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Premierato, se lo conosci lo eviti

Sul progetto di riforma costituzionale caro alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, pubblichiamo un approfondimento del costituzionalista Ettore Palazzolo, collaboratore di Argo. L’analisi, provvisoria così come provvisorio è il progetto ancora in discussione al Senato, è stata presentata e discussa nel corso di un incontro organizzato dal circolo catanese dell’associazione Volereleluna.

La forma di governo proposta dal Governo Meloni non ha eguali in nessuno degli Stati del mondo (a parte Israele e per un breve periodo) e configura una sorta di iper o ultra-Presidenzialismo. Vediamo perché.

A. L’abolizione della separazione dei Poteri

Con la votazione mediante unica scheda elettorale del candidato alla Presidenza del Consiglio e dei parlamentari ad esso collegati, e con l’abolizione (di fatto) dell’istituto della sfiducia parlamentare viene sostanzialmente abolita la separazione dei Poteri (Esecutivo/Legislativo) e il ruolo del Parlamento come Potere indipendente. 

Ciò avviene sia a causa del trascinamento derivante dal collegamento tra scelta dei parlamentari e scelta del Presidente del Consiglio, sia a causa dell’introduzione di un notevole premio di maggioranza «in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri».

Non esisterà più un Potere legislativo non solo (formalmente) distinto, ma anche autonomo e indipendente dall’Esecutivo. Rimarranno soltanto due Camere che costituiranno, nel loro complesso, un organo/apparato servente dell’Esecutivo/Premier: destinato, ancor più di adesso, a convertire in legge i sempre più numerosi Decreti legge del governo o i (pochissimi) disegni di legge (quasi nessuno di iniziativa parlamentare), come in gran parte, avviene già. 

In nessuna forma di governo democratica, né parlamentare né presidenziale (USA e Francia). il Parlamento – il quale rappresenta la Nazione, nel suo complesso – viene talmente ridimensionato, ricevendo una così grave mortificazione. 

Osservo che nei paesi che adottano un sistema presidenziale (sia USA che Francia) Presidente e Parlamento/Congresso costituiscono due Poteri ben distinti. Negli USA sono due poteri forti che si fronteggiano (si pensi al ruolo del Senato nelle inchieste parlamentari e nell’impeachment). Il Presidente non ha alcun potere di legiferare, ha solo un potere di veto sulle leggi approvate dal Congresso, che può essere superato da un voto a maggioranza dei 2/3 dei Senatori. Egli inoltre, che non può essere sfiduciato dal Congresso, non può sciogliere Senato e Camera dei Rappresentanti.

E’ raro poi che un Presidente USA abbia in entrambe le Camere una maggioranza politica a lui favorevole. Il più delle volte almeno una delle Camere non gli è favorevole. Ma questo non comporta alcun effetto sul funzionamento di quella democrazia. Per l’approvazione delle leggi il Presidente dovrà accordarsi, volta per volta con la Camera, o con entrambe, aventi una maggioranza diversa da quello del suo Partito.

In Francia, con il Semipresidenzialismo adottato con la riforma costituzionale di De Gaulle, Presidente della Repubblica e Parlamento sono Poteri nettamente distinti e tuttavia il Presidente può sciogliere le Camere, mentre il Parlamento può sfiduciare, non il Presidente, ma il Primo Ministro, nominato dal presidente. Questo sistema ha portato, più di una volta, alla c.d. cohabitation, la coabitazione cioè fra un Presidente di sinistra ed un Primo Ministro di destra e viceversa (Mitterand e Chirac e Chirac e Jospin). Anche qui si sono posti problemi per la coerenza dell’indirizzo politico, e talvolta non si è stati esenti da conflitti.

Nei sistemi presidenziali, vige pertanto una netta separazione dei poteri e tuttavia il tema della governabilità e della coerenza dell’azione di governo – che certamente si pone – non viene vissuta nei termini parossistici che assume da noi. Nessuno ha mai messo in discussione, in Francia e negli USA, la forma di governo vigente nei rispettivi ordinamenti: il Presidente dovrà accordarsi, in qualche modo, con l’opposizione che controlla la maggioranza politica in uno o nei due rami del Parlamento.

Il Ddl costituzionale sul Premierato prevede invece l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, congiuntamente a quella per il rinnovo delle Camere, attribuendo alla coalizione collegata al candidato premier vincente un premio di maggioranza consistente nel 55% dei seggi. Una percentuale esorbitante se non viene previsto un quorum minimo, come peraltro prescrive la Corte costituzionale, e comunque enorme anche nel caso il quorum venga fissato al 40 o al 45% dei seggi ottenuti.

Si verrebbe così a creare, per effetto del traino, ma anche del premio, una maggioranza in Parlamento che è tale, non per meriti propri, ma perché di fatto trascinata dall’elezione del presidente del Consiglio e dal premio di maggioranza, ancor più se mediante liste bloccate, come avviene ormai da anni. 

Senza premio di maggioranza una maggioranza politica potrebbe non esistere, sarebbe cioè una maggioranza relativa, quindi in realtà una minoranza. Nei Premierati seri (modello britannico o Westminster) il Premier è il Leader del Partito o della maggioranza parlamentare e deve dimettersi in caso di sfiducia o se cessa di essere il Leader della maggioranza o del partito di maggioranza. 

Non si capisce quale sia il senso della torsione ultra-maggioritaria prevista per la legge elettorale, quando viene – di fatto – sottratto al Parlamento il potere di esprimere un Governo, che sia altro da quello il cui Presidente è stato eletto direttamente. Come pure viene, di fatto, sottratto alle Camere il potere di sfiduciarlo. 

B. L’ abolizione (di fatto) dell’istituto della sfiducia parlamentare.

Secondo il progetto di legge sul Premierato, il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere. E’ una grave sgrammaticatura costituzionale: se il Premier è eletto direttamente, è dal Corpo elettorale che ricava la fiducia e l’introduzione di un’ulteriore fiducia da parte delle Camere sarebbe una contraddizione in termini. Oltretutto, tale pseudo «fiducia parlamentare» sarebbe facilissima da ottenersi, particolarmente all’inizio di una legislatura, considerato non solo la stragrande maggioranza di cui l’Esecutivo potrà godere ma anche per la consapevolezza di ogni singolo parlamentare di essere stato eletto al traino dell’elezione del Premier. Per non parlare poi del meccanismo della lista bloccata! 

Oltretutto è espressamente previsto che la mancata fiducia iniziale (ipotesi puramente teorica), come pure la sfiducia nel corso della legislatura, possano determinare lo scioglimento delle Camere. E come si può pensare ad un Parlamento libero e indipendente quando la conseguenza pressoché sicura dell’approvazione di una mozione di sfiducia è lo scioglimento delle Camere? Quali e quanti parlamentari della maggioranza, ma anche dell’opposizione, avranno il coraggio di votare tale mozione, che comporterà per gran parte di essi, la cessazione della loro carriera politico/parlamentare?

Viene poi introdotta la cosiddetta norma antiribaltone, allo scopo di evitare che il Parlamento possa dare vita alla formazione di maggioranze e di Governi, di segno differente da quello scelto dai cittadini, consentendo, al contempo, una certa elasticità al sistema. Si prevede così che, «in caso di cessazione dalla carica (sic! altra sgrammaticatura) del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica possa conferire l’incarico di formare il Governo soltanto al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto», a condizione però, in quest’ultima ipotesi, che si impegni ad attuare le dichiarazioni relative agli impegni programmatici sui quali il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. 

Ora, a parte quest’ultima condizione del tutto risibile (a chi spetta valutare e sanzionare ciò?), emergono una serie di paradossi: a) in questa previsione, viene radicalmente accantonato il principio dell’elezione diretta del Premier; b) il Presidente eletto direttamente può discostarsi, di fatto – anche se non lo ammetterà mai – dagli impegni programmatici sui quali ha ottenuto la fiducia, il Presidente subentrante, invece, NO; c) il Premier subentrante, che ha ricevuto la fiducia dalle Camere, ma non dai cittadini, avrebbe peraltro un potere maggiore di quello eletto direttamente potendo, all’occorrenza, chiedere ed ottenere pressoché automaticamente, lo scioglimento delle Camere, senza che il Presidente della Repubblica possa prospettargli possibili alternative.

Si parla poi di cessazione dalla carica, a parte l’evidente ulteriore sgrammaticatura. Solo in caso di morte potrebbe propriamente parlarsi di cessazione, che, invece, secondo chi ha scritto la legge, potrebbe verificarsi a seguito di differenti cause: dimissioni unilaterali o per dissensi all’interno della compagine governativa o della stessa maggioranza, oppure a seguito di morte o di impedimento grave. Tutte queste ipotesi non vengono specificate, né in caso di impedimento (per malattia grave o altro) è chiaro chi dovrebbe svolgere le funzioni di Presidente supplente, in mancanza di indicazioni o dimissioni espresse dall’interessato/a.

C. Riduzione dei Poteri del Presidente della Repubblica, di fatto e di diritto.

a) Quanto al potere di nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministri: si dirà che anche adesso, in un sistema parlamentare, il Presidente della Repubblica dovrebbe adeguarsi al risultato delle elezioni politiche e non potrebbe discostarsi da un’indicazione unanime e univoca delle forze politiche di maggioranza vincitrici alle elezioni. Verissimo. E tuttavia nel caso queste dovessero indicare per la Presidenza del Consiglio Matteo Messina Denaro? Orbene, nell’ordinamento attuale il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di dar seguito all’indicazione anche unanime della maggioranza uscita vincitrice dalle elezioni, anche in base all’art. 54 Cost. (che prescrive disciplina e onore per chi rivesta cariche pubbliche), mentre con l’introduzione del Premierato questo sarebbe assai complicato, ed il rifiuto da parte del Capo dello Stato potrebbe determinare un gravissimo conflitto istituzionale. 

Lo stesso per quanto concerne la nomina dei Ministri, che spetterebbe solo formalmente – come recita il progetto – al Presidente della Repubblica, ma di fatto al Presidente del consiglio eletto direttamente, il cui potere «di proposta» sarebbe solo formalmente tale, trattandosi, in realtà, «di vera e propria decisione». E la prova del nove è che in caso di conflitto con il Capo dello Stato, il Presidente del consiglio potrebbe appellarsi al Popolo, proclamando che il Presidente della Repubblica gli impedisce di governare, come deciso dai cittadini.

Analogamente per tutti gli altri atti e poteri presidenziali che devono portare la firma del Presidente della Repubblica.

b) Lo stesso ragionamento potrebbe applicarsi all’istituto dello scioglimento delle Camere. Nella storia repubblicana il potere di scioglimento non è mai stato soltanto presidenziale in senso stretto, ma condiviso con il governo in carica e quindi con il suo Presidente (che vi appone la controfirma). E tuttavia in tale progetto di modifica costituzionale, il potere di proposta del Presidente del consiglio va considerato come un potere sostanziale di decidere lo scioglimento, e diventerebbe, a tutti gli effetti, vincolante, con un irrigidimento complessivo, senza alcun margine di discrezionalità e di duttilità istituzionale per il Presidente della Repubblica.

c) Quanto all’abolizione del potere di nominare dei Senatori a vita, è paradossale che la forza politica che è sembrata battersi per il merito, l’esaltazione della Patria e la valorizzazione degli italiani e del made in Italy, voglia adesso eliminare la facoltà presidenziale di nominare «senatori a vita cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Sembra quasi si sia voluto evitare che il Presidente della Repubblica possa nominare Senatore a vita una personalità di forte spessore che possa, in qualche modo, fare da contraltare al Premier in Senato, e non solo.

D. Fine della democrazia rappresentativa (ma, per favore, non si venga a parlare di democrazia diretta). Al di là di tutte le nefandezze cui abbiamo assistito in questi anni, le Assemblee elettive sono state il cardine della democrazia rappresentativa. Essa, come dichiarava un conservatore come W. Churchill, era la peggiore forma politica, ad eccezione di tutte le altre.

E la rappresentanza del popolo è necessariamente una rappresentanza plurale, che deve rispecchiare il pluralismo (economico, sociale, religioso, di valori, ideali e interessi) esistente nella società, ma anche il pluralismo politico che si esprime – come recita la Costituzione – attraverso i partiti, ineliminabile veicolo di partecipazione democratica.

In questa configurazione il governo rappresentativo deve – sia nelle forme parlamentari, sia in quelle presidenziali – essere espressione di questa rappresentanza, o, comunque, la risultante di una dialettica effettiva fra Esecutivo e Assemblee rappresentative. Poi si possono introdurre strumenti di razionalizzazione del rapporto fra Potere legislativo/Governo, quale ad es. la c.d. sfiducia costruttiva, o l’intervento sulle leggi elettorali o altri marchingegni.

L’elezione diretta di un Capo, sia o meno connessa con la votazione per le Assemblee parlamentari, costituisce un vulnus all’intero sistema democratico costituzionale. La democrazia non ha bisogno di Capi e laddove ci sono dei Capi, difficilmente può albergare la democrazia. Se le elezioni si riducono alla intronizzazione di un Capo ciò appare quanto di più lontano dalla democrazia rappresentativa e molto vicino a modelli autoritari, se non apertamente autocratici. 

Gli stessi modelli presidenziali nei quali si elegge un Presidente sganciato dalla rappresentanza parlamentare, possono essere ritenuti compatibili con la nostra Carta costituzionale, solo a condizione che rispettino il pluralismo e la dialettica fra i Poteri e con le altre istituzioni di garanzia.

Il potere del Popolo, cui si richiama l’attuale maggioranza di governo nella formulazione di questa proposta, è ridotto ad un mero potere di investitura e, dal punto di vista sostanziale, al potere di dar vita ad una Dittatura elettiva. Il Popolo sarebbe sovrano solo il giorno delle elezioni e schiavo per 5 anni (J.J. Rousseau). Se si fosse coerenti con il principio della democrazia diretta e si volesse davvero restituire lo scettro al Popolo, occorrerebbe almeno attribuirgli il potere di sfiducia/revoca del Premier eletto – potere finora appartenuto al Parlamento – per esempio mediante un referendum popolare. Ma questa maggioranza si guarda bene dal proporre una sfiducia /revoca mediante un pronunciamento popolare…

E. La sciocchezza del modello del «Sindaco d’Italia». Particolarmente insidiosa, ma da smontare subito, è la tesi secondo cui la proposta di Meloni non sarebbe altro che quella del Sindaco d’Italia. La tesi si basa sul ragionamento secondo cui se una forma di governo va bene per l’elezione del Sindaco e dei Consigli comunali, dovrebbe andare bene anche per il vertice dello Stato. Ma tale ragionamento appare viziato alle radici: si confonde Politica ed Amministrazione. 

Il Governo, a differenza del Sindaco, è titolare di ben altri poteri: dispone già di tutti gli apparati, Polizia, Carabinieri, forze Armate, Ministero degli interni, con la rete dei Prefetti, Servizi segreti, ecc.

Con la riforma in questione l’Esecutivo ed il suo Presidente disporrebbe della maggioranza parlamentare e controllerebbe il Parlamento, che diventerebbe un organo servente o ancillare dell’Esecutivo. 

Il risultato del voto per il Parlamento, nel caso di votazione congiunta – quale quella prevista dalla legge per l’elezione di Sindaci e Consigli comunali – verrebbe in realtà ad essere drogato dall’elezione diretta del Premier: gli elettori voterebbero in blocco in base alla maggiore o minore simpatia che suscita un candidato premier. Se a questo si aggiunge poi il premio di maggioranza ed il carattere bloccato delle liste, si verificherebbe un fortissimo effetto di trascinamento, con una profonda alterazione e manipolazione delle regole della democrazia.

La maggioranza amplissima su cui potrebbe contare il Premier inciderebbe sui diritti fondamentali. Sarebbe possibile eleggere 5 giudici costituzionali, condizionare la Magistratura con l’elezione di un terzo di componenti del CSM, nominare le autorità indipendenti (di garanzia) ed eleggere il Presidente della Repubblica.  E, per finire, cambiare la Costituzione…

E tutto ciò anche se la coalizione vincente, trainata dal Premier, non sia espressione di una piena maggioranza numerica in termini di voti elettorali, ma soltanto di una maggioranza relativa (e quindi, in realtà, soltanto di una minoranza nel Paese).

Solamente un analfabeta del sistema costituzionale può accostare con faciloneria la tendenziale alterazione di tutti gli equilibri costituzionali, insita in tale proposta di Premierato, alla forma di governo prevista per l’elezione dei Sindaci e dei Consigli comunali.

F. Conclusioni

In conclusione, il modello di «Premierato» previsto dal progetto di revisione costituzionale, che, ribadiamo, non ha precedenti al mondo, costituisce tecnicamente una forma presidenziale «monistica», a differenza di quelle che conosciamo (Francia e USA) a carattere invece «dualistico».

Si obietterà che in Gran Bretagna è presente un modello «monistico» nel quale il Premier o il Presidente del consiglio è anche il leader dalla maggioranza parlamentare. Ma in questi Paesi il Parlamento rimane sovrano, potendo in qualsiasi momento negare la fiducia al Premier e sostituirlo, come abbiamo visto proprio nella patria del parlamentarismo, dove nell’arco di una legislatura abbiamo visto succedersi tanti Premier (Cameron, Johnson, Teresa May, ecc. ) quanti da noi in un decennio e oltre.

In Gran Bretagna il monismo è, infatti, a trazione parlamentare, mentre la proposta sul Premierato prevede un monismo a trazione governativa, nel quale il Capo del governo sarebbe, di fatto, anche il Dominus della maggioranza parlamentare.

Questo progetto di premierato che potremmo chiamare anche «assoluto» delinea una «quasi dittatura» (Zagrebelsky): capocrazia lo ha definito il costituzionalista Ainis, con una gravissima alterazione degli equilibri costituzionali. 

Deve allora essere contrastata a tutti i costi l’elezione diretta, soprattutto se congiunta, del Presidente del consiglio e del Parlamento, con o senza scheda unica.

Se si intende affidare al Popolo l’elezione diretta del Presidente del consiglio, in coerenza con un principio desunto dalla democrazia diretta, occorre allora attribuire al Popolo/Corpo elettorale il potere di revoca, cioè di poter sfiduciare il Premier, mediante referendum popolare, dopodiché prevedere nuove elezioni e/o, eventualmente, la nomina di un successore ad interim. Va assolutamente salvaguardata l’indipendenza del Parlamento e la rappresentanza plurale. E questo può e deve avvenire soltanto mediante una legge elettorale proporzionale. E a tale proposito va detto un chiaro No alla costituzionalizzazione del sistema elettorale maggioritario con premio di maggioranza. 

Ottenere pieni poteri era l’obiettivo di Salvini al Papeete ed ora di Meloni e dei suoi con la riforma del Premierato: un disegno di legge che stravolge gli equilibri costituzionali, riducendo il ruolo del Parlamento e del Capo dello Stato e svuotando il senso del voto dei cittadini (Nadia Urbinati). Stiamo andando verso un Regime?

Argo

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