Negli ultimi 10 anni dalla Sicilia sono andati via circa 200.000 giovani. Un vero e proprio esodo che sta impoverendo la nostra regione di valide risorse umane. Al centro, evidentemente, c’è la drammatica questione del lavoro, ma anche la voglia di “spendere” altrove talenti, energie, creatività.
Senza la pretesa di individuare le coordinate corrette per ragionare su un tema così complesso, abbiamo scelto di ospitare la testimonianza di qualcuno che ha intrapreso questo percorso. Un piccolo, personale e parziale contributo che, speriamo, stimoli altri interventi.
Con questo spirito vi proponiamo le riflessioni di Simone Tornabene, imprenditore non ancora quarantenne, appassionato di marketing e comunicazione. Arrivato a Milano senza nulla, lì ha costruito la sua vita, arrivando al punto di investire in diverse start-up che vanno dalla ristorazione alla generazione di energia rinnovabile.
Quando parti per trasferirti fuori dalla Sicilia, succedono principalmente due cose. La prima è che parenti e amici ti salutano come se stessi andando a scontare l’esilio in Siberia. Niente è come la Sicilia in generale (nel mio caso specifico: Catania) e anche se dentro la regione si combatte per chi fa meglio cosa, anche fra quartieri della stessa città, quando si è costretti ad attraversare lo Stretto, questa animosità si dissipa. Siamo tutti figli strappati alla madre contro il nostro volere.
La seconda cosa che succede è che sei costretto a prendere posto nell’eterna narrazione dell’emigrazione che ti consente di occupare solo due posti: o sei il deportato, colui che è costretto dalla vita (cioè dalla ricerca di lavoro) a compiere il gesto estremo di dover abbandonare casa propria; o sei l’ingrato, il figlio che sputa nel piatto da cui s’è nutrito e che abbandona una Sicilia retrograda al suo destino.
Se è vero che la mia famiglia ha impiegato anni ad accettare l’idea che non andassi al confino né in Siberia (anche se non sono sicuro che mia nonna l’abbia davvero accettato), premetto che invece non ho preso posto in nessuno dei due lati che la narrazione tipica dell’emigrazione mi vorrebbe offrire.
Mi chiamo Simone, mi sono trasferito a Milano il 5 Dicembre 2008 e da allora vivo lì. E qui. Sono un emigrato atipico, per alcune ragioni.
La prima: ho scelto di trasferirmi io a Milano e non per cercare lavoro. Mi ero innamorato di una ragazza che viveva lì e quindi non sono andato a Milano per via del lavoro, bensì ho trovato lavoro per via della decisione di vivere a Milano. La seconda: mi sono trasferito una settimana dopo essermi laureato. Quindi ho vissuto la mia vita adulta (quella in cui devi sottoscrivere da te un contratto della luce o pagare le tasse) a Milano da sempre. Infine: amo la Sicilia e non per questo odio Milano. E viceversa: considero casa Milano e non per questo ho rinnegato Catania (dove ho comprato casa, del resto).
Quindi: cos’ha significato per me trasferirmi da Catania a Milano?
Innanzitutto uno shock culturale. Pur restando nello stesso paese, Milano e Catania hanno in comune solo la lingua parlata (e i maligni direbbero: neppure quella). Gli stereotipi là fuori sono i soliti e sono abbastanza veritieri: velocità (e frenesia), meno chiacchiere e più concretezza (e ansia da prestazione), regole scritte e da rispettare (e meno “futtitinni”), più pensare al domani e meno all’oggi (e più nevrosi).
Poi uno shock climatico e alimentare: il tempo era gelido e umido (uso il passato perché il climate change ha mitigato le cose negli ultimi anni e non è un bene) e il cibo era pessimo (uso il passato perché Milano ormai è una città dove trovi ottimi ristoranti).
Ma perché sono rimasto a Milano?
Certamente per via di qualche contingenza. Ma soprattutto perché ho ”trovato il mio posto”. Milano è una città dove puoi arrivare senza nulla (come è successo a me) e costruire la tua vita. Non è una città facile (negli ultimi anni il costo della vita è diventato un problema importante e urgente) ma è una città dal sapore “medievale”: un luogo di libertà dove non importa da dove vieni ma dove vuoi andare.
Io sono fortunato perché posso gestire il mio tempo e quindi resto a Milano anche perché posso tornare spesso a Catania, dove resta la mia famiglia, dove ho una casa e degli amici.
Ma quindi sono milanese o catanese? Per lo Stato la scelta è facile: la mia residenza può essere in un posto soltanto. Per me la scelta è inutile.
Casa mia è una città che non esiste.
Per metà è fatta da Milano, le opportunità che mi ha dato e che mi offre, le persone che ho incontrato qui, i luoghi che mi fanno stare bene. La velocità, la precisione, l’essere connesso al mondo. L’ossessione per il domani.
Per metà è fatta da Catania, il suo caos artistico, l’umanità strabordante, il sole il cibo, l’Etna e il mare. Ma soprattutto la lentezza, l’approssimazione, la disconnessione dal resto del mondo. L’ossessione per l’oggi.
Credo che la tradizionale narrazione sull’emigrazione non funzioni più perché è rimasta al novecento. L’ultimo secolo in cui gli esseri umani erano come piante, inchiodate e identificate con la terra in cui sono stati piantati e da cui vengono estirpati dalla violenza della Storia. Terra da difendere e occupare. Oggi emigrare può ancora essere un atto di violenza subita, contro i propri desideri. Ma non solo: è un modo di arricchirsi, di sfidarsi, di trovare la terra più adatta alle proprie caratteristiche, in cui fiorire.
Secondo me nel terzo millennio gli esseri umani sono uccelli veloci, che fanno di una rotta la propria casa. Non emigrano come fosse una deportazione, emigrano in base alla stagione per nutrirsi di cose nuove.
So che la mia storia non è l’unica: ho conosciuto tanti siciliani come me.
Mentre ancora si discute sull’opportunità novecentesca di collegare la Sicilia alla Calabria, il vero ponte per la Sicilia siamo noi che connettiamo esperienze e contesti alla nostra isola d’origine, che portiamo il sole e il mare dentro di noi ovunque andiamo, e che portiamo in Sicilia modi di fare e saperi. E che connettiamo l’isola con il mondo, non (solo) con i territori a lei prossimi.
Secondo me questo è solo un modo nuovo di incarnare una tradizione antica: questa era la vocazione della Sicilia e dei siciliani quando il Mediterraneo era il centro del nostro mondo.
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le parole giuste per esprimere pensieri ed emozioni che condivido
Davvero un bel pezzo, molto realistico. Complimenti a Simone e a tutta la redazione.
Like birds - we fly to find nourishing food - we follow the seasons. Nomadic. Your words and their sentiment have made me think that movement is to believe in better - to find the land where we feel safe and nourished . To stay is often at the detriment of feeling nourished. To some - both decisions are hard to make and leave a feeling of what if...
You've taken the hard road - bravo Simone
Your words and life choices are inspiring