Prosegue il racconto di Nino Bellia sul percorso dell’Osservatorio Urbano e Laboratorio politico per Catania. (foto di Albeta Dionisi)
Proviamo a raccontare in breve a che punto siamo con l’Osservatorio Urbano e Laboratorio Politico per Catania? Ebbene, siamo arrivati alla terza fase della nostra storia, la fase dei documenti da regolarizzare, dell’Unità di Strada da attivare, delle iniziative sportive e musicali, ogni cosa in favore dei tanti giovani, soprattutto africani, bianchi e neri, attirati dal quartiere di San Berillo come falene dalla fiamma della candela.
Ma, anche, fase della ricerca di collaborazioni e della condivisione dei progetti. Mercoledì 29 novembre, presso il salone parrocchiale del “Crocifisso della Buona Morte”, finalmente l’incontro, auspicato e preannunciato da mesi, con l’Arcivescovo della Diocesi di Catania, monsignor Luigi Renna.
Alla riunione presenzia anche l’Imam della Moschea della Misercordia, il signor Kheit Abdelhafid. Ambedue provengono da un altro incontro, presso l’Associazione “Il nodo”, di sicuro assai impegnativo e stressante.
Tocca proprio a me, per specifica responsabilità, presentare agli illustri ospiti i protagonisti dell’Osservatorio, nostri compagni in questa impresa di solidarietà e di speranza nella disperazione, intervenuti, se non al completo, compatti e, come sempre, carichi di una serietà d’intenti che stupisce, l’abnegazione gratuita a una causa tanto complessa quanto ardua da perseguire, una mirabile dedizione degna di stima e di rispetto profondi.
Monsignor Renna chiede che gli si parli dei nostri obiettivi, e che lo si faccia in modo sintetico, a voci alterne e incalzanti. E che si eviti di spostare le questioni sul piano politico. Precisiamo che per noi l’impostazione delle questioni è squisitamente “politica”, proprio nel senso antico dell’amore per la Polis, cioè per la comunità, per l’interesse di tutti, e, quindi, super partes…
Don Luigi, per una giusta preoccupazione di metodo, vorrebbe che si affrontasse un problema per volta: il cibo o la casa, il presidio sanitario o il dormitorio, le alternative culturali o lo sport. Noi ribadiamo che a San Berillo, per la singolare condizione del caso, le priorità sono urgenze ed emergenze, non affrontabili una per una, ma a nuclei convergenti e pressanti.
L’Imam Kheit concorda sulla necessità di trovare le sinergie e di agire tutti insieme. Assai utile, a questo proposito, il contributo di Salvo Pappalardo, vice direttore della Caritas diocesana, opportunamente invitato per diretta iniziativa di Mons. Renna, al fine di aiutarci nel discernimento dei problemi sanitari e legali connessi all’accoglienza.
Salvo ribadisce che a poca distanza da San Berillo, nei pressi della Stazione Centrale, c’è già l’Help Center e che basterebbe indirizzare proprio lì i giovani che gravitano sul quartiere: riceverebbero almeno l’assistenza medica e un pasto. Giustissimo. Ma noi dell’Osservatorio, a nostra volta, insistiamo sulla peculiarità dei frequentatori dello storico quartiere e sulla necessità di entrare all’interno di quelle vie, di farsi presenti, come Unità di strada, almeno una volta la settimana, magari solo per qualche ora, e che questo potrebbe essere un modo per convincere la particolarissima utenza a recarsi spontaneamente all’Help Center.
Quando si parla di sport e musica, i nostri amici si infervorano: don Luigi pensa con entusiasmo alla possibile composizione di un coro gospel e mister Abdelhafid si dichiara pronto a scendere in campo per un torneo di calcio a San Berillo…
Quando la riunione sta per concludersi, chiediamo al Vescovo se esistano locali di proprietà della Diocesi utilizzabili come dormitori, e viene deciso di verificare le condizioni di alcuni ambienti da ripristinare, annessi alla parrocchia del C.B.M.
Prossimo appuntamento? con don Luigi, fra un paio di mesi…con l’Imam, fra due giorni, per una ricognizione nel quartiere, alla ricerca di uno spazio adeguato da destinare ad ambito di preghiera islamica…
La ricerca del locale per la preghiera musulmana e le partite di via Carro
“Docu jà jà jé”
Sabato pomeriggio. Arrivo in ritardo a San Berillo, le partite di calcio già concluse. Ma si sentono ancora i rimbalzi del pallone da basket, i rintocchi del ping pong, e la pallina bianca che spara colpi secchi nelle buche del calcetto. Clima disteso, voglia di giocare e stare insieme, serenamente, spensieratamente. Almeno una ventina di persone si trattengono in via Carro. Man mano che scendo qui, di settimana in settimana, si allunga la lista delle conoscenze e i miei incontri si moltiplicano: Sicilia, Catania, Milano, Venezia, Senegal, Gambia, Nigeria, Mali, Costa d’Avorio, Egitto, Marocco, Algeria, Repubblica Dominicana, Colombia… Con le lingue mi devo arrangiare, e mannaggia all’ignoranza (la mia…).
Dario Di Stefano mi racconta che oggi, prima di cominciare le partitelle in via Buda, aveva preparato scope, palette e sacchi neri, per una ripulita della strada, ma i ragazzi gambiani lo fermano. “Abbiamo già fatto noi…”.
Segnali di cambiamento, certo, anche se appena visibili, forse anche invisibili e, per molti, insignificanti. E c’è il rischio di anticipare i tempi, di stravedere, di dipingere un quadretto troppo idilliaco, edulcorato rispetto alla San Berillo del degrado, e che le nostre pagine possano essere scambiate per “le solite storielle”.
Lo spaccio e il consumo di droga, con derive annesse e connesse di illegalità, improvvisi accessi di violenza e smarrimento di senso, gravano pesantemente sull’atmosfera generale e rendono insicuro e preoccupante il transito per i vicoli della perdizione. Ma proprio per questo siamo qui…o no?
Piccolo arretramento a venerdì sera: appuntamento con mister Kheit Abdelhafid, l’imam, nella comune ricerca di una stanza a pian terreno, per la preghiera musulmana… Punto d’incontro, via Di Prima. Kheit ed io non possiamo esimerci dallo stupore, e ci soffermiamo, come diecine e diecine, e a poco a poco centinaia, di spettatori, anzi migliaia, se pensiamo a quanti cellulari e videocamere puntate da Catania fino alla Calabria… l’apocalissi della Montagna! fra i palazzi, in un rettangolo di cielo buissimo, si stagliano i lati obliqui e incadescenti di un triangolo, la notte come base, e bagliori rossastri, inquietanti, al di sopra dell’abisso.
La rivelazione del magma ci sconvolge sempre e sempre ci esalta, ridimensiona ogni sicurezza ed arroganza, riempie di commozione e orgoglio… siamo anche noi creature vulcaniche, figli dell’Etna. Stando accanto all’amico Abdelhafid, di origini algerine, ripenso ai raffinati poeti arabo-siculi del Medioevo, che amavano questa terra come propria patria, e le dedicarono versi eleganti e struggenti… Mons Gebel…’u Mungibeddu!
Si potrebbe restare in contemplazione fino all’aurora, ma eravamo venuti a San Berillo per incontrare gente e cercare un luogo. Così ci inoltriamo per via Pistone. Poca luce e senso di furtivo affollamento a ridosso dei muri, sui gradini, agli angoli. Da qui l’eruzione non è visibile, e mi sembra di scendere al di sotto di quella base del triangolo, dove il magma non compare, non visto, come assopito, come se non ci fosse, occultato sotto sabbie mobili e paludi tenebrose…
Uno slum, dentro cui scegliamo di girare a testa alta, senza filtri, per un approccio diretto… In molti riconoscono l’Imam e gli vanno incontro, salutando con deferenza. Qualcuno ormai riconosce anche me, e i saluti si fanno più sonori, caciaroni, ad alta voce, batticinque, pacche sulle spalle.
Una certa diffidenza fra alcuni dei siciliani residenti… ma che strano… quelli che hanno subìto altre emarginazioni… proprio loro rifiutano l’idea di dedicare un posto alla fede islamica? Dovremo tornare, dovremo cercare ancora.
Un po’ indietro, un po’ avanti, come l’onda sulla battigia, e rieccoci di nuovo a sabato sera. Finite le gare, facciamo gli auguri a Dario, per i suoi 37 anni, e tutti insieme si va a “One love”, il cortile dei Senegalesi, intitolato a una delle più famose ed emblematiche canzoni di Bob Marley. Stasera concerto di Khalifa (ve lo ricordate? quello della serata all’Officina Rebelde…) e dei suoi musicisti di djambé. Le luci sono smorzate, atmosfera da night, ma agli angoli sono appesi vasi di geranei di vario colore, che conferiscono all’ambiente un senso di domesticità sicula e rassicurante delicatezza.
A poco a poco il cortile si popola di gente. I giovani percussionisti attaccano a suonare, le battute di djambé si richiamano e si rimandano a vicenda, in modo incessante, continuo, a lungo. In estrema compostezza, qualcuno si alza, accenna passi tribali, e il cortile diventa savana, spiagge del Gambia, bolong del Senegal, un crescendo di ritmo fino all’intonazione di work songs africani: “Docu jà jà jé… docu jà jà jé…”. Che significa? in che lingua? “Lavoro c’è…lavoro c’è…”, in lingua bambara. Stasera l’Etna è un profilo nel buio. Stasera l’epifania del magma si manifesta qui, nel cortile dei Senegalesi e dei Gambiani: “One love…one heart… let’s get togheter and feel all right… docu jà jà jé!”…
Le puntate precedenti de I Quaderni di San Berillo: Nasce un osservatorio urbano, Avanti popolo! Lavoro, feste, incontri istituzionali, calcio. San Berillo vive
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