Ogni cinque anni un bambino del Sud perde un anno di scuola rispetto ad un coetaneo del Nord. Lo dice lo Svimez (SViluppo dell’Industria nel MEZzogiorno) nel suo ultimo rapporto annuale.
Con la cosiddetta Autonomia Differenziata, questa – e altre – diseguaglianze cresceranno ulteriormente. Ne ricordiamo alcune: nella scuola primaria nel centro-nord il 46% dei bambini non fruisce del servizio mensa, un dato che al sud riguarda il 79% dei bambini. Il tempo pieno riguarda il 18% degli allievi del Sud, al Centro-Nord il 48%. Percentuali simili anche rispetto alla presenza delle palestre. Ancora, il Mezzogiorno ha le scuole con la disponibilità più bassa sia per i trasporti urbani (78 per cento) sia per gli inter-urbani (40 per cento).
Un dato è, però. in controtendenza: il 57 per cento delle scuole in Italia ha quasi 50 anni, la porzione maggiore di edifici costruiti prima del 1975 è nel Nord, ma è il Mezzogiorno ad avere la percentuale minore di scuole con certificato di agibilità (solo il 32 per cento contro il 52 per cento del Nord) e con libretto di omologazione dell’impianto termico (il 38 per centro contro il 51 per cento del Nord).
Drammatico, inutile a dirsi, il quadro della dispersione scolastica. Il nostro Paese è al quarto posto in questa speciale classifica in Europa, Catania si caratterizza per il più alto tasso di dispersione in Europa.
L’Autonomia Differenziata non si limiterà solo a rendere strutturali, e ad approfondire, queste differenze, il che sarebbe comunque gravissimo, ma rimetterà in discussione il carattere unitario e nazionale dei processi di educazione e di istruzione.
Come si legge nel sito del MIM (Ministero dell’Istruzione e del Merito), attualmente “il sistema educativo di istruzione e di formazione italiano è organizzato in base ai principi della sussidiarietà e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Lo Stato ha competenza legislativa esclusiva per le “norme generali sull’istruzione” e per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Lo Stato, inoltre, definisce i principi fondamentali che le Regioni devono rispettare nell’esercizio delle loro specifiche competenze”.
Tutto questo verrà stravolto dall’Autonomia Differenziata.
In primo luogo, un insegnante del Nord, pur svolgendo lo stesso lavoro, potrebbe avere uno stipendio maggiore rispetto ad un collega che insegna al Sud. Questo perché nelle regioni del Nord il residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto i contribuenti versano e quanto ricevono in termini di spesa pubblica, è maggiore di quello del Sud.
Ancora, una regionalizzazione dell’istruzione significherà anche programmi scolastici non più unitari e una gestione amministrativa delle scuole differente da regione a regione, con il rischio di un ulteriore attacco alla stessa libertà di insegnamento. Soprattutto, verrà rimesso in discussione quel processo, lungo e complesso, che ha permesso all’Italia, in primo luogo grazie alla scuola, di costituire una sua identità culturale e garantire quella mobilità sociale che, come afferma la Costituzione, fa sì che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
In sostanza, c’è molto di cui essere preoccupati, anche perché non vi è dubbio che questa controriforma determinerà anche un ulteriore attacco ai diritti e allo stato sociale, attraverso nuovi processi di privatizzazione.
Per fermare tutto questo il Tavolo No Autonomia differenziata e il Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, l’uguaglianza dei diritti e l’unità della Repubblica: hanno organizzato per sabato 16 marzo una grande manifestazione nazionale a Napoli in piazza Garibaldi.
Guarda il video “Un paese, due scuole”, a cura di Svimez con il contributo di Antonio Fraschilla
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