Prosegue il ragionamento iniziato ieri sul Ponte di Messina, un’opera di cui, al di là di demagogia e propaganda, vorremmo valutare fattibilità e utilità. Sulla base delle analisi emerse nel recente dibattito svoltosi a Misterbianco, ci soffermiamo oggi soprattutto sull’aspetto non solo finanziario ma economico in senso lato. Prenderemo in considerazione vari elementi, tra cui la necessità di una seria valutazione costi-benefici, la questione dei posti di lavoro promessi in quantità esponenziale e altre pseudo notizie come quella sul risparmio di emissioni nocive. Rimandiamo ad altra occasione la trattazione di altri temi, a partire da quello della fattibilità tecnica, fino a quello dell’impatto ambientale che l’opera avrebbe su un’area di grande valore naturalistico.
Accanto ai giustificati timori per le future spese incontrollate, paventate dal presidente dell’ANAC, di cui abbiamo già parlato, a proposito del Ponte c’è qualcosa che si dovrebbe fare subito, anzi che si doveva fare sin da quando il progetto è stato immaginato, vale a dire una valutazione economica complessiva sull’opportunità di investire così tante risorse in un’opera infrastrutturale di cui ancora non sono certi gli effettivi vantaggi.
In primo luogo una domanda, abbiamo a disposizione una adeguata analisi costi-benefici, lo strumento principe per valutare la convenienza di un investimento?
Pare proprio di no. Come ha spiegato accuratamente Guido Signorino, docente di economia dell’Università di Messina, abbiamo solo una vecchia analisi costi-benefici, fatta nel 2002 e aggiornata nel 2011 solo per le stime di traffico. Una analisi che, tuttavia, Signorino ritiene metodologicamente errata, perché priva del necessario “scenario di comparazione”, cioè il confronto con le alternative possibili, considerate in modo non statico ma dinamico.
Per quanto riguarda le stime di traffico, le previsioni si sono rivelate del tutto errate perché basate su una ipotesi di crescita che non c’è stata. Era stato, infatti, preventivato un aumento del Pil del 3,8 %, o “in caso sciagurato del 1,4 %”, mentre la crescita effettiva è stata del -0,42%. Non c’è stato quindi l’atteso “effetto generativo” e il traffico è diminuito.
Chi potrebbe, di conseguenza, “investire anche solo un centesimo sul Ponte rischiando il proprio capitale?” si chiede Signorino. E la risposta è: nessuno. Tanto è vero che per il Ponte è ormai previsto solo un finanziamento pubblico, soldi che – in modo diretto o indiretto – sono dello Stato, e quindi dei contribuenti, tranne una piccola frazione finanziata da Eurolink, che rappresenta, in sostanza, più uno sconto che un vero e proprio finanziamento. Anche i soldi a debito sono ormai garantiti dallo Stato, e con un tasso di interesse più alto di quello francese o tedesco, e persino di quello greco, essendo ormai il debito pubblico italiano considerato, sui mercati internazionali, più a rischio di quello greco.
Non solo. Signorino ricorda che bisogna tener conto, oltre che della costruzione del Ponte, anche della sua gestione, che dovrebbe essere economicamente sostenibile.
Anche qui pagherebbe lo Stato, con un canone (100 milioni annui) versato da RFI e un altro, ancora non precisato, pagato da Anas, mentre non ci sarebbe il gran numero di vetture private previste e il buon introito da esse garantito. Come se non bastasse si ventila la possibilità che lo Stato, trascorsi i trenta anni della concessione alla società Stretto di Messina, invece di rientrare in possesso dell’opera, la lascierebbe alla società pagandole un riscatto non quantificato ma corrispondente al 50% del costo dell’investimento. Altro che sostenibilità economica! Signorino non esita a definirla una follia, “un tentativo di assicurare un salvagente finanziario per un’opera che finanziariamente non sta in piedi”.
Se si vogliono esaminare, poi, i vantaggi economici prodotti dal Ponte, bisogna valutare innanzi tutto il risparmio di tempo nell’attraversamento dello Stretto, calcolato in 55 minuti, poco meno di un’ora. Ma lo studio di Francesco Russo e Massimo Di Gangi, pubblicato sulla rivista internazionale Computers in Railways (XVIII), ma reperibile anche, nelle sue linee essenziali, su Sistemi di Logistica, dimostra che un analogo risparmio di tempo verrebbe garantito dall’utilizzo di traghetti lunghi poco più di 200 metri, sui quali i treni Frecciarossa potrebbero entrare senza bisogno di frazionamento.
“Un risparmio di tempo uguale a quello ‘promesso’ dal Ponte, ma con 15 miliardi che ci restano in tasca” dice Signorino e aggiunge che – con queste premesse – realizzare il Ponte equivarrebbe ad un danno erariale di 15 miliardi. Cita anche uno studio ministeriale che indica la possibilità di migliorare l’attraversamento dinamico dello Stretto con 500 milioni di investimento, sui traghetti.
E’ evidente quindi l’inadeguatezza dell’analisi costi-benefici effettuata per il Ponte, in cui manca il confronto con la situazione attuale migliorata. E per giunta a costo zero, o quasi.
Sempre a proposito dell’analisi costi-benefici, si potrebbero calcolare il valore monetario del tempo risparmiato, il numero medio delle persone trasportate nelle vetture, e via dicendo. Tutti numeri che andrebbero calcolati con precisione ed onestà intellettuale, per non ottenere vantaggi immaginari.
Quanto ai posti di lavoro è la stessa società concessionaria ad aver riconosciuto che si tratta di numeri non molto elevati rispetto alla imponenza dell’opera, vista la presenza di attività specializzate che non richiedono molta manodopera.
Non sarebbe allora, suggerisce Signorino, preferibile – per affrontare il problema della disoccupazione – prevedere lavori di manutenzione del territorio o di cura delle aree naturali protette che, dalla costruzione del Ponte, sono invece minacciate?
Tra l’altro – prosegue il docente – l’utilizzo stimato dell’opera è del 20% nei giorni di punta. Stiamo pensando di realizzare una struttura sopradimensionata e non ci seduce l’idea che potrebbe essere l’ottava meraviglia del mondo. Abbiamo già, reale e indiscutibile, la settima meraviglia del mondo, la spiaggia di Capo Peloro, definita la più bella d’Italia da National Geografic, che le ha dedicato un numero e una copertina.
Ultimo argomento trattato dal professore è quello delle navi portacontainer e crocieristiche, ormai sempre più alte, che non passerebbero sotto il Ponte e finirebbero per scegliere altri percorsi e altre destinazioni. Un tema non indifferente perché – spiega Signorino – la conseguenza sarebbe il blocco di una importante possibilità di sviluppo economico. Un sistema interconnesso dei porti calabresi e siciliani creerebbe lavoro e sviluppo più che il fantomatico attraversamento stabile dello Stretto. Il porto di Gioia Tauro è già uno dei più importanti d’Europa e una portualità integrata garantirebbe davvero una crescita economica delle nostre regioni, che trarrebbero vantaggi, più che da un attraversamento rapido, dalle attività di lavorazione e certificazione della merce in transito.
Sul Ponte, accanto alle cose taciute abbiamo quelle inventate, e tra queste Daniele Ialacqua ne segnala tre, il numero di posti di lavoro promessi, il ‘ponte green’, la sua cantierabilità a breve.
15 mila, 40mila, 100mila, 118mila, 120mila: non sono le cifre di una vendita all’asta, sono i posti di lavoro che verrano creati dalla grande opera del Ponte: parola di Berlusconi, di Ciucci (amministratore delegato della ‘Stretto di Messina), di Renzi, di Salini (amministratore delegato della Salini-Impregilo, poi divenuta Webuild), di Salvini. Tutti a rilanciare, sempre più in alto, dando i numeri (alla lettera) senza entare nel merito, e sempre per lo stesso progetto. In effetti sono state fatte anche stime concrete e dettagliate, ma si tratta di cifre che non circolano.
Gli advisor internazionali, ad esempio, parlano di poco più di 14.500 occupati l’anno, per nove anni, con sette anni di cantiere. Per la gestione e manutenzione i posti generati sarebbero solo 480, con una perdita netta rispetto ai 1.200 addetti al traghettamento. Quanto al general contractor Eurolink, nel 2010 parlava di 4.457 unità lavorative, e indicava nel dettaglio il ruolo che avrebbero ricoperto (carpentieri, saldatori, elettricisti, etc). Quella volta l’elenco fu pubblicato sulla Gazzetta del Sud, ma presto dimenticato. Così come non venne più ripresa la notizia che il personale potesse provenire anche da zone “esterne all’area di lavoro”. Come vendersi altrimenti la promessa che il ponte avrebbe risolto i problemi della locale disoccupazione?
Quasi comica la bufala sul Ponte come opera green. “Eliminerebbe oltre 140mila tonnellate di CO2 prodotte dai traghetti che navigano lo stretto di Messina” ha affermato il ministro Salvini, e molti lo hanno ripetuto. Senza porsi, però, le domande che i NoPonte invece hanno posto. E’ stata calcolata la CO2 prodotta dai 43 cantieri previsti sulle due sponde (Sicilia e Calabria)? E quella dei camion che saranno utilizzati per il movimento terra e il trasporto dei materiali da costruzione? E quella prodotta dalle filiere del cemento e dell’acciaio necessari alla costruzione del Ponte? Eppure è noto che produrre una tonnellata di acciaio genera quasi due tonnellate di CO2 nell’atmosfera, e che per il Ponte si prevedono circa 400mila tonnellate di acciaio. Poi ci sono quelle del cemento, per un totale di circa un milione e mezzo di tonnellate di CO2.
Il calcolo completo dovrebbe comprendere anche le emissioni dei traghetti che, in ogni caso, non sarebbero aboliti, e quelle delle navi da crociera nonchè le emissioni delle auto e dei Tir che attraverserebbero il Ponte. Ammesso che si faccia.
La battaglia contro la privatizzazione del porticciolo di Ognina sembrava vinta. A maggio dello scorso…
In Sicilia si chiamano Assistenti all’Autonomia e alla Comunicazione (ASACOM), in Italia hanno altre denominazioni,…
Felice Rappazzo, docente dell'Università di Catania, ci propone la sintesi di un dibattito avvenuto presso…
Un ‘bellissimo novembre” per il Ponte sullo Stretto, sul quale – in questi ultimi giorni…
Offrire agli studenti l’opportunità di ragionare su fenomeni di rilevanza economica che non siano riducibili…
Tornano su Argo i catanesinpalestina per parlarci della edizione 2024 del Nazra Palestine Short Film…
View Comments
Ammesso che si faccia sarebbe un'opera inutile.
Tutti quei soldi, se ben spesi, rimetterebbero a nuovo la Sicilia e la Calabria per i prossimi
50 anni.
Ahimè, e per le bizze di un politico da bar si spreca tanto tempo.
Se per vincere a tutti i costi si ricorre all'imbroglio, si è peggio che perdenti, si è al tempo stesso sconfitti e indegni (Yamamoto Tsnetomo).
Povero Salvini, ultimamente sul ponte non ne azzecca una. Vantaggi economici, con la costruzione di questo mostro non ce ne sono in quanto l'analisi costo/benefici effettuata, ci dice che la Sicilia non diventerà la California, i posti di lavoro promessi (120000) sono una bufala e col ponte "green" tutto il mondo gli ride dietro.
Caro Salvini non pensi con queste premesse di fare un favore alle mafie? Sappi che queste due regioni sono disastrate e quei soldi, se spesi bene (strade, ferrovie, sanità, fognature ecc. ecc.), potrebbero aiutare a migliorare lo standard di vita della popolazione delle 2 regioni? Accendi per un attimo il tuo cervello. Se esiste un po' di materia grigia fai un secondo ribaltone e vieni con noi a manifestare NO PONTE.
Davvero iquietante. Siamo in un vicolo cieco!
Concordo con le osservazioni fatte fin qui, ma ne aggiungerei una ulteriore rappresentata dalla devastazione di Messina e provincia e di Villa S. Giovanni che avrebbe risvolti di carattere sociale, viario, commerciale ed economico davvero devastanti., nel breve, medio e lungo periodo.