Più che che gli applausi e i festeggiamenti che hanno salutato la sentenza di appello che scagiona Mimmo Lucano dalle gravissime accuse di truffa, peculato e associazione a delinquere, ci sembra significativo il commento negativo del vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi. Pur augurandogli la cancellazione dell’unica accusa rimasta in piedi, il falso in atto pubblico per una delibera, il parlamentare definisce Lucano “colpevole politicamente di avere proposto un modello di accoglienza insostenibile“.
Un commento che dice molto sulle ragioni del’attacco violento di cui Lucano, descritto come un criminale, è stato fatto segno. Distruggendo lui si è voluto distruggere un modello di accoglienza basato su una reale integrazione, sulla rinascita di attività economiche artigianali (legno, ceramica, tessitura) e di servizi (scuola, asilo, ambulatorio medico) di cui il Comune di Riace, con Lucano sindaco, è stato protagonista e di cui hanno usufruito sia i migranti sia i locali che erano rimasti o, più spesso, sono ritornati in un paese che rifioriva, dopo essere stati costretti ad emigrare a causa della situazione di abbandono in cui il territorio era lasciato.
Un modello di accoglienza, vantaggioso per tutti, che aveva fatto il giro del mondo, era stato raccontato, imitato, premiato. Ma che era pericoloso per coloro che, partiti e personaggi politici, avevano costruito la loro base di consenso, vorremmo dire persino la loro carriera politica, sulla paura dei migranti e sul pericolo da essi rappresentato.
Si è voluto criminalizzare quello che Lucano e i suoi collaboratori avevano realizzato e il modo in cui lo avevano fatto, vale a dire risparmiando sui 35 euro a migrante che assicurava lo Sprar e accantonando i fondi residui per impiegarli, insieme alle donazioni ricevute, in attività sociali. Proprio queste economie, che avevano permesso di avviare esperienze come quella del frantoio e della fattoria sociale, sono state considerate ‘prove’ della ricerca di un interesse privato, mai dimostrato. E’ risultato, infatti, a tutti i controlli, che Lucano non aveva intascato un euro e non si era arricchito, tanto che per giustificare le accuse si era dovuto ricorrere ad altre motivazioni, come quella della ricerca del consenso politico.
In questa ottica erano state interpretate le moltissime intercettazioni effettuate, di cui spesso si è fatto un uso distorto. Così come, nella sentenza di primo grado, non si era tenuto conto delle testimonianze favorevoli a Lucano né dei provvedimenti a lui favorevoli emessi da altre autorità giudiziarie, il Tar Calabria, il Consiglio di Stato, la Corte di Cassazione, il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria (Procacci, Processo alla solidarietà).
Nel corso del dibattimento del processo d’appello e poi nell’arringa finale, è stato soprattutto Andrea Dacqua, l’avvocato che, insieme a Giuliano Pisapia, difende da anni, a titolo gratuito, l’ex sindaco di Riace, ad evidenziare l’uso distorto delle intercettazioni, le frasi inesistenti inserite, gli errori di trascrizione, le interpretazioni stravolte per confermare convinzioni precostituite.
Il tribunale di Locri, ad esempio, si era rifiutato di prendere in considerazione una intercettazione “a discarico” che i giudici d’appello hanno invece ammesso, riaprendo l’istruttoria. Una intercettazione in cui l’ispettore Del Giglio rivelava a Lucano che “lo Stato non vuole il racconto della realtà di Riace [perché] l’obiettivo integrazione è soltanto una parola buttata là” e confessava di ritenere personalmente che “Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative” avesse realizzato un’esperienza unica sul territorio nazionale, che andava difesa.
C’è poi il caso dell’intercettazione ambientale (10/07/2017) in cui Lucano e Capone parlano del frantoio; nella sentenza di primo grado viene messa in evidenza la frase “E’ per i rifugiati, gli devi dire”, come prova delle indicazioni date da Lucano per indurre Capone a fare false dichiarazioni. Le parole “gli devi dire”, però, non esistono nella registrazione audio e nemmno nella trascrizione ufficiale fatta dal perito del tribunale. Compaiono solo nella trascrizione della polizia giudiziaria, che l’accusa aveva usato nel dibattimento.
“Voi avete la possibilità di correggere un macroscopico errore”, ha detto Andrea Daqua ai giudici della corte di appello di Reggio Calabria, chiudendo la propria requisitoria.
E il macroscopico errore, la pesantissima condanna ricevuta in primo grado da Lucano, 13 anni e due mesi, è stato corretto. La pena è stata ridotta a un anno e sei mesi, con pena sospesa, nonostante la richiesta della Procura generale fosse stata di 10 anni e 5 mesi. Revocate confische e sanzioni civili.
Non si può, tuttavia, parlare di una assoluzione piena. Oltre all’accusa rimasta in piedi, ci sono anche due reati prescritti e la condanna ad un parziale risarcimento. Lucano non esce quindi dal processo d’appello totalmente immune da responsabilità penali, tanto che Andrea Daqua ha dichiarato “Vedremo nelle motivazioni le ragioni di fondatezza per l’accusa restata in piedi”. Motivazioni che non arriveranno prima di 90 giorni.
Nel frattempo, però, il ‘modello Riace’ non è morto del tutto. Di una “buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta, senza riflettori politici” in diversi paesi della Locride, parla Avvenire.
Non solo. “Ultimamente Riace è tornata ad accogliere” scrive il Sole 24 ore: grazie all’apertura di nuovi corridoi umanitari verso Kabul, da alcuni mesi Lucano ospita, in quello che resta del Villaggio Globale, diverse famiglie afghane, una sessantina di profughi in tutto. Con il sostegno dell’associazione “A Buon diritto”, presieduta dal senatore Luigi Manconi, che ha promosso una sottoscrizione nazionale, lanciata inizialmente per coprire la sanzione pecuniaria richiesta dal tribunale di Locri, l’ex sindaco di Riace ha ripreso quella che ritiene la sua missione. Partendo dalla riapertura dell’ambulatorio medico, dell’asilo e della mensa sociale.”
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avrà anche fatto quelche pasticcio Lucano, ma farlo apparire come criminale.... E in una terra di 'ndrangheta, poi...