Il Vescovo Luigi Renna e l’imam della Moschea della Misericordia, Kheit Abdelhafid, hanno guidato, nel pomeriggio dello scorso 5 gennaio, una marcia della pace, “partita da piazza Cavour e conclusa con un momento di raccoglimento e di preghiera in Cattedrale”.
Ce ne ha inviato un resoconto Anna Mastropasqua, docente in pensione e membro della comunità di Pax Christi.
“Diverse centinaia di persone in corteo lungo la via Etnea – ci scrive – hanno manifestato il proprio impegno in favore della pace, dando una testimonianza di fede e di responsabilità civile in un momento così difficile e drammatico come quello che si sta vivendo in questi giorni in varie parti del mondo, in modo particolare in Terra Santa e in Ucraina.
“C’è un’alternativa alla guerra” dice l’arcivescovo “e con il marciare e l’ascoltare, come cristiani e come appartenenti ad altre religioni – lo dimostra la presenza dell’imam di Catania – ci si rivolge direttamente a Dio, che è Signore della pace”.
Per far questo, afferma, ”vogliamo conservare nei nostri cuori la speranza, farla germogliare, pensarla. Occorre educarsi alla speranza della pace – anche quando un pensiero diverso sembra dire che essa è impossibile – iniziando dal proprio cuore, abbattendo i muri che di quei conflitti sono la causa”.
“L’indifferenza è nemica della pace”, afferma l’imam, “la marcia di oggi è un cammino di speranza e dialogo, un cammino da vivere non da soli, ma insieme, non in silenzio ma in dialogo tra gente diversa, per costruire la pace nei paesi ancora drammaticamente colpiti dalla guerra”. E ribadisce la necessità di “ritrovare le vie diplomatiche per risolvere i conflitti e fermare il massacro feroce di bambini, donne e anziani a Gaza, in Ucraina e in altre parti dove la violenza e il disprezzo delle vite umane è diventata una regola”.
“I cartelloni degli studenti, in testa alla marcia con i loro professori – prosegue Mastropasqua – ricordano a tutti come stiamo vivendo in un mondo tragicamente dilaniato da guerre e conflitti, le cui vittime sono migliaia di civili e migliaia di bambini, che vedono negato il proprio diritto alla vita. Altrettanto efficace la presenza degli scout: chiudono la marcia in modo rumoroso e vivace con i loro colorati striscioni, che affiancano le bandiere della pace (poche in verità) dei manifestanti. E ce lo ricorda anche l’intervento pieno di entusiasmo, di vitalità e coraggio di una giovane rappresentante del mondo studentesco.”
Oltre alle parole di Anna Mastropasqua, su questa marcia, ci sono arrivate anche altre osservazioni e considerazioni di cui vorremmo dare conto per avviare una riflessione comune. Altre reazioni le abbiamo trovare sui social o ci sono state riportate in via indiretta,
Certamente apprezzabile il desiderio della comunità cattolica catanese di esprimere in modo attivo la propria condanna della guerra e l’aspirazione alla pace, coinvolgendo anche i credenti di fede musulmana, che costituiscono ormai una presenza numerosa nella nostra città.
Ma le domande sull’evento, e su come è stato organizzato, non sono mancate.
A partire dalla data prescelta, il 5 gennaio, un giorno carico di significato e particolarmente importate nella memoria dei catanesi. E’ infatti il giorno in cui ogni anno Catania ricorda l’assassinio mafioso di Giuseppe Fava, ucciso per aver denunciato la presenza della mafia nella nostra città, in modo preciso, indicando nomi e complicità. Una commemorazione che non sarebbe dovuta sfuggire agli organizzatori e che avrebbe potuto e dovuto, in ogni caso, essere ricordata, per l’alto valore educativo che tuttora conserva.
Il mancato coivolgimento delle altre chiese cristiane, alcune delle quali, peraltro, molto attive sul piano dell’impegno civile e a favore della pace, è stato osservato da Ettore, che ci ha ricordato anche le manifestazioni per la pace organizzate in passato ‘dal basso’, con la partecipazione attiva di uomini di Chiesa come don Tonino Bello, padre Alex Zanotelli, monsignor Luigi Bettazzi, che si mescolavano – tuttavia – con semplicità agli altri partecipanti, credenti e non credenti, senza rivendicare alcun ruolo istituzionale né ‘firmare’ l’evento con una celebrazione liturgica finale.
L’assenza di un discorso più forte sull’attuale, distruttivo, intervento di Israele in Palestina che sta mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza di un intero popolo, è stata denunciata da Cecilia, che avrebbe voluto una presa di posizione molto più chiara. Senza dimenticare le violenze che vengono esercitate sulla popolazione in varie parti del mondo, e quindi le sofferenze di chi le subisce, la situazione attuale di Gaza, dove si contano già venticinquemila morti civili e dove prosegue la sistematica distruzione di un territorio e della sua gente, le sembra – infatti – un caso a cui dare priorità e sul quale sarebbe stato opportuno esprimersi in modo molto più netto, arrivando a chiedere a gran voce un immediato cessate il fuoco. Non averlo fatto, essersi limitati a citare la Palestina come uno degli attuali fronti di guerra le è sembrato un errore, un modo per togliere valore all’evento stesso, tanto da indurla ad abbandonare il corteo.
Di un inguarible protagonismo delle autorità presenti alla fase iniziale della manifestazione, ha parlato Ignazio. Sul palchetto montato in piazza Cavour, oltre al vescovo e all’imam, sono saliti il vicesindaco, l’assessora alle pari opportunità (che non ha mancato di fare riferimento ai femminicidi) e qualche altra autorità che hanno ritenuto di fare il proprio discorsetto per poi abbandonare di fatto la manifestazione. Una passerella non insolita, ma certo non appropriata in un momento in cui la situazione internazionale è davvero gravissima e richiederebbe ben altra serietà di approccio. Ed anche un’analisi politica più coraggiosa che individui le responsabilità, presenti a più livelli, dei principali attori internazionali (Stati Uniti, Israele, Paesi Arabi, Russia, Ucraina, ecc.) e anche delle comparse (tra cui l’Europa e l’Italia), incapaci di un discorso autonomo e di scelte indipendenti. Analisi che nessun ha fatto e alla quale nessuna ha provato ad accennare.
Riteniamo che il tentativo di mettere in comune le osservazioni e le perplessità a noi pervenute, a cui altre se ne potrebbero aggiungere da parte di chi volesse proseguire nell’analisi critica, possa costituire per tutta la città e per la chiesa locale in particolare, un’occasione di riflessione, utile per il futuro.
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Con un po' di parresia in più andrebbe aggiunto come mai le bandiere della pace fossero "poche in verità"...
Concordo con Ettore che certe assenze fossero ingiustificabili.
Mi sembra che per fare critiche bisogna ascoltare ed esserci. Concordo con fare notare l'assenza di altre chiese presenti a Catania e con le quali la diocesi collabora, per il resto non concordo perché durante e al momento conclusivo le denunce sono state fatte. Forse ancora i catanesi non sono abituati a schierarsi e marciare INSIEME per la pace, ma dobbiamo avere pazienza, intanto abbiamo iniziato.
sì, penso che sulla Palestina qualcosa di più forte l'altra sera si poteva dire