Perna e Arminio: viaggio nell’Italia che non si arrende, nonostante tutto

Da un libro trovato per caso su una bancarella a Catania, è nato il viaggio all’incontrario di Tonino Perna e Pino Ippolito Arminio attraverso l’Italia.

Il voluminoso libro che Perna acquistò perchè “si distingueva per la sua personalità e una certa sfrontatezza” era il “Viaggio in Italia” di Guido Piovene, un reportage sull’Italia del secondo dopoguerra, di cui lo conquistarono il contenuto e la forza della scrittura. Da qui la proposta ad Arminio di rifare questo viaggio, non da Bolzano alla Sicilia, come Piovene, ma da Lampedusa a Bolzano, seguendo un’idea “complicata da mettere in pratica ma straordinariamente suggestiva”, visitare le 112 città italiane, “stando alla larga dalla retorica e dalla rappresentazione didascalica”.

Quello che Piovene aveva visto e raccontato era “un paese carico di energia, di progetti per il futuro, di ottimismo della ragione e della volontà”, un’atmosfera ben diversa da quella che hanno avvertito intorno a sè Perna e Arminio, che hanno trovato una Italia densa di malumori, di rancori, di meschinità, senza una visione e una speranza nel futuro che non sia di mera facciata elettorale”.

“Viaggio in Italia settanta anni dopo Guido Piovene”, pubblicato da Altreconomia, sarà in libreria da settembre 2024, ma è già possibile ordinarne della copie sul sito. E sono già iniziate le presentazioni. A Messina il 28 maggio, alla Libreria Feltrinelli, gli autori hanno incontrato Francesca Valbruzzi, archeologa, e lo storico Peppino Restifo.

Nel suo intervento, che trovate di seguito per intero, Valbruzzi, a proposito dei “guasti del presente” e delle responsabilità che li hanno determinati, fa un esplicito riferimento al cattivo uso che noi siciliani abbiamo fatto dell’autonomia regionale e all’incapacità di gestire i nostri beni archeologi, vissuti come un peso piuttosto che come risorse. L’archeologa punta lo sguardo in particolare sulla Villa romana di Piazza Armerina, di recente oggetto di un acceso dibattito dopo gli sferzanti articoli di Gian Antonio Stella sul Corriere. Cita Giarrizzo e il suo timore che la spinta propulsiva del cambiamento, in Sicilia, si sia esaurita, su cui dissente. Ritiene, infatti, che essa si sia carsicamente inabissata e che “l’onda lunga delle lotte popolari in Sicilia” riemerga oggi nella lotta degli abitanti dello Stretto contro il progetto inutile e pericoloso del Ponte.

L’intervento di Francesca Valbruzzi

Ringrazio gli autori per avermi coinvolta in questa generosa e coraggiosa impresa di rifare il “Viaggio in Italia” di Guido Piovene settant’anni dopo. Impresa riuscita brillantemente, con un racconto scorrevole e piacevole, dove le due voci si fondono completamente in una sola carica di meraviglia per le bellezze, le più nascoste e per questo preservate di questo nostro “variegato, diseguale, contraddittorio e affascinante paese che si chiama Italia”.

A proposito dell’unità d’Italia, nonostante questa estrema variabilità dei luoghi e delle persone Piovene scrisse parole illuminanti. “L’Italia è varia non complessa. Cambia da un chilometro ad un altro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità degli animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitudini, tradizioni, lingue. Sono però diversità vissute come fatti della natura, che fomentano umori litigiosi e incomprensioni, ma non conducono al distacco[..] Questo spiega perché L’Unità d’Italia, sempre dichiarata precaria, non sia mai stata minacciata. Nemmeno una guerra dall’esito catastrofico l’ha messa seriamente in crisi”

Possiamo affermare lo stesso oggi? Ecco i nostri autori hanno voluto rispondere a questo quesito e si sono avventurati in un viaggio lungo l’Italia in tempi oscuri e confusi: è stato un bel rischio intellettuale oltre che uno sforzo fisico, particolarmente “nella terza età”, come essi stessi ironicamente ammettono.

Era giovane, invece, Guido Piovene sulle cui orme vanno Perna e Arminio e giovanissima l’Italia repubblicana che egli immortalò settant’anni fa. Impossibile, quindi, ritrovare le speranze e i sogni di quella generazione che ricostruì un Paese distrutto dal fascismo e dalla guerra, cercando di rimuovere le macerie materiali ma soprattutto morali della Nazione. “Un Paese carico di energia, di progetti per il futuro, di ottimismo della ragione e della volontà”

Di quel Paese e di quelle promesse cosa rimane oggi? “Abbiamo pensato di ripercorrere questo viaggio eccezionale per cogliere ciò che è cambiato e ciò che è rimasto, le onde lunghe e brevi della storia.. il peso della storia potremmo dire ma anche per capire dove va questo nostro paese al di là delle medie nazionali..”

Una domanda che penso sia comune a molti della nostra generazione o, per lo meno, quelli di noi che possiamo definirci “progressisti” perché lottiamo ogni giorno per migliorare i territori nei quali viviamo, se non l’intero Paese. Anche noi, infatti, per quanto quotidianamente arrabbiati e delusi, condividiamo di fatto “l’ottimismo inguaribile” che professano gli autori, almeno quello della volontà che ci consente di non arrenderci al peggio che avanza.

Così spiegano i due viaggiatori la meta che si sono posti come obiettivo di questo novello “Viaggio”: “per tentare di capire dove vanno i territori, se c’è una visione del futuro o solo un lento inesorabile declino [..] Quello che vorremmo cogliere non è un generico cambiamento, persino ovvio dopo settant’anni, ma l’essenza, la rilevanza di ciò che muta l’anima e la struttura di un luogo”

Per non smarrire la via in questo ambizioso percorso, reso arduo dalle insidie retoriche di cui è disseminato il Belpaese, si sono affidati alle parole del loro Virgilio, traendo ispirazione dalle lapidarie immagini che ancora oggi ci offre, per costruire il racconto della nuova Italia. Come aveva già fatto Piovene, gli autori hanno interpellato i testimoni dei luoghi esplorati, proponendo loro una riflessione sull’oggi, a partire, però, dalle citazioni del Viaggio in Italia di settant’anni fa.

“Ci siamo avvalsi del punto di vista di chi vive in questi luoghi senza rinunciare al nostro sguardo esterno nella convinzione che il primo sia meglio informato e il secondo meno condizionato dalla realtà in cui si trova”

La mia esperienza come “interlocutrice” dei due viaggiatori del nuovo Millennio nei territori della “Sicilia profonda, l’isola nell’isola”, una delle cinque definite dagli autori, è stata rivelatoria anche per me, ennese di adozione.

Nei trent’anni vissuti nella “Sicilia delle montagne” di Vittorini, con mio marito abbiamo indagato le profondità rupestri millenarie con ostinate ricerche archeologiche decennali per far riemergere le memorie storiche rimaste invisibili e incomprensibili agli stessi abitanti di questi luoghi ormai desertificati dalle crisi sociali ed ambientali.

Le riflessioni di Piovene sui mosaici della Villa romana di Piazza Armerina sono tuttora valide per intero: sia l’interpretazione dei significati storico- artistici delle figurazioni sia il monito che egli lancia per la conservazione di tanto splendore nel cuore della Sicilia.

Nulla è cambiato, infatti, rispetto ai rischi di conservazione di questo sito archeologico unico al mondo. L’unica differenza con il dopoguerra è che allora si poteva sperare, come Piovene fa, dell’arrivo in Sicilia dei cospicui fondi della Cassa del Mezzogiorno e con essi di progetti per la protezione e fruizione della Villa romana.

Oggi la speranza rimane dentro il vaso di Pandora dal quale sono fuoriusciti tutti i mali della Sicilia, che riassumerei nel disastro dell’autonomia regionale mal utilizzata in questi settant’anni. a parte la breve e tragica stagione della politica dalle carte in regola del Presidente Piersanti Mattarella, con il suo governo di solidarietà regionale che comprendeva il Pci di Pio La Torre e Pancrazio De Pasquale.

I mosaici di Piazza Armerina, che erano stati protetti, pochi anni dopo il Viaggio di Piovene, da una struttura in plexiglas, innovativa all’epoca ma che divenne presto obsoleta per la mancanza di manutenzione, ora sono inglobati in una pesante struttura in mattoni con tetto in legno e rame, fissata sulle murature antiche, che la isola dal bellissimo contesto paesaggistico di valli fluviali e boschi e crea vari problemi anche perché non è stata completata.

Ho dovuto concludere che rimane attuale la sconfortante conclusione di Piovene sul fatto che in Sicilia le fortunate scoperte archeologiche si tramutano presto in gravi problemi insolubili piuttosto che divenire risorse per il presente e il futuro dell’Isola. Per paradosso i Siciliani, straricchi di Cultura ed Arte sentono, invece, il passato come ”il peso della Storia” che blocca il loro sviluppo.

Mi viene in mente a questo proposito la lapidaria citazione dello storico Giuseppe Giarrizzo con cui io e il collega Paolo Russo concludiamo il nostro libro “Utopia e impostura. La tutela e l’uso sociale dei beni culturali in Sicilia al tempo dell’Autonomia” (Scienze e Lettere, 2019)

Giarrizzo nel 1987, in uno dei suoi ultimi saggi, contenuto nella Storia di Sicilia per Einaudi, da grande storico dell’età moderna, constatava che: “la povertà della vita politica regionale pietrifica la cultura isolana, che oscilla ancor essa tra blasonata arroganza e futile piagnonismo ed esita a cogliere i tratti forti della modernizzazione, rifiutando così la sfida del progetto..”

E come alternativa alla “Sicilia mitica” di tanti discorsi retorici che giustificano ahimè i guasti del presente con un presunto immobilismo millenario della storia isolana, senza mai individuare i responsabili della paralisi attuale, evocava l’esistenza di un’altra possibile Isola, quella che definiva: “Una Sicilia severa e difficile, senza eccentricità e paradossi, che non sente il passato come peso nè il futuro come un’utopia”

La vera Utopia, infatti, era per lo storico catanese “la sfida del progetto” da giocare tutta nel presente, ossia la capacità di riformare realmente “lo stato presente delle cose”, mettendo in campo una visione di cambiamento e le forze sociali per determinarlo.

In questa prospettiva, in quello stesso saggio, egli rievoca la grande mobilitazione pacifista contro i missili a Comiso di pochissimi anni prima e la indica come l’ultima vera speranza di progresso della Sicilia, per quanto avesse secondo lui già esaurito la spinta propulsiva.

Io, invece, penso che l’onda lunga delle lotte popolari in Sicilia si sia propagata nei decenni con un andamento carsico, inabissandosi e poi riemergendo in vari momenti, per esempio nelle mobilitazioni No Ponte che in questi vent’anni sono riuscite a fermare un progetto insensato e profondamente offensivo verso la Sicilia e tutto il Meridione d’Italia.

Noi siamo su quest’onda potente e vinceremo questa lotta, e una volta per tutte seppelliremo l’idea assurda di costruire un ponte inutile e pericoloso dove c’è già un “Pontos” il mare meraviglioso dello Stretto, passaggio obbligato di uomini e animali nel Mediterraneo.

Infatti, come scrivono i nostri viaggiatori approdando sullo Stretto, “solo sconfiggendo il canto delle sirene” che incitano al miraggio del ponte “Messina potrà ritrovare il suo centro, che si trova proprio nel cuore del porto”, la mitica falce di Kronos, per riappropriarsi del tempo passato, presente e futuro.

Argo

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  • Interssante e commovente
    Suscita in chi è ormai lontano un'indicibile nostalgia della Sicila . Complimenti e auguri

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