Salvatore Lupo tra Storia e romanzo storico. Una storia di mafia e amore

Una storica legge e recensisce il romanzo di uno storico. Accade oggi su Argo, con Marina Mangiameli che ci parla del romanzo epistolare scritto da Salvatore Lupo, pubblicato nel 2023 da Zolfo Editore.

Che uno storico scriva una storia può sembrare ovvio. Se poi la “trama” che sceglie di ricostruire, e, in parte, di inventare, a partire dalla realtà, si colloca all’incrocio fra vero e verosimile, anzi meglio, fra storia e romanzo storico, la scelta si fa ancora più interessante. Ed infine benchè tale scrittura possa sembrare coerente con la professione dell’Autore rinomato storico dell’età contemporanea, non è poi così usuale che uno studioso si cimenti con la narrativa.

Ecco perché, conoscendo e apprezzando le opere scientifiche di Salvatore Lupo, si rimane insieme gradevolmente sorpresi e tenacemente ammirati leggendo la sua “Una storia di mafia e amore”(Zolfo Editore, 2023). Si tratta infatti di un lavoro in cui mantenendo intatto lo stile ed anzi esplicitando le fasi e le tecniche del lavoro scientifico, facendo riferimento a fatti e situazioni concrete, con grande maestria nel servirsi dello stile comunicativo dell’epoca, ci si trova quasi senza accorgersene calati in una storia vera ma inventata, inventata ma vera, sorretta e ricamata su di una prosa semplice, diretta, avvolgente.

Sotto forma di un intenso epistolario che coinvolge più corrispondenti in diverse relazioni, amicali, amorose o professionali, emerge poco a poco una vicenda che, per certi versi, sembra svolgersi ai giorni nostri sorretta da carte, documenti (spesso autentici), e da testimonianze molteplici. Tra il 1907 ed il 1928 si racconta la storia di sospetti non verificati e delle loro tragiche conseguenze ed il destino di Petrosino il poliziotto italoamericano che per primo aveva sperato di sconfiggere la mafia.

Originale è poi l’impianto per cui il sentimento amoroso si intreccia con la passione civile ed entrambi si esprimono nei modi e con le parole delle fonti autentiche. In altri termini c’è un passaggio continuo tra l’intreccio delle vicende reali e quello delle vicende sentimentali e fantastiche che si sostengono e si giustificano a vicenda fino a che il lettore è indotto a dimenticare a quale contesto appartengano fatto salva la certezza che l’uno come l‘altra siano coerenti e “vere” rispetto alle conclusioni della più recente storiografia ed al lavoro di storico dell’autore.

Fra Palermo, Napoli, Livorno, e con sullo sfondo Roma e New York, le “carte perdute e ritrovate” si animano progressivamente in un racconto che non ha nulla di artificiale, che è genuinamente drammatico fin dal principio, in cui i piani, le proposte di intervento dello Stato si sa che rimarranno inattuate per una precisa scelta politica anche se la consapevolezza del lettore è sconosciuta ai protagonisti che così incarnano una volta di più le speranze, i desideri dei cittadini, muti astanti ieri ed oggi.

Il lettore sa che le indagini “condotte per vie segretissime” di cui parlano alcune missive lo sono verosimilmente solo nelle speranze dei cittadini onesti, e scorge nell’intrico dei vincoli massonici che avviluppano mafia e società fin nel cuore delle Istituzioni la vera, profonda motivazione del perdurante fallimento delle forze dell’ordine di fronte al fenomeno mafioso.

Lo scambio epistolare svela progressivamente l’organizzazione piramidale della mafia e la difficoltà di reperire le prove dell’esistenza del sistema malavitoso, il suo radicamento sul territorio, le sue intese col potere politico fino ai più alti livelli della gerarchia sociale e politica.

Il lettore rimarrà lievemente turbato di fronte all’assoluto parallelismo con l’età contemporanea delle vicende di quelli che potremmo definire con un termine moderno “collaboratori di giustizia” che affrontano il loro destino in modo non sempre pienamente consapevole, ma comunque importante e tale da rischiare di svelare la realtà in tutta la sua complessità.

Insomma per quanto Rino Perna, funzionario dello Stato, possa scrivere ad Elena “datti pace” le lettere di Elena ad Anna ci testimoniano che, fortunatamente, Elena ha capito che il suo interlocutore “non merita nulla della mia fiducia” e che dunque lei non farà come lui pretenderebbe, non si darà pace ma “mi cheterò perché non posso fare altrimenti”.

Alla fine è la perdita dell’intero dossier nei meandri ministeriali che impedisce a Ermanno Sangiorgi, importante ma ambiguo dirigente dello Stato, così come anche ad Elena ormai anziana, stanca, rimasta senza prove, di scrivere una ricostruzione completa del fenomeno mafioso, della sua origine e delle complicità occulte di cui vive.

Purtroppo non è solo storia. Leggendo la memoria va ai tanti fatti più o meno recenti, degli ultimi decenni, ritorna ai momenti di scoraggiamento e a quelli di speranza che ha vissuto la nostra Repubblica e contemplando il quadro completo non può fare a meno di pensare che il cammino è lungo, impervio, ma necessario.

Legare il passato al futuro è la speranza della protagonista, è importante che continui ad essere anche la nostra.

Argo

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