Le chiese si svuotano, le parrocchie sono in difficoltà nonostante cerchino di recuperare tornando a processioni e riti trazionali, spesso lontani dallo spirito del Concilio. E’ in crisi il senso del sacro o è in crisi il cattolicesimo fondato sul clericalismo che lo caratterizza da secoli?
Apriamo una riflessione su questo tema proponendo un contributo di Danièle Hervieu-Léger, sociologa, direttrice degli studi all’EHESS (Ecole des hautes études en sciences sociales), che riprende un intervento da lei fatto al convegno della CCBF (Conférence Catholique des Baptisées de France) sul tema “Verso una nuova governance della Chiesa – Andare oltre il clericalismo”.
Pone una serie di questioni molto concrete relative alla sacralità riservata alla figura del prete, alla sua separatezza rispetto alla quotidianità vissuta dai fedeli, al suo ruolo di dispensatore della salvezza. Partendo da un excursus storico ed evidenziando le trasformazioni intervenute nella società, l’autrice pone delle domande e suggerisce delle soluzioni che coinvolgono anche il ruolo delle donne nella Chiesa.
Il sacro, questione chiave dell’uscita dal clericalismo
Il rapporto della CIASE ha messo l’accento sulla “sacralità eccessiva” riversata sulla figura del prete e la presenta come un sistema che ha reso possibile l’instaurarsi di una cultura dell’abuso all’interno della Chiesa romana. Come sociologa, tratto qui di fatti sociali: la sacralità del prete non discende dal cielo, è una costruzione storica che si è imposta nel corso dei secoli.
Il sistema romano è un dispositivo istituzionale che si basa su tre pilastri.
Il primo è il monopolio della verità, insostenibile in un mondo pluralizzato. Il secondo è una visione territorializzata della missione, consistente nella sua estensione fisica “fino ai confini del mondo”, visione imperiale superata dalla modernità. Il terzo pilastro è la costruzione gerarchica e sacrale dell’autorità sacerdotale (presbiterale), ultimo muro portante del sistema romano: il prete dispensatore esclusivo dei beni della salvezza di fronte ad un popolo completamente privo di potere. Non se ne uscirà tentando di portare la sacralità del prete ad una giusta proporzione: la sola via d’uscita è farla finita con la sacralità.
Ricordiamo tre momenti principali nella costruzione di questa sacralità.
Primo momento: la riforma gregoriana dell’XI secolo.
La riforma attuata da Gregorio VII tra il 1073 e il 1085 impone l’obbligo del celibato a tutti i preti a partire dal sotto-diaconato. Gregorio VII, che era monaco, allinea così la condizione del prete a quella del monaco. Il prete viene così a trovarsi dalla parte di quella che possiamo chiamare “virtuosità religiosa”: attuare una totalizzazione religiosa della propria vita. Quindi i preti si stabiliscono a distanza dai fedeli ordinari. Questa è proprio la chiave della sacralizzazione: il sacro è il separato. È la costruzione di un rapporto radicalmente asimmetrico tra il prete e i fedeli.
La prima conseguenza è che “la chiamata” cambia senso – era la chiamata di una comunità a persone che si prendono carico della regolazione della vita collettiva, mentre ora il prete diventa un eletto, scelto da Dio stesso, indipendentemente dal compito pastorale. Il prete continua ad essere “eletto” anche negli atti più ordinari della vita personale; partecipa del potere divino. Parallelamente, la celebrazione eucaristica passa dall’anamnesi dell’ultima cena ad una celebrazione del Sacrificio eucaristico, in un modo sempre più teorizzato dalla teologia. Questa sacralità del prete avrà i suoi effetti anche nella sacralizzazione progressiva dell’edificio chiesa.
Secondo momento: il concilio di Trento (1545-1563)
Si svolge nel contesto di un grande decadimento della Chiesa romana in relazione alla riforma protestante in Europa. I tre elementi fondamentali di questo momento di riforma sono:
– la solennizzazione teologica nella costituzione sulla transustanziazione della presenza reale, punto centrale della separazione dalla riforma protestante
– la sistematizzazione delle parrocchie organizzate attorno ad un parroco, prete depositario esclusivo dell’autorità religiosa, in totale asimmetria con i fedeli
– le basi di organizzazione di un clero formato con la creazione di un seminario in ogni diocesi: il prete non è unicamente uomo di potere grazie al suo ruolo sacrale, ma è anche un uomo il cui sapere completa la sua figura di autorità.
La figura del prete come uomo del sacro si impone massicciamente all’intera Chiesa, con la missione di acquisire territori alla Chiesa, in quanto l’evangelizzazione consisteva principalmente nel far entrare l’intera popolazione nella Casa di Dio.
Terzo momento: il XIX secolo
La Chiesa, messa di fronte all’avvento della libertà politica all’indomani della rivoluzione francese si trova in una situazione di messa in discussione radicale della sua posizione nel mondo sociale e politico.
C’è un primo tempo, all’inizio del secolo: la Restaurazione, che corrisponde al momento in cui il sogno di riconquista rende decisamente possibile, se non probabile, che l’ordine nato dalla rivoluzione francese sia reversibile. È una fase di vocazioni numerose, di missioni parrocchiali, momento di trionfo dell’ultramontanismo e di riabilitazione della figura del papa. La liturgia è una teatralizzazione estremamente forte di quel prete in alter Christus, e per tutto il secolo, la figura del prete santo viene presentata per la riparazione dei crimini della Rivoluzione, di un mondo che vuole vivere senza Dio, quindi senza Chiesa – conosciamo tutti la fortuna straordinaria della figura del curato d’Ars.
Secondo momento. Nella seconda metà del secolo in cui si consolida la repubblica, la Chiesa pensa in termini di chiusura della cittadella-Chiesa di fronte ad un mondo secolare che rifiuta. Per la forza delle cose, essa si ripiega nella sfera privata, un ripiegamento che caratterizza la modernità. La famiglia diventa per eccellenza il terreno in cui la Chiesa tenterà di mantenere la sua influenza sul mondo sociale.. È il momento in cui esplode il “familismo cattolico” – mentre si impone il modello della famiglia borghese come costruzione giuridica e sociale. A partire da questo momento, il controllo della morale diventerà il terreno principale in cui la Chiesa eserciterà la sua influenza, con un’ossessione natalista, non solo mirante a non intervenire sulla fecondità, ma anche a produrre preti. Paradosso straordinario, in cui i preti si fanno eunuchi per il regno e allo stesso tempo controllori della vita sessuale delle comunità. Lo strumento principale di questo controllo è la confessione: viene fatto obbligo canonico ai preti di porre domande sulle pratiche delle donne e delle coppie.
Così c’è una concatenazione di elementi: la separazione – con la valorizzazione del prete operatore del sacrificio cristico – e l’invito a farsi sorvegliante della vita sessuale dei fedeli.
E nel XX secolo
Quello che si osserva oggi è molto lontano da quel mondo antico: dissoluzione del tessuto parrocchiale, caduta libera della demografia clericale, assunzione di autonomia dei fedeli, abbandono delle indicazione ecclesiali come sulla contraccezione.
Ma nessuna di queste trasformazioni della società – all’uscita dalla prima guerra mondiale, poi dopo la seconda guerra mondiale e successivamente negli anni del miracolo economico), nessuna ha provocato nell’istituzione una rielaborazione delle modalità della sacralità del prete, uomo separato dal comune, unico a disporre di un filo diretto con il divino. Al contrario, si vive piuttosto una fase di riaffermazione contro-culturale di quelle pratiche.
A partire dall’XI secolo, il celibato ha contribuito a inscrivere nel corpo del prete la sacralità degli atti che pone, indipendentemente dal fatto che si tratti di atti sacri o meno. Questa sacralità può portarlo a considerarsi non soggetto alle regole di non-aggressione del corpo altrui. Da ciò derivano gli eccessi deliranti da parte dei fondatori delle “comunità nuove”.
Per superare le patologie derivanti da questa sacralità eccessiva, una delle risposte più immediate è: e se si ordinassero uomini sposati? Sicuramente, una normalità della vita collettiva allenterebbe la pressione sacrale. Probabilmente però oggi il primo risultato sarebbe quello di avere un clero a due velocità, cioè a distinguere i veri preti e gli altri…
Ma si sarebbe solo a metà percorso. Perché? Perché il rovescio esatto della sacralizzazione del prete maschio celibe è che il suo celibato è associato alla purezza rituale: la separazione, tipica del sacro, tra il puro e l’impuro. E lì si vede il legame inscindibile con l’esclusione assoluta delle donne, che minacciano la purezza del prete come tentatrici (eccetto le figure della vergine e della madre), ma più fondamentalmente il corpo delle donne (regole, l’essere incinta) sarebbe inadatto alla sacralità.
Porre fine agli eccessi della sacralità che pesano sulla persona del prete senza intaccare la questione delle donne è missione impossibile – anche se si può mostrare che il ritorno del sacro contraddice la rottura evangelica. Non c’è altro modo per uscire dal sistema sacrale se non conferendo il presbiterato alle donne come agli uomini, non per far entrare anche le donne nell’ambito del sacro, ma per far uscire definitivamente gli uomini dalla possibilità stessa della sacralizzazione.
in “saintmerry-hors-les-murs.com” del 20 gennaio 2022 (traduzione: www.finesettimana.org)
Il sacro serve al potere per dominare sulle masse. Le feste padronali e la struttura della chiesa cattolica sono ormai indispensabili per assoggettare le masse. L’ignoranza ed il timore la fanno da padroni. E’ una enorme vergogna che purtroppo continua e che non viene criticata a dovere. Le chiese sono le prigioni dell’intelletto . Le feste padronali sono la celebrazione della potenza del potere fondato sulla paura e sulla vita eterna. Il ridicolo non ha fine.