C’è chi non si arrende a demagogia e propaganda e vuole valutare fattibilità e utilità del Ponte sullo Stretto. A Misterbianco, in un recente dibattito, si è ragionato, in maniera documentata e approfondita, sulle contraddizioni dell’intero procedimento amministrativo/economico, su una seria valutazione costi-benefici, su posti di lavoro ed emissioni di gas serra. Rimangono, ovviamente da affrontare altri temi, a partire da quello della fattibilità tecnica e delle contraddizioni derivanti da un’opera che insisterebbe su un terreno particolare, crocevia di faglie attive, fino a quello dell’impatto ambientale su un’area di grande valore naturalistico
Intanto, vi proponiamo, attraverso due distinti articoli, alcune delle riflessioni emerse nel corso della tavola rotonda.
Governo, ministero delle infrastrutture, giornali e siti web compiacenti, televisioni nazionali e locali conducono da mesi una martellante campagna a sostegno del Ponte sullo Stretto, descritto come l’ottava meraviglia del mondo, capace di dare lustro all’Italia e risolvere i problemi del Sud.
Una vera e propria campagna pubblicitaria, che si alimenta di bugie, tace sulle gravi questioni irrisolte, promette traguardi irraggiungibili. E cerca, gridando più forte, di sovrastare le voci di coloro che, cittadini, tecnici, associazioni, provano a dire una parola di verità.
Alcune di queste voci, quelle di un tecnico (Alberto Ziparo, ingegnere e urbanista, docente di pianificazione delle infrastrutture presso l’Università di Firenze), di un docente di economia (Guido Signorino dell’Università di Messina), di un ambientalista, autore del libro “C’era due volte il Ponte sullo Stretto”, Daniele Ialacqua, sono risuonate nella biblioteca comunale di Misterbianco alla fine dello scorso ottobre, in occasione di una tavola rotonda durante la quale sono emersi elementi di approfondimento di grande interesse, su cui vorremmo soffermarci.
Del progetto di Ponte sullo Stretto come voragine senza fondo in cui già sono finiti molti dei nostri soldi e in cui ancora di più ne finiranno in futuro, a meno che non si inverta la rotta, abbiamo già accennato. Ma vale la pena di indicare almeno qualche cifra, in buona parte tratta dal documentatissimo libro di Ialaqua. Ad esempio i soldi spesi a partire dal primo marzo del 2013, quando il governo Monti, con la legge 221/2012, dichiarava caducati tutti i contratti relativi al progetto del Ponte.
La Società Stretto di Messina, concessionaria, veniva messa in liquidazione ma ha continuato di fatto ad esistere e a spendere un milione di euro l’anno per svolgere un’unica, paradossale, attività, chiedere allo Stato un risarcimento di 325 milioni di euro. Per questa attività il commissario liquidatore Vincenzo Fortunato ha percepito per nove anni un compenso annuo di 100mila euro, provocando due solleciti della Corte di Conti per una rapida chiusura della società. Il contenzioso con lo Stato, infatti, ai temini di legge, non pregiudicava la possibilità di procedere alla chiusura, sebbene così venisse giustificata la mancata liquidazione. Tanto più che la somma richiesta sarebbe comunque tornata allo Stato una volta liquidata la società (Sole 24 ore del 16 nov 2018).
A tagliare la testa al toro sarebbe bastato un intervento normativo del governo, che nessuno dei governi in carica in questi anni ha mai avuto il tempo o la voglia di fare. Finchè non è arrivato il governo Meloni che, con un apposito articolo della legge di bilancio per il 2023 (197/2022), ha liquidato la Stretto di Messina. Ma solo per riattivarla subito con un rafforzamento patrimoniale di 50milioni. Una somma che corrisponde alla cifra che la ministra De Micheli (governo Conte) aveva messo a disposizione, nel 2020, di un gruppo di lavoro che valutasse soluzioni alternative al ponte a campata unica. Importo poi trasferito dal ministro Giovannini (governo Draghi) a Rete Ferroviaria Italiana per un nuovo studio di fattibilità.
Fino all’anno scorso, quindi, si continuavano a spendere soldi per studiare soluzioni soddisfacenti che permettessero di realizzare un ‘collegamento stabile tra Sicilia e Calabria’, vale a dire alternative al Ponte che ora – con una evidente forzatura – si dà per ‘immediatamente cantierabile’.
Anche nell’era Berlusconi si era voluto forzare in avanti e nel 2003, venti anni fa, a Cannitello, è stato aperto un cantiere per spostare la rete ferroviaria e predisporre l’ancoraggio dei cavi scavando un buco grande quanto un campo da calcio e profondo 60 metri. Risultato, lo sconvolgimento del territorio e altri soldi spesi senza che ci fosse ancora un progetto esecutivo. Un progetto esecutivo che non c’è neanche adesso. E’ così è accaduto che che il ‘ponte che non c’è’ sia costato ad oggi un miliardo e duecento milioni di euro, come ha dimostrato Milena Gabanelli con la sua inchiesta.
La società Stretto di Messina, invece, c’è ancora, anzi ce n’è una ‘nuova’, tratteggiata dal decreto legge 35/2023 con caratteristiche inquietanti.
La ‘nuova’ Stretto di Messina, è stata trasformata in società in house, di fatto un’articolazione dell’amministrazione pubblica, partecipata, oltre che da Rete Ferroviaria Italiana, Anas, regioni Calabria e Sicilia, anche dai Ministeri delle Finanze e delle Infrastrutture. I contratti stipulati sono, tuttavia, rimasti gli stessi, non si è svolta nessuna gara pubblica; è rimasto uguale anche il progetto del Ponte che è quello del 2011 ed è di proprietà dei privati.
Tutte condizioni che danno al “Contraente generale privato”, vale a dire il Consorzio Eurolink, una “posizione di vantaggio” che il presidente della Autorità Nazionale Anticorruzione, Giuseppe Busìa, ritiene pericolosa. I rischi dell’opera infatti rimangono tutti in capo al pubblico, ma sarà il privato a decidere le modifiche e quindi i costi dell’opera, il che potrebbe comportare oneri nuovi e sconosciuti per lo Stato.
Ecco perché Busìa chiede che, nella conversione del decreto in legge, vengano introdotti “obblighi in capo al Contraente sui tempi di realizzazione dell’opera, i costi, l’assunzione di tutti i rischi” nonché controlli su eventuali subappalti. Busìa ha anche fatto presente che i vincoli europei stabiliscono che, nel caso di mancata gara, l’aumento dei costi non deve essere superiore al 50% di quanto originariamente previsto. Una condizione che rischia di non essere rispettata.
Se il Governo non tenesse conto di queste richieste, i costi a cui andiamo incontro saranno incontrollabili. E il Ponte, anche nel caso in cui non fosse realizzato, minaccerebbe le finanze di tutto il Paese.
Il decreto che ha resuscitato la Stretto di Messina, affida alla società anche il compito di chiudere, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, tutti i contenziosi aperti, vale a dire le richieste di risarcimenti milionari allo Stato avanzate dalle ditte. C’è da dire che su queste richieste di risarcimento si è già espresso il Tribunale di Roma, che le ha rigettate. Eurolink ha fatto ricorso e adesso si attende la sentenza di appello, prevista per ottobre 2024, anche se nessuno parla di questa pendenza che incombe.
In realtà se, come prevede il decreto ora convertito in legge, si arrivasse ad un accordo transattivo tra tutte le parti (Stretto di Messina, ditte, ministeri…), la transazione farebbe decadere il procedimento giudiziario e non sarebbe necessario arrivare alla sentenza di appello. Evidentemente, però, si tratta di un accordo molto difficile perché nessuna soluzione si profila all’orizzonte, e il silenzio impera.
Un altro intoppo procedurale riguarda gli espropri di terreni e case coinvolti nella realizzazione del Ponte. Trattandosi di una ‘grande opera’, è prevista una procedura semplificata che non comporta notifiche individuali, ma questo non giustifica l’attuale situazione di incertezza e di stallo. Non è stato attivato il ‘cassetto virtuale’ e nemmeno il portale che avrebbe dovuto contenere le indicazioni relative agli espropri, non si conosce l’entità degli indennizzi e gli espropriandi – che potrebbero addivenire ad un accordo o fare ricorso al Tar del Lazio – non sanno cosa fare. (continua)
Fino a poco tempo fa il ponte sullo stretto di Messina doveva essere realizzato in Project Financing, tanto era conveniente! Si doveva pagare con i pedaggi degli automobilisti e delle Ferrovie dello Stato. Grande presa per i fondelli! Anche perché il pedaggio sarebbe dovuto essere determinato in base al costo del Ponte 11-14 MLD a cui aggiungere Manutenzione e interessi, e non poteva essere paragonabile al costo dell’attuale attraversamento che si basa su investimenti “solo” di qualche centinaio di milioni di € ! Sulla fattibilità vi sono ancora molti tecnici, parlo di docenti universitari e di altri tecnici qualificati che esprimono forti dubbi. Ancora il progetto esecutivo non c’é. Gli studi di Impatto Ambientale presentavano già nel 2011, sul progetto “definitivo” forti perplessità. Oggi senza che sia stato fatto nulla per risolvere le criticità presentate, il progetto diventa improvvisamente fattibile per legge.