Nell’estate del 2020 Giovanni ha ripreso in mano una macchina fotografica. Una non notizia, se dal 2004 non avesse perso la vista.
Giovanni Caruso, catanese, foto reporter, free lance dal 1972, legato al direttore Pippo Fava, prima al Giornale del Sud, poi a I Siciliani. Komet la sua prima macchina fotografica, regalatagli dal padre (giornalista), Silvestro Spalletta (fotografo) il suo primo riferimento, quindi l’abilitazione all’insegnamento e la scommessa di condividere con giovani allievi competenze e ricerca.
Curioso e attento verso il mondo, ha fotografato in Perù, in Chiapas, tra il popolo curdo; era a Genova nel 2001, la Genova di un altro mondo possibile, di Carlo Giuliani, della Diaz. La perdita della vista non ha però significato rinunciare all’impegno civile, dall’esperienza del GAPA (Giovani Assolutamente Per Agire di San Cristoforo), alla fondazione de I Siciliani Giovani, all’attuale impegno per gestire i beni sequestrati alla mafia. Vederlo nei cortei e nelle manifestazioni, accompagnato prima da Ugo e oggi da Jazz, i suoi cani-guida, rappresentava la “normalità”, così come incontrarlo insieme con Elena Majorana, moglie e compagna, nelle tante occasioni di impegno politico e sociale Capace di indignarsi per le ingiustizie, ma, anche, sempre pronto a ironizzare su se stesso, “nessun problema, occhio che non vede…”.
Non è stato facile, conclusi purtroppo inutilmente i “viaggi della speranza” alla ricerca di una soluzione che evitasse “il buio”, imparare a “resistere”, non rinunciare, pur nella nuova condizione, a essere se stessi, a decidere che “le cose si possono fare”. Non ha imparato il braille, ma gli strumenti informatici, a partire dalla sintesi vocale, permettono autonomia e relazioni.
“In risposta al mio “avanti” spinge l’uscio e avanza a tentoni, tuffando nell’aria il bastone come un remo nell’acqua. Sa che dalla soglia fino al mio tavolo si contano cinque scalini e nove passi e li supera con la disinvolta prudenza ch’è propria degli equilibristi sul filo”. Scriveva Bufalino, descrivendo un altro fotografo cieco, Tiresia/Bartolomeo, che “s’incaponisce ancora nel suo mestiere. Con risultati, bisogna dire, abbastanza sorprendenti”. E anche Giovanni si è incaponito, al punto che, da poco, si è conclusa una sua mostra fotografica, Dal buio alla luce, presso il Central Color di Catania, realizzata anche grazie all’insistenza di Elena Guagenti.
“Ricordo che era l’estate del 2020 e che mi trovavo a casa. C’era il tavolo con sopra la pipa, il posacenere, il bastone di bambù e altri oggetti. Ho preso in mano una delle mie macchine fotografiche analogiche, ho inquadrato la scena e ho scattato […] quella è stata la mia prima foto da cieco”.
Aver praticato a lungo il “mestiere” ed essere stato per quasi trent’anni, in una scuola professionale della regione siciliana, maestro di tecnica pratica della fotografia, insieme con l’utilizzo di una macchina analogica “autofocus”, hanno fatto sì che quella prima foto apra, oggi, il catalogo della mostra.
Scrive Tano D’Amico: “Quando ero giovane guardavo i vecchi fotografi aprire la mano e misurare la luce sul palmo. Sentivano la luce sulla pelle della mano e calcolavano tempi e diaframmi. Non sbagliavano mai”.
E Giovanni fa allo stesso modo. Per vedere ciò che fotograferà utilizza soprattutto udito e tatto (meno l’olfatto), ascolta le sensazioni di chi gli è vicino, “sonda” il terreno grazie al bastone, utilizza la memoria per ricostruire i luoghi della Città. Disegna linee ideali fra sé e il soggetto della fotografia, sente da dove viene la luce. Ma, soprattutto, le tecniche, così vive nella memoria, che a lungo ha insegnato, e praticato, sono determinanti per realizzare gli scatti.
Scrive Claudio Fava “Non gli ho chiesto, non gli chiederò come sia stato possibile dalla notte del suo sguardo tirare fuori queste foto. Non è per questo che vi racconto questa storia. Ve la racconto perché in un tempo di rassegnati, di sopravvissuti ad ogni costo, di furbetti e voltagabbana seriali, la storia di un uomo che ha voluto continuare a fare il fotografo anche da cieco mi sembra istruttiva per tutti”.
Tutto a posto, si prosegue senza problemi? Giovanni sa bene ed è perfettamente consapevole delle difficoltà e degli ostacoli da superare. A partire dalla prima domanda che tutti ci faremmo. Le foto sono accettate, piacciono, per pietà? Una domanda, non potendo vedere gli scatti, per la cui risposta dovrà fidarsi delle parole e dei giudizi di chi gli sta accanto, ma anche della professionalità di chi reputerà che questa mostra possa “girare” oltre Catania.
Ammiro e mi congratulo con questo meraviglioso artista. Ha ragione : la realtà prima si tocca con le mani e poi si fotografa. E’ due volte fotografo. che meraviglia.
Che dire, del mio grande amico Giovanni, nulla mi sorprende, nulla mi stupisce, anche se resto sempre attonito davanti alla sua vita ed alla sua grande energia.
Alfio