Sono spesso minorenni o appena entrati nella maggiore età, comunque giovanissimi, si riuniscono in gang, si fronteggiano in risse, si abbandonano ad atti di violenza, ricorrono anche a coltelli e pistole, attaccano i più deboli, considerano le donne oggetti da possedere.
Questi ragazzi, che oggi ci fanno paura, diventano talora stupratori e assassini, rendono insicure le nostre città, non spuntano dal nulla, sono i nostri figli e i nostri nipoti.
Sono i bambini cresciuti spesso da soli, con genitori assenti, impegnati a lavorare per comprare il necessario o per concedersi il superfluo, non in grado di trasmettere valori perché essi stessi smarriti, incerti tra l’uso della cinghia per affermare l’autorità e l’accondiscendenza fino alla rinuncia alle regole. Genitori lasciati soli a loro volta, per l’assenza di servizi sociali (tagliati spesso per finanziare eventi di facciata), per la diminuzione del tempo scuola, per il venir meno di supporti associativi, dei gruppi politici, delle parrocchie.
Molto difficile gestire le crisi dell’adolescenza se non si sono poste basi solide nell’infanzia, molto complicato fronteggiare le pressioni e le lusinghe di una società che vede i ragazzi come consumatori, di tutto, dallo spritz all’hamburgher, dall’abbigliamento di moda allo sballo, dalla cocaina alla poliassunzione, senza criteri morali, di salute, di rispetto di se stessi e degli altri.
Davanti ad una situazione sempre più ingovernabile, la presidente del Consiglio manda le forze dell’ordine a colpire lo spaccio, i presidenti di regione e i sindaci invocano la presenza di polizia e carabinieri, o ancor meglio, consapevoli dell’impossibilità di presidiare tutte le città e tutti i quartieri, dell’esercito.
Ma siamo sicuri che il controllo poliziesco, esibito mediaticamente una tantum, sia lo strumento più adatto a fronteggiare la deriva sociale che da tempo vediamo crescere limitandoci a fare gli scongiuri?
La presenza dello Stato nelle periferie più difficili deve coincidere con la repressione?
Non è presenza dello Stato la scuola, a cui attribuire maggiori risorse, umane ed economiche, perché resti sempre aperta, capace di offrire proposte allettanti di attività formative che tolgano i ragazzi dalla strada? Eppure il numero delle scuole nel nostro Paese è progressivamnte diminuito e questo governo prosegue nella stessa direzione: dalle 10.452 scuole nel 2010 siamo passati alle 8.384 nel 2015 e alle 7675 nel 2022.
Non è intervento dello Stato la costruzione e la gestione degli asili nido di cui il Sud è quasi totalmente privo e che, dalla prima infanzia, svolgono un ruolo di socializzazione utilissimo anche se trascurato? Non sarebbe necessario, da parte degli enti locali, il potenziamento dei servizi sociali per inviare sul campo personale preparato a sostenere le famiglie in difficoltà non solo economica ma anche, e soprattutto, educativa? Sarebbe quanto mai opportuna anche la disponibilità dei Comuni ad offrire strutture, spazi, sedi alle associazioni che aggregano i residenti delle varie aree cittadine o a quelle che operano sul territorio con scopi sociali, sia che si propongano di segnalare i disservizi per sollecitare gli interventi delle istituzioni competenti, sia che intedano contribuire all’educazione dei minori o sostenere le famiglie nello svolgere la funzione genitoriale.
Chi ha la responsabilità di amministrare i territori non può sottrasi al compito di creare i servizi necessari a garntire una vita dignitosa ai residenti, non può intervenire solo quando ‘scoppia’ il caso e tanto meno pensare di risolvere i problemi con blitz estemporanei che fanno solo clamore.
E non diteci che, per interventi sostanziali e durevoli come quelli cui abbiamo accennato, non ci sono i soldi, dopo averne sperperati tanti per finanziare fiere, feste e altri eventi, spesso inutili e finalizzati solo al consenso! Per non parlare della continua crescita delle spese militari.
Noi catanesi ricordiamo bene quando si negava la presenza della mafia in Città. Era un problema della Sicilia Occidentale, si diceva, e si concentrava l’attenzione sulla piccola criminalità, invocando punizioni esemplari. In prigione e buttiamo le chiavi, una posizione che tranquillizzava l’opinione pubblica, ma lasciava sprofondare la Città. La cieca repressione paga solo sul momento, ma lascia inalterate contraddizioni e problemi.
Perché è così difficile comprendere che solo attraverso la pratica dei diritti, a cominciare da quello di un lavoro dignitoso e retribuito, si possono realmente cambiare le cose?
Forse rischia di essere retorico, ma ci piace ricordare lo scrittore Bufalino quando affermava: “La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”.
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Compagni, avete dimenticato forse com il predecessore della nostra finse di combattere la mafia inviando il prefetto Mori a Palermo?
I blitz sicuramente non risolvono i problemi sociali ma servono a cominciare la strada verso la legalità. Anche perchè dove non c'è legalità non ci potrà neanche essere scuola, cultura, lavoro ecc.