Parco di Monte Po, associazioni inascoltate

Dopo un lungo silenzio sulla sorte dei progetti contenuti nel PUI della Città Metropolitana di Catania, per quanto riguarda il Parco di Monte Po, la situazione si è sbloccata con la richiesta di accesso agli atti presentata in data 21 febbraio 2024, da Giusepe Rannisi, in qualità di presidente del Comitato di proposta per l’istituzione del Parco Monte Po-Vallone Acquicella.

E’ stato così possibile avere copia degli elaborati del progetto di “Parco Urbano, cerniera verde, attrezzature per lo sport, inclusione sociale, recupero e ripristino delle aree del fiume Acquicella”, inserito nel Piano Urbano Integrato della Città Metropolitana di Catania, approvato con delibera di Giunta Comunale n. 20 del 30-01-2024.

Il Comitato è quindi ora in possesso del progetto definitivo, redatto dall’associazione temporanea di studi di progettazione, con SAB capofila, vincitrice del bando di Invitalia. E può farne una valutazione, purtroppo non positiva.

C’è, innanzi tutto, una visione di fondo che appare molto lontana da quella del Comitato, che aveva espresso l’auspicio di interventi essenziali che assecondassero le caratteristiche naturali dell’area, già ricca di varietà botaniche e faunistiche, e in grado di offrire la fruizione di evidenze archeologiche, storiche e etno-antropologiche.

Alla società incaricata del progetto, che sconosceva la realtà locale, il Comitato ha inviato il proprio Dossier di analisi e proposte, al quale hanno dato il loro contributo molte professionalità interne alle associazioni aderenti. E successivamente ha inviato un documento di Osservazioni sul progetto preliminare presentato dalla società in occasione degli incontri indetti dal Comune.

Sebbene nella relazione generale che accompagna il progetto definitivo si faccia più volte riferimento al lavoro delle associazioni territoriali e alle analisi preliminari da esse eseguite (es.pag 7), le scelte operate non sembrano tenere adeguatamente conto delle indicazioni. Il progetto definitivo conferma, infatti, l’approccio tenuto nel progetto preliminare, con l’ideazione di strutture di abbellimento, sovrapposte e spesso incongrue rispetto al contesto.

Come esempi di forzature si possono citare gli interventi idraulici. Oltre alla ingessatura dell’affluente destro dell’Acquicella, di cui non si capisce molto il senso, trattandosi di un piccolo corso d’acqua che non presenta particolari criticità, sono stati progettati due laghetti artificiali, con rivestimento in gomma, che verranno alimentati con l’acqua del fiume Acquicella, che scorre più in basso. Per realizzarli saranno necessari interventi piuttosto invasivi sul terreno e la creazione di un sistema di trasporto artificiale dell’acqua verso uno stagno di fitodepurazione da cui l’acqua depurata scorrerà verso i laghetti.

Si prevede, quindi, un meccanismo inevitabilmente soggetto a guasti o danneggiamenti e che necessita di continua manutenzione, quando ancora non è chiaro chi dovrà farsi carico – e in che modo – della gestione del parco.

Sono poi state previste strutture di ‘abbellimento’ non sempre rispettose della naturalità dei luoghi, un teatro “belvedere” ligneo in cima a Monte Po, sicuramente scenografico ma di cui non è chiaro l’impatto visivo, tanto da aver sollecitato alcune prescrizioni da parte della Soprintendenza, un’altalena panoramica, sempre sulla cima, di cui non si sentiva proprio la necessità, una piazza soprelevata in cemento (sia pure drenante, “con inerti di boro silicati che richiamano la preesistenza della discarica bonificata”) accanto agli edifici di Casa Costarelli, che saranno messi in sicurezza ma circondati con barriere didattiche che ne illustrano la storia impedendo però l’avvicinamento. E potremmo continuare con altri esempi.

Alcuni di questi interventi, tra l’altro, complicano o precludono la possibilità di futuri scavi archeologici in un’area che – come è stato ripetutamente segnalato ai progettisti – è già stata oggetto di ritrovamenti e da cui potrebbero emergere ulteriori reperti.

Poco da ridire sui percorsi pedonali e ciclabili, anche se talora su passerelle, o sulle attrezzature per il fitness e area polisportiva, con un corredo che avrà comunque bisogno di cura e manutenzione. Ma c’è il nodo problematico della forestazione, in quanto si prevede il taglio di parte della vegetazione naturale e spondale, e l’introduzione di piante non autoctone o che sono tali ma richiedono lavoro di cura e utilizzo di acqua e manodopera, con relativi costi non indifferenti. Ci riferiamo, in particolare, alla creazione di giardini di agrumi che pongono una ipoteca su spese future, non necessarie se si preferisse la piantumazione di alberi che crescono in autonomia come querce, pioppi, salici….

Poco convincente la proposta di “evitare le barriere” creando un “perimetro permeabile” che rischia di esporre l’area a vandalismi di vario tipo. Anche perché l’idea che il parco possa essere gestito dall’ente pubblico insieme alle associazioni territoriali è da queste condivisa ma non è stata ancora concretizzata da accordi con l’Amministrazione.

I progettisti, infine, non hanno adeguato il progetto alle prescrizioni della Soprintendenza, rimandando l’esecuzione delle modifiche richieste alla fase di elaborazione del progetto esecutivo, per il quale – come dicevamo – si attende ancora la definizione della linea di finanziamento, ancora non chiara. La stessa Soprintendenza ricorda che ci si dovrà anche attenere, per le opere idrauliche, alle prescrizioni del Genio Civile e della Autorità di bacino.

Il percorso è ancora lungo. A seguirne lo svolgimento non sarà più l’Urbanistica ma la Direzione Lavori Pubblici, che si troverà a portare a termine il progetto di un parco di quartiere che rischia di imbrigliare la natura più che valorizzarla e proteggerla.

Non sembra ci siano le premesse perchè l’Amministrazione torni a prendere in considerazione l’idea del grande parco territoriale, da Monte Po alla foce dell’Acquicella, proposto dal Comitato e capace di ridare respiro e coesione alla città. La città resterà al palo con la sua fame di verde e di inclusione sociale, e con lei il Comitato promotore e il suo ricco dossier di analisi e proposte.

Su questa prospettiva di ampliamento, paradossalmente, tornano invece più volte i progettisti, parlando persino di una “direttice verde-blu che connetterà l’area al mare” e ad una zona dunale di grande pregio (pag 20, ma anche altri passaggi della relazione generale).

Il parco a cui pensa l’Amministrazione è molto più limitato e si espande sui circa 28 ettari di terreni di proprietà del Comune. E’ stata di recente bruciata la possibilità di includervi almeno quelli della Fondazione Val di Savoia, circa 40 ettari che il Comune già deteneva in affitto e che l’Arcivescovo, responsabile della Fondazione, si era dimostrato disponibile ad autorizzare, in ottemperanza allo spirito dello Statuto, avendo riconosciuto l’alto valore sociale del progetto.

L’Amministrazione ha ritenuto, invece, di non poter sostenere né il costo del canone di affitto (solo diecimila euro l’anno) nè quello periodico, questo sì non indifferente, della rimozione dei rifiuti, spesso scaricati in quest’area, mantenuta comunque in stato di abbandono. Ameno una parte delle particelle di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari è stata invece inserita nel progetto definitivo, anche se non sappiamo a quali espropri possano essere destinati i 900.000 euro previsti, nel quadro economico, per questa finalità.

Temiamo che prevarranno gli interessi di bottega e di partito, con una classe dirigente asserragliata a difesa di decisioni poco lungimiranti, e con un sindaco che ha già perso la scommessa fatta con le sue dichiarazioni iniziali, quando affermava di voler mettere la faccia sulla difesa della trasparenza e sulla capacità di risposta ai diritti dei cittadini.

Argo

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