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Violenze e discriminazioni, occorre cambiare prospettiva: una proposta contro i reati di odio

Ettore Palazzolo, costituzionalista, propone un percorso possibile per affrontare, anche dal punto di vista del diritto penale, il problema delle violenze e delle discriminazioni contro tutti i “diversi”.

Credo che il caso del libro del gen. Vannacci, “Un mondo alla rovescia”, così come le sue successive esternazioni, possa costituire l’occasione per una riflessione più ampia. Sappiamo bene come non sia facile contribuire allo sgretolamento di questa pseudo-cultura infarcita di banalità e luoghi comuni, apertamente reazionari, che esse esprimono. E sicuramente la nuova maggioranza parlamentare di destra/destra non aiuta.

Lasciamo da parte, per il momento, gli interrogativi sulla formazione del personale militare, oggi tutto di carriera: come funzionano le Accademie militari? su quali testi vengono formati i futuri ufficiali superiori e i generali? in quale considerazione è tenuto lo studio della Costituzione?

Concentriamoci al momento sulle violenze e discriminazioni contro tutti i “diversi”.

Un contributo in questo senso potrebbe essere quello di partire da una riflessione autocritica sugli errori commessi dalla sinistra, particolarmente nella scorsa legislatura. Ad essi ha contribuito non poco l’illusione giacobino/illuminista di cambiare comportamenti sedimentati e radicati soltanto con l’approvazione di una legge. Sul punto non si può non menzionare, nella scorsa legislatura, il tentativo – dal mio punto di vista un po’ maldestro – del DDL Zan, sul quale la Sinistra e il PD si sono acriticamente appiattiti. Un tentativo, arenatosi al Senato anche per il venir meno della maggioranza che lo sosteneva, su cui ho espresso anche pubblicamente non pochi rilievi critici.

Credo sia venuto il momento di cambiare, modificando in parte la prospettiva seguita e riprendendo la tematica, poi abbandonata, dei c.d. reati di odio, su cui del resto invitano ad intervenire alcune Convenzioni internazionali.

Senza ovviamente indurre ad attese miracolistiche sugli effetti dell’approvazione di una nuova legge, ritengo sia opportuno, nell’elaborare alcune proposte contro il bullismo, la violenza e le discriminazioni, un cambio di paradigma, basato sul concetto di odio nei riguardi del “diverso”.

Abbandonando così l’ottica del DDL Zan, con la sua precettistica LGBTQ, alquanto fastidiosa anche a chi era favorevole allo spirito dichiarato della legge, anche per l’imprecisa distinzione di alcune delle fattispecie di reato in esso previste da quelle di veri e propri reati d’opinione. Ed, inoltre, per l’eccessiva discrezionalità concessa alla Magistratura quanto all’individuazione delle ipotesi di discriminazione (con rischi quindi di “norme in bianco”, vietate dal codice penale e dalla Costituzione). Una norma che rischiava di creare molti più problemi di quanto non si pensava di risolvere (mi riferisco, in particolare, alla questione del “gender”).

In conclusione, in una legge contro i reati d’odio andrebbe eliminata ogni presunta “impronta ideologica” che, a torto o a ragione, a destra come a sinistra, si è voluto attribuire alla proposta dell’onorevole Zan.

Come pure sarebbe, a mio avviso, ugualmente sbagliato e giuridicamente “irragionevole” partire dal concetto di omo-transfobia, come prevedeva il precedente progetto Scalfarotto, ripreso anche nel DDL Zan, concetto utile sul piano comunicativo e giornalistico, molto meno su quello del diritto penale. Non si possono proporre sanzioni penali per comportamenti che si assume possano essere frutto di fobia. Quest’ultima, in quanto vera e propria patologia, richiederebbe piuttosto una soluzione di tipo terapeutico, in ambito psicologico o psichiatricoe non certo penale (a meno che non si vogliano riaprire i manicomi criminali). Né d’altronde la fobia potrebbe essere inserita solo come semplice metafora in una disposizione penale: la legge (e quella penale, in particolare) non può, com’è noto, ammettere metafore.

Il differente paradigma giuridico, che si vuole proporre, è in realtà molto più generale e ad ampio spettro: ritornare al principio della legge generale ed astratta, con l’introduzione nell’ordinamento penale della fattispecie dei reati di odio. Prevedendosi, in particolare, un’aggravante per tutti gli atti di violenza verso persone che per motivi di caratteristiche fisiche, comportamenti, orientamenti sessuali o anche solo fragilità, vengono percepite come “non normali” o comunque “diverse”.

Nel caso poi di discriminazione basterebbe rinviare (agganciando) ad un’ottima, almeno sulla carta, disciplina legislativa tuttora in vigore, contenuta  negli artt. 43 e 44 T.U. n. 286 del 1998: “Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, aggiungendovi: o di odio nei confronti di persone percepite come “non normali” o “diverse”.

Mi pare evidente che le potenziali vittime di tali atti, le quali rientrerebbero pienamente nella previsione della fattispecie proposta, sarebbero gay e lesbiche, transgender, travestiti, clochards, ma anche prostitute/i, immigrati, stranieri, disabili, affetti da deformità fisiche (o anche da malattie mentali), anziani indifesi e così via, tutti coloro cioè che abbiano subito violenze per motivi di odio (o di bullismo) negli ultimi decenni.

La fattispecie deve essere molto aperta e sufficientemente astratta; proprio per questo non occorre che le categorie delle potenziali vittime vengano espressamente menzionate nella legge. Basterà eventualmente un riferimento nella Relazione di accompagnamento.

Dovrebbe essere, a mio avviso, una proposta di legge semplice e chiara, articolata in non più di due o tre articoli. Proprio per questo e per un’altra serie di ragioni giuridico/costituzionalistiche, andrebbe sganciata dalla legge Mancino, pur riproponendo le aggravanti in essa previste.

Utilizzando questo differente paradigma (quello degli atti di odio verso i diversi) è possibile pervenire ad una disciplina che punisca con l’aggravante del reato di odio tutti gli atti di violenza (dalla violenza cosiddetta privata, al pestaggio con lesioni gravi, al tentato omicidio, all’omicidio volontario, ecc.). Come pure gli atti di discriminazione (o anche del tentativo di discriminazione), come l’eventuale proposta, ad esempio, di escludere dalle Forze armate i gay o gli immigrati, anche se, per la verità, c‘è già stato il precedente di una donna militare gay unitasi civilmente con la sua compagna in una cerimonia nella quale erano presenti molti colleghi militari della ragazza.

Una legge congegnata in tal modo, penso e spero, potrebbe far breccia anche in settori dall’attuale maggioranza, in quanto del tutto priva del carattere “ideologico” che, come abbiamo detto, a torto o a ragione, si è voluto attribuire alla proposta dell’on. Zan, e costituire un piccolo contributo anche contro i discorsi potenzialmente generatori di odio nei riguardi di tutti i cosiddetti “diversi”.

Argo

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