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25 aprile, il dovere di essere partigiani oggi

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Striscione della manifestazione a Piazza San Babila (Milano) del 2007. Lo striscione è bianco con testo rosso e recita: IERI OGGI DOMANI SEMPRE PARTIGIANI

Di grande attualità e grande chiaroveggenza ci è parso questo articolo di Nino Recupero, apparso nell’aprile 2002, un anno prima della sua scomparsa, su “L’Isola possibile”, e riprodotto all’interno della raccolta di scritti sulla guerra pubblicata da Cuemc nel 2006 con il titolo “Le stelle sono morte”. Ai giovani che potrebbero non saper nulla della Resistenza al nazifascismo e della Costituzione che da essa scaturì, Recupero lancia un messaggio: la Costituzione si può cambiare, non è una realtà mummificata. Ma senza tornare indietro sui grandi principi di democrazia su cui è stata costruita, che hanno nella festa del 25 aprile e nella liberazione dal nazifascismo il loro punto di partenza.

La mia generazione, la prima nata e cresciuta in regime repubblicano, di Costituzione e di Resistenza all’inizio non sapeva nulla: nulla ci dicevano a scuola, nulla nella vita politica. Per circa venti anni, dal 1948 al Sessantotto, la Costituzione infatti è stata “congelata” o “sospesa” dalla élite politica.

Erano gli anni della Guerra fredda, della lotta spietata contro il comunismo da parte della Nato. La Democrazia Cristiana, che governava l’Italia con l’assenso nordamericano, riteneva che alcuni punti della Costituzione fossero troppo pericolosi, ad esempio l’art. 1, dove si parla di Repubblica “fondata sul lavoro”, o l‘art. 11, col “ripudio della guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali”, e ancora le norme sull’autogoverno delle regioni e la Corte Costituzionale.

Tra l’altro si voleva far credere agli Italiani che Repubblica e Costituzione fossero arrivate in Italia alla buona, per voto Popolare e all’unanimità. Non è vero. Senza la Resistenza, senza la lotta armata contro i nazisti e i fascisti non ci sarebbe stata nemmeno la Costituzione né la possibilità di votare. La monarchia resistette fino all’ultimo minuto, letteralmente, prima di piegarsi alla volontà popolare. La destra italiana già dal secolo precedente aveva manifestato la sua preferenza per la politica del bastone, del carcere, della repressione cieca: il fascismo non è nato per caso nel nostro paese. E nemmeno è stato sconfitto per caso.

Per abbatterlo ci volle, oltre lo sforzo bellico degli Alleati, la guerra partigiana: “partigiana” cioè la guerra di chi, per buoni fini si assume la responsabilità di essere “di parte”, mentre il fascismo voleva far credere che gli Italiani fossero tutti in blocco una sola volontà: la volontà di “Lui”, del capo (Mussolini, intendo).

Chi denigra la Resistenza dice: durante il fascismo tutti gli Italiani erano fascisti. Dice che i partigiani in realtà furono poche decine di migliaia. Certo: vorrei vedere, dopo vent’anni di regime totalitario, quando intorno a te non vedi nient’altro. Ma la gente è intelligente, e nei momenti di crisi tutta l’intelligenza di un popolo viene fuori. I disastri della guerra assurda e perduta, il paese distrutto, l’arroganza dei nazisti tedeschi costrinsero tutti a ragionare, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Mio padre, vecchio liberale, distrusse le fotografie del suo matrimonio, perché vi compariva in divisa fascista com’era di moda a quell’epoca. Non era un voltagabbana, semplicemente aveva preso posizione. Mio zio era ufficiale dell’esercito; rifiutò di servire sotto i tedeschi, si fece venti mesi in campo di concentramento vicino Auschwitz e tornò, a piedi, con i capelli bianchi, un anno dopo la fine della guerra. Nessuno dei due era comunista o socialista o rivoluzionario: semplicemente, come milioni di Italiani, anche loro “fecero la Resistenza” come poterono, come dovevano.

Per me, loro figlio e nipote, scoprire la Resistenza vent’anni dopo – tra 1960 e 1962 – fu un atto di scelta. Ce l’avevano tenuta nascosta, dovemmo studiarla. Capimmo che la democrazia parlamentare, il diritto di parola, la libertà di stampa, che in Inghilterra o in Francia o in America appariano “naturali”, da noi in Italia non ce li aveva regalati nessuno, erano stati pagati col sangue dei nostri padri e dei nostri zii, e delle loro donne anche.

Ogni generazione filtra il passato e sceglie ciò che ritiene giusto. La mia generazione ha abbracciato deliberatamente il 25 aprile: Significava credere nella democrazia, e nello spirito della democrazia ancora più che nella lettera. Non solo Costituzione e Resistenza andavano difese, ma addirittura ampliate e attualizzate.

Non nascondiamo i fatti scomodi: diverse ali dei movimento, dopo il Sessantotto, credettero che anche il modeilo di guerriglia armata fosse rimasto attuale, che bisognasse ancora sparare, perché la democrazia era minacciata. […]

Ma a vincere furono ancora una volta gli ideali della Resistenza, perché a difendere e allargare la democrazia non furono i colpi di pistola bensì le sterminate lotte di massa, con la conquista dello Statuto dei lavoratori e almeno in parte dello Stato sociale.

Oggi ci dicono: la Costituzione non è immutabile, lo statuto dei lavoratori si può cambiare, chi difende quelle posizioni è una mummia passatista. Rispondo: cambiare la Costituzione restando fedeli al suo spirito, per accrescere gli spazi di democrazia, ma certamente! E quello che abbiamo cercato di fare negli ultimi trent’anni. Ma a chi dice “cambiare“ però intende “restringere”; a chi vuole concentrare il potere, a chi vuole far finta che non esista l’art. 11 e il rifiuto della guerra, a chi vuole una magistratura asservita al governo, a chi vuole limitare le libertà sindacali. . . a questi io credo che bisogna rispondere: No, al di là di quel confine che è la Costituzione non si torna indietro.

Perciò penso che noi, seconda generazione della Resistenza, possiamo ancora riproporla ai più giovani, con speranza di essere ascoltati.

Non vogliamo trasmettervi una realtà mummificata ma un insieme di principii, un ideale. Viveteli come credete, rendeteli adatti a voi e ai vostri tempi, modificateli, fateli vivere! Perciò credo che valga ancora la pena di riunirsi e di sfilare il 25 aprile, data della Liberazione d‘Italia dal nazifascismo.



                

2 Comments

  1. Io sfilerò con ll’ANPI con la bandiera del PD, in contrapposizione ad un partito siciliano occupato dall’UDC e MPA. Essendo un tesserato del PD non mi possono fermare.

  2. Grazie per aver ricordato con questo sempre attuale pezzo Nino Recupero, che per chi lo conobbe resta esempio indimenticabile di ricercatore e uomo di cultura, oltre che gran bella persona. Discutere con lui diventava sempre una stimolante esperienza di vita.
    Di menti come la sua avremmo tanto bisogno in questo periodo in cui bisogna “resistere”, ma non sappiamo come…

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