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Casa Betania, un’accoglienza per tutti

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bimbi giocano nel cortile di casa Betania

C’è anche un angolo per chi non ha un Dio da pregare ma, ateo o agnostico che sia, vuole fermarsi a riflettere o anche solo appartarsi. In assenza di un simbolo religioso, sulla parete troverà un doppio otto aperto che rappresenta l’infinito e una dedica ai costruttori di pace e a chi aspira all’Armonia.

Gli altri angoli della cappella interreligiosa di Casa Betania sono dedicati rispettivamente ai cristiani, agli islamici e ai seguaci della altre fedi religiose, dal Buddismo all’Induismo, dai Baha’i agli Hare Krsna. In modo che tutti possano trovare un posto per sé.

La cappella è stata inaugurata sabato pomeriggio con la presenza del vescono Luigi Renna, dell’imam Kheit Abdelhafid e di Riccardo Rodano della Comunità Dialogo.

E’ stato uno dei momenti più intensi del pomeriggio di festa organizzato, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, nella parte del grande immobile di via Forlanini (angolo via Raciti) che la diocesi ha dato in comodato d’uso al Centro Astalli e che è stata destinata all’accoglienza di donne immigrate e dei loro bambini.

Proprio ai bambini e ai loro giochi è stata dedicata, nel pomeriggio di sabato, buona parte dello spazio del cortile. Presente lo Straludobus di Talità Kum con i suoi animatori, e tante postazioni, tavoli, tappeti e attrezzature varie con cui i piccoli si sono divertiti. Frattanto volontari e artisti, dall’apposito palco, diffondevano la musica dei loro strumenti e invitavano a cantare in tutte le lingue.

All’interno, sulle pareti e sui pilastri del grande salone, la mostra “Questo mondo non mi renderà cattivo”, con i volti di donne, bambini e adulti stranieri, fotografati da Emanuele Commisi.

Emanuele, studente dell’Accademia delle Belle Arti, non è un volontario del Centro Astalli. Dopo i fatti di Cutro e l’insensibilità dimostrata, a livello non solo governativo, nei confronti dei migranti, qualcosa è scattato dentro di lui. Ha deciso di fare la sua parte usando lo strumento che ama e che studia, la fotografia.

Così ha proposto al Centro Astalli, protagonista indiscusso dell’accoglienza dei rifugiati, il suo progetto. Incontrare i migranti che frequentano il Centro, ascoltare le loro storie nel caso avessero voglia di raccontarle, e fotografarli per restituire il nome e la dignità a chi, spesso, viene visto solo come un numero. Ma dietro ognuno di questi volti ce ne sono molti altri, quelli di chi non è riuscito ad arrivare e di cui non conosciamo le storie e talvolta neanche il nome.

Ecco perché, nella discalia di ogni foto, accanto al nome, all’età e al paese di provenienza di ogni migrante, troviamo qualche informazione aggiuntiva: sul numero delle persone sbarcate o soccorse nello stesso giorno, sull’eventuale naufragio, sul numero di corpi che il Mediterraneo ha ingoiato. Un modo per non dimenticare, per provare a restare umani, nonostante l’indifferenza dominante. “Che senso ha questa diffidenza verso lo straniero se noi siciliani – ci dice Emanuele – siamo i primi ad essere frutto di incroci e contaminazioni, etniche e culturali, di ogni tipo?”

Il pomeriggio di festa si chiude. Per chi lo desidera, c’è anche la possibilità di gustare qualche piatto senegalese. Pian piano si smontano gli allestimenti e si prepara il ritorno alla quotidianità.

Attualmente casa Betania ospita quattro mamme e quattro bambini. A giorni si attende la nascita di un bebè. Alla convivenza ordinaria si aggiungono eventi eccezionali. Più o meno complicati, ma sempre da affrontare insieme.

Ecco altre immagini della mostra

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