Canto, come mi vieni male
quando devo cantare la paura!
Paura come quella che vivo,
come quella che muoio, paura
di vedermi fra tanti, tanti
momenti dell’infinito
in cui il silenzio e il grido
sono le mete di questo canto.
Quello che vedo non l’ho mai visto.
Ciò che ho sentito e che sento
farà sbocciare il momento…
Sono queste le parole che Victor Jara scrisse su un foglio di carta che, non sappiamo come, qualcuno era riuscito a fargli arrivare mentre, insieme ad altri ‘prigionieri’, era rinchiuso nello stadio di Santiago trasformato in centro di detenzione, là dove sarà trucidato dagli aguzzini di Pinochet.
E’ il suo ultimo componimento. Nascosto all’occhio dei carnefici, questo foglio passò di mano in mano e poi venne distrutto ma non prima di essere imparato a memoria, perché non fosse cancellato il ricordo di quel momento crudele ma anche la speranza che qualcosa ancora potesse sbocciare, oltre l’orrore, oltre il verso finale interrotto dal precipitare degli eventi.
Lo ha raccontato con voce intensamente espressiva Alessio Di Modica, rivolgendosi all’uditorio che, giovedì scorso, è rimasto ad ascoltarlo commosso mentre rievocava la figura dell’artista cileno e ne narrava la vita, il contesto familiare e sociale, la passione artistica, la fede politica.
Il giardinetto della biblioteca Navarria Grifò di via Naumachia ospita spesso eventi di grande spessore, capaci di parlare a tutta la città e anche di andare controcorrente.
Rispetto ad un presente orientato alla difesa dei privilegi e ad un nuovo conformismo autoritario, la comunità valdese ha voluto confermare il suo essere ‘altro’ ospitando “Infinita Poesia – cunto per Victor Jara”, uno spettacolo di Area teatro, costruito attorno alla forza affabulatoria di Alessio Di Modica.
Lo spettacolo, che sta attraversando la penisola e si concluderà tra qualche giorno a Roma, nell’ambasciata cilena, intende ricordare il drammatico momento storico in cui – 50 anni fa – un golpe violento metteva fine al progetto rivoluzionario e popolare di Salvator Allende.
Anche le canzoni d’amore, come la bellissima ‘Te recuerdo Amanda’, che Alessio ha fatto ascoltare al suo pubblico, contengono riferimenti alla vita di Victor e alla società cilena. La vicenda dei due operai che sfruttano i cinque minuti di pausa dal lavoro per incontrarsi viene personalizzata dai nomi dei protagonisti che sono quelli dei genitori di Victor. E Amanda è anche il nome che egli darà alla figlia, ribadendo il legame forte con la figura materna che aveva cresciuto con fatica i quattro figli, attraversando anche situazioni drammatiche, ed era colei che gli aveva trasmesso l’amore per la musica e per i canti popolari suonando la chitarra, quando lui era bambino, nei momenti di riposo ma anche in occasione di eventi pubblici e privati a cui era chiamata a partecipare.
L’attenzione al lavoro è presente in altre canzoni di Jara che parlano della fatica dei contadini e dei minatori, dello sfruttamento e della ricerca di giustizia sociale. Così come è presente il tema dell’infanzia, di cui abbiamo testimonianza in ‘Luchin’, la canzone che ha immortalato il bimbo ammalato, con le manine livide per il freddo, il culetto infangato e la sua palla di stracci, di cui Victor si prese cura insieme alla moglie.
Era la situazione di molti dei bambini dei quartieri popolari, e lo è ancora, in molte parti del mondo. Jara ne fece tema del suo canto e i suoi versi e la sua musica conservano un valore universale.
Non poteva non essere odiato e considerato un sovversivo da chi difendeva i privilegi di pochi. Aveva anche contribuito alla lotta politica e alla vittoria di Allende del 1970. Come ha ricordato Di Modica nel suo appassionato monologo, quando i suoi torturatori gli dissero “Canta, bastardo”, lui intonò con il poco fiato rimasto “Venceremos”, la canzone di Sergio Ortega, divenuta, anche grazie a lui, l’inno dell’Unitad Popular.
Oltre ad ucciderlo avrebbero voluto fare scomparire il suo corpo che fu invece identificato e salvato da chi lo riconobbe e lo restituì alla moglie, la ballerina inglese Joan Turner, che potè seppellirlo prima di lasciare il Cile.
Grazie ad Alessio Di Modica per averci ricordato Victor Jara e averci narrato dettagli della sua vita che ce lo hanno reso più vicino, più ‘maestro’.
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A proposito di Luchin, dal libro “Una canzone infinita” di Joan Jara, moglie di Víctor
“Una sera di giugno, il mese più freddo dell’anno, nere nubi si addensarono sopra la cordigliera e nel corso della notte scoppiò un furioso temporale, accompagnato da forte vento e pioggia torrenziale. (…) Sapevamo che nelle poblaciónes (…) intere famiglie dovevano essere esposte al vento e all’acqua (…) Se il mapucho fosse straripato, avrebbero rischiato di essere spazzati via dall’alluvione. Succedeva tutti gli inverni: anche se capitava che qualche neonato morisse di freddo o di polmonite nessuno faceva nulla, a parte un po’ di beneficenza e una distribuzione di roba usata e vecchie coperte, e nessuna misura drastica veniva presa per aiutare le vittime e impedire che simili calamità si ripetessero. Adesso però, con un governo popolare, la risposta doveva essere diversa. E lo fu. Le organizzazioni governative, i sindacati e persino le Università vennero mobilitati per portare immediato aiuto alle vittime del nubifragio (…) si decise di trasferire i bambini nella sede della Facoltà, adibendo a dormitori le grandi aule destinate al balletto. Uno dei piccini portati alla Facoltà divenne il soggetto di una canzone di Víctor. Luchín era gravemente malato di pleurite e aveva bisogno di assistenza continua, giorno e notte (…) Lo aveva trovato Quena durante una delle sue numerose spedizioni alla población. Prima di tornare alla sua famiglia aveva bisogno di una lunga convalescenza, così Víctor e io ce lo portammo a casa e ci occupammo di lui per qualche settimana (con il consenso dei genitori fu definitivamente adottato da Quena)”.
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