Pubblichiamo l’incipit di un editoriale pubblicato, nel mese di marzo, su Le Monde diplomatique, a firma di Benoît Bréville che della rivista è presidente e direttore editoriale. L’articolo ci sembra importante perché, dopo un iniziale approccio storico, offre spunti di riflessione molto attuali. Non solo relativi alla Palestina ma anche ai Paesi dell’Unione Europea, con particolare riferimento alla Francia, dove – scrive Bréville – c’è nell’aria “profumo di colpa per associazione”, tanto che “appena un immigrato commette un crimine, si levano voci che chiedono una legge che penalizzi tutti gli stranieri”. Ma non mancano i possibili collegamenti alla situazione italiana.
Era una delle peggiori punizioni della Grecia antica. Nei casi di assassinio politico o alto tradimento, l’assemblea dei cittadini poteva pronunciare una sentenza di kataskaphê, la distruzione della casa del colpevole e l’esilio della sua famiglia. Questa punizione, scrive lo storico Walter R Connor, era il modo della città di dare forma fisica “all’estirpazione dell’individuo e dei suoi parenti immediati dalla società”. Ogni pezzo della loro proprietà doveva essere ridotto in polvere per evitare che fosse venduto o barattato, e talvolta anche i resti dei loro antenati venivano dissotterrati e gettati fuori dalla città.
Quando si trattava di punizioni collettive, la Cina imperiale non era da meno. Per secoli, applicò il principio della punizione dei parenti, che poteva comportare l’eliminazione delle famiglie di alcuni criminali. Questo poteva estendersi a un’intera discendenza, compresi parenti acquisiti e talvolta anche parenti più lontani. Nel 1402 lo studioso Fang Xiaoru fu accusato di sfidare la legittimità dell’imperatore e giustiziato insieme a tutto il suo circolo, dai suoi nipoti ai suoi allievi e amici – in totale 873 persone.
Tali punizioni draconiane, comuni nell’antichità e nel Medioevo, sarebbero considerate barbariche oggi. La giustizia moderna non si basa sul principio della responsabilità personale? E la legge internazionale non classifica la punizione collettiva come crimine di guerra? Nessuno dovrebbe essere punito per errori che non ha commesso; anche i regimi più autoritari riconoscono questo principio, almeno sulla carta.
In Palestina, tuttavia, l’era della punizione collettiva perdura. Da decenni, Israele ha demolito le case dei palestinesi accusati di terrorismo, anche prima di qualsiasi condanna giudiziaria, lasciando le loro famiglie senza tetto con lo scopo unico di vendetta, umiliazione e intimidazione.
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