Storia locale e storia generale, storia ecclesiatica e storia della città

È stata recentemente presentata l’ultima fatica storiografica di Adolfo Longhitano, Aci Aquilia nelle visite pastorali del vescovo di Catania Michelangelo Bonadies (1665-1686), a cura di Orazio Condorelli, ordinario di diritto ecclesiastico e diritto canonico presso il nostro Ateneo.

Più che ultima sarebbe più corretto dire ennesima, come ha giustamente affermato Condorelli in apertura del suo intervento sciorinando la sorprendente quantità di settori in cui spazia l’attività pubblicistica dell’autore: dal diritto canonico, suo settore di interesse elettivo, alla storia delle chiese di Sicilia e a quella di Catania in particolare (biografie di vescovi, atti delle visite pastorali dal 1550 al 1900), dalla storia delle parrocchie a quella delle istituzioni civili, come l’Università di Catania, senza disdegnare gli interventi su vicende contemporanee della nostra Chiesa.

Preziosa in particolare, come in questo caso, è la pubblicazione commentata delle fonti dei suoi studi fondamentali che, assieme a quelle del compianto Gaetano Zito, rappresentano un apporto fondamentale per la storia della Chiesa di Catania.

Ma si tratta solo di questioni di interesse ecclesiastico?

Leggendo in trasparenza gli atti delle visite pastorali del vescovo Bonadies ad Aci Aquilia, l’odierna Acireale, allora parte significativa della più ampia diocesi di Catania, si capisce subito che l’oggetto del discorrere non riguarda solo la vita religiosa ma quella civile tout court.

Bonadies fu vescovo nella seconda metà del ‘600, nel contesto, cioè, della cosiddetta Controriforma e della piena attuazione delle disposizioni pastorali stabilite in seguito al concilio di Trento (1545-1563).

Apprezzabile, in questo senso, appare subito l’inserimento, al capitolo secondo del volume, di un conciso ma efficace excursus su ‘Riforma cattolica, Riforma luterana, Controriforma e crisi giansenista’ che aiuta anche il lettore non addetto ai lavori a orientarsi in una corretta contestualizzazione dei materiali pubblicati.

Questo lavoro dimostra, ancora una volta, la fecondità del rapporto tra storia locale, storie di settore e storia generale: è dalla conoscenza diretta delle fonti della microstoria che è possibile inquadrare il frammento della storia locale nel contesto della storia più generale.

Da questo inquadramento si capisce infatti che quella delle visite pastorali era una pratica non nuova nella storia della Chiesa, ma fortemente rilanciata dopo il concilio di Trento, che imponeva ai vescovi, ormai obbligati alla residenzialità, a visitare ogni uno o due anni, tutte le realtà delle loro diocesi per vigilare sulla ortodossia dottrinale, sull’osservanza dei buoni costumi e la contestuale correzione dei cattivi, sulle attività pastorali, sui luoghi, le cose, le persone, lo stato patrimoniale, la corretta conservazione degli atti e dei documenti.

Particolarmente significativi, a conclusione delle visite, era l’emanazione di ‘Directoria’ e ‘Ordinationi generali’ che contenevano le indicazioni operative cui si dovevano attenere i responsabili della chiesa locale e che di fatto, servivano a ribadire che le parrocchie, oltre che a ordinare e disciplinare la pratica religiosa, erano lo strumento che consentiva alla Chiesa di avere il controllo della società.

Particolarmente interessante, da questo punto di vista appare, nel capitolo terzo, il secondo paragrafo ‘Cura delle anime e controlli sociali’ (pp. 76-87), dove, oltre alla catechesi per i fanciulli e alla predicazione per gli adulti, si analizza l’insieme delle attività della cura d’anime tracciando un sistematico parallelo tra i cosiddetti ‘riti di passaggio’ della vita umana – nascita, età della ragione, matrimonio, morte – e la celebrazione dei sacramenti, la cui inosservanza era spesso sanzionata, anche pesantemente.

Questo collegamento obbligatorio, nota Longhitano, tra fasi della vita e “sacramenti che presuppongono la fede hanno determinato un’ambiguità di fondo, dovuta in gran parte al nesso indissolubile esistente fra società e fede cristiana. La fede cristiana non era una scelta libera e consapevole del cittadino, ma una conseguenza necessaria della sua appartenenza sociale.”

Ma così facendo “il cristianesimo era diventato una ‘religione civile’, cioè una religione vissuta come prassi sociale obbligata e non necessariamente collegata alla fede.” (p. 80)

È ciò che gli storici definiscono come ‘regime di cristianità’, caratterizzato da una più o meno profonda compenetrazione tra società civile e società religiosa, una relazione indissolubile fra una chiesa istituzionale e il potere politico, fra cui possono insorgere anche gravi conflitti ma che comunque disegnano i tratti di una società coesa.

Questo è il motivo per cui quello di Longhitano appare un contributo importante non solo per la storia della Chiesa di Catania ma per ricostruire una storia della città di Catania.

Un’ultima domanda, in chiave di attualizzazione, suscita in noi questo lavoro: ma si tratta di fenomeni ormai del tutto superati? Non si direbbe.

Basti citare, in anni molto vicini a noi, in una situazione storica completamente diversa, il cosiddetto ‘ruinismo’ – con riferimento al cardinal Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana dal 1991 al 2007 – ha provato a ricostruire questo rapporto di reciproco sostegno fra l’autorità civile e quella ecclesiastica. E ancora oggi, nella pratica religiosa ordinaria, malgrado il Concilio Vaticano II, non è difficile riscontrare elementi che risalgono a quella concezione religiosa.

Si possono citare come esempi l’esaltazione delle espressioni della religiosità popolare, la prassi di celebrare numerose messe domenicali nella stessa chiesa invece di riscoprire la dimensione comunitaria della celebrazione, il ritorno diffuso al culto eucaristico al di fuori della messa e ad altre forme devozionali.

E allora, la storia è veramente maestra di vita?

Argo

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