e improvviso salto logico-temporale, non si dice che il bipolarismo è finito nel 1991 e che il mondo è passato intanto sotto il dominio egemonico di una sola superpotenza (unipolarismo), e che – da qualche anno – vi è uno scontro epocale per far decollare il multipolarismo, vista la crisi verticale della superpotenza americana e dell’Occidente nel suo complesso (declino?, tramonto?…).

Facendo finta di parlare del mondo di ieri, si parla dell’oggi (de te fabula narratur) e in particolare di Paesi invisi all’Occidente (“asse del male”, “stati canaglia”, ecc.) che si pensa di colpire mettendo in preventivo anche il conflitto atomico, con annessa carneficina ai danni dell’intera umanità”.

Il testo, così composto, sembra perciò suggerire, a studentesse e studenti, una chiave di lettura che divide il mondo fra soggetti “responsabili” nelle cui mani gli ordigni atomici sono ben custoditi e tutti gli altri, che da tali armamenti devono essere tenuti lontani. Forse, sarebbe stato il caso di ricordare che, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, ci sono stati, e ci sono, innumerevoli guerre, che hanno determinato complessivamente un numero di morti superiori a quelli del secondo conflitto mondiale. Che tra i morti oggi si contano per la stragrande maggioranza vittime civili.

Che l’unica volta in cui gli ordigni nucleari sono stati sinora utilizzati (Hiroshima e Nagasaki) a lanciarli furono le truppe statunitensi.

Altrimenti, decontestualizzando, si finisce con l’affermare un concetto apparentemente etico, ma – di fatto – utile a ribadire le ragioni di quella parte del mondo, l’occidente, auto-nominatasi baluardo della civiltà ed esportatrice nel pianeta, a qualunque prezzo, della democrazia. In nome della quale qualsiasi intervento militare è giustificato, e le morti dei civili sono derubricate a semplici “danni collaterali”.

Forse, sarebbe stato più utile lasciare liberi gli studenti di ragionare sulla possibilità di mettere “fuorilegge” la guerra, di procedere verso lo smantellamento di tutte le armi nucleari, di evitare di dividere il mondo secondo quei concetti di “bene” e “male” che troppo spesso sono stati utilizzati per coprire occupazione e sfruttamento dei territori. E che, oggi, contribuiscono a creare tensione a livello internazionale, mentre gli organismi (ONU) nati per risolvere pacificamente le questioni hanno una sempre minore capacità di intervento.

Seguendo la logica appena descritta, conclude Distefano: “si rende un pessimo servizio alla Storia perché non è così che si attualizza (‘usare modelli appropriati per inquadrare, comparare, periodizzare i diversi fenomeni storici locali, regionali, continentali, planetari”; “individuare e descrivere persistenze e mutamenti: continuità, cesure, decadenza, crisi, transizione, […]’). Non è così che si alimenta e favorisce il pensiero critico delle nuove generazioni, che vengono, anzi, spinte verso un’insopportabile irreggimentazione conformista, e non è così che si lotta per la pace perché si tende a far diventare “normale” e ineluttabile l’orrore della guerra, soprattutto quella atomica”.

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