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Social Housing a Cibali: finanziamento pubblico, profitto privato

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60 milioni di euro messi sul piatto dalla Regione per il social housing, vale a dire per offrire una casa a chi non è così povero da poter aspirare ad una casa popolare né possiede risorse sufficienti per prendere in affitto un appartamento a prezzo di mercato.

Non parliamo quindi di una edilizia economica popolare come quella che nel dopoguerra ha dato una casa a tanti italiani con un investimento massiccio di soldi pubblici (e qui taciamo del successivo abbandono del patrimonio ediliio e delle inesistenti manutenzioni).

Per dare una casa alla così detta fascia ‘grigia’ della popolazione, intermedia tra i più fragili e i più abbienti, l’intervento pubblico viene oggi ripensato all’interno di un partenariato con il privato.

E così a Catania, il 3 ottobre 2023, la Giunta approva una convenzione con una società privata (Fabrica Immobiliare S.G.R) per realizzare alloggi sociali con le risorse finanziarie messe a disposizione dalla Regione Siciliana. Per Catania si tratta di 14 milioni, soldi pubblici che la società utilizzerà per costruire un complesso residenziale composto da quattro edifici per un totale di 102 unità abitative su una superficie di circa 10.000 mq, con l’impegno ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione convenzionati.

La Convenzione, che ha la durata di venti anni, attribuisce al “soggetto attuatore” tutti i poteri, la definizione dei prezzi di vendita e di locazione, nonché dei requisiti di cui devono essere in possesso i destinatari, le modalità della locazione stessa e la gestione degli alloggi.

Non è previsto nessun intervento dell’ente locale o dei sindacati degli inquilini. Nessun controllo sui prezzi di vendita e di locazione. E il ricavato andrà nelle tasche dei costruttori. Ci sembra un ‘partenariato’ straordinariamenete vantagggioso per il privato proponente: il pubblico mette i soldi, il privato ricava i profitti.

Non solo. L’operazione, definita come social housing, in realtà non serve a ridurre il disagio abitativo dei soggetti fragili. In modo più appropriato si potrebbe etichettare come speculazione immobiliare, a totale carico delle risorse pubbliche, ovvero di noi contribuenti.

Vediamo perché. Secondo quanto leggiamo nella Convenzione, “I requisiti reddituali minimi e massimi per l’accesso agli alloggi sociali” sono i seguenti: “non inferiore ad € 16.859,34, e non superiore ad € 44.781,00”.

Un arco molto ampio, con un limite massimo di reddito che non giustifica la necessità di usufruire di ‘alloggi sociali’ e un limite minimo che rischia di escludere la fascia di popolazione che ne ha maggiore necessità. Ce lo dice un Comunicato del Sunia in cui leggiamo che “più specificatamente c’è una buona probabilità che non potranno accedere le tipologie di nuclei a cui la normativa fa riferimento: Famiglie mono-reddito; Giovani coppie; Anziani; Studenti fuori sede; Immigrati.”

Un calcolo approssimato fatto dal Sunia prevede, infatti, che i canoni si aggireranno tra i 450 e i 650 euro, una somma abbastanza vicina ai valori di mercato per un appartamento di medie dimensioni. Senza dimenticare che, nella nostra città, c’è un altissimo numero di alloggi sfitti e non utilizzati, per i quali si potrebbero avviare accordi territoriali che favoriscano l’allargamento del mercato delle locazioni (come avviene in altre città), evitando di ricorrere a nuove edificazioni e a nuovo consumo di suolo.

Nella convenzione di cui parliamo, il ‘social housing’ appare simile ad un bluff, una copertura per giustificare l’utilizzo di soldi pubblici in un’operazione immobiliare privata.

Ma non è tutto. Non abbiamo, infatti, ancora parlato del luogo in cui questo intervento dovrebbe aver luogo, vale a dire una porzione dell’area di Cibali destinata, nel Piano Regolatore del 1964, ancora vigente, a Centro Direzionale.

Si tratta di un’area di circa 170.000 mq ancora non edificata e pregevole dal punto di vista ambientale, una sorta di polmone verde che ospita antiche lave, specie vegetali e animali allo stato spontaneo, cave della terra rossa utilizzata in passato nell’edilizia, muretti a secco, canali di irrigazione ed edifici rurali che testimoniano l’uso agricolo del terreno e gli antichi metodi locali di coltivazione. Un’area quindi che andrebbe salvaguardata e tutelata.

Acquistata negli anni ottanta da un Consorzio di costruttori (i cavalieri del lavoro), che volevano lottizzarla e farne un centro direzionale, pur essendo stata poi abbandonata, non ha smesso di essere oggetto di interesse per gli immobiliaristi.

Nel 2016 sono state avanzate varie proposte di utilizzo da parte di enti e società, tra le quali troviamo anche la Fabrica Immobiliare Sgr con una proposta di studentato (per 16.000 mq) e social housing (32.000 mq). Una sorta di anticipazione della proposta di Convenzione recentemente approvata dalla Giunta.

Su questa approvazione pendono diversi interrogativi: trattandosi di una convenzione urbanistica non sarebbe competenza del Consiglio Comunale piuttosto che della Giunta? una conferenza dei servizi preliminare è un valido strumento di approvazione? è ammissibile una convenzione approvata senza che la Regione abbia fatto la convenzione-tipo prevista dall’articolo 18 del DPR 380 (peraltro espressamente citato)?

Accantoniamo questi interrogativi e concentriamoci, dal punto di vista urbanistico, sulla necessità che il Consiglio Comunale approvi, per questo progetto, non conforme al Piano regolatore vigente, una variante urbanistica. Ci sarebbe da aggiungere che non è conforme neanche alle direttive generali del nuovo Piano, ma restiamo sul tema della variante, necessaria ma nemmeno evocata nella recente convenzione.

Eppure di variante urbanistica parlavano sia lo Studio di fattibilità del 2017 (link) sia il provvedimento emesso dall’Urbanistica nel 2018 (13 febbraio) che trovate va questo link.

Un documento che apre anch’esso degli interrogativi, perchè non dà un vero e proprio ok al progetto, visto che la maggior parte dei pareri sono favorevoli solo a certe condizioni e che alcuni enti (Vigili del fuoco e Genio Civile) non si sono espressi per carenza di documentazione.

Sono forzature evidenti, che indicano un forte interesse per l’approvazione dell’intervento, ma comunque la necessità della variante urbanistica è assodata.

Oggi la situazione è ben diversa. L’intervento non è più definito di edilizia residenziale, ma di social housing, la Fabbrica Immobiliare ne è il soggetto attuatore e ci sono in ballo un bel po’ di soldi pubblici. E la ‘pretesa’ di venire incontro ad un disagio abitativo che esiste davvero ma a cui questo progetto speculativo non può dare risposta.

Leggi il Comunicato Stampa del Sunia

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