L’aumento dell’inflazione e le difficoltà del mercato del lavoro tengono gli italiani con il “fiato sospeso” e impoveriscono larghe fasce della popolazione, costrette a rivedere scelte e consumi. Con le persone a rischio di povertà alimentare che, in Italia, nel 2022, hanno raggiunto il 22,3% dell’intera popolazione.
Di fronte a un quadro così complesso, la principale misura decisa dalle banche centrali per contrastare l’inflazione è stata quella di aumentare i tassi ufficiali di interesse, con l’effetto di rendere più difficile il credito a cittadini e imprese, più onerosi i mutui, etc.
Per contrastare l’inflazione, che erode il potere di acquisto e impoverisce soprattutto i redditti fissi, sarebbero possibili scelte di politica monetaria diverse e più efficaci? Vi proponiamo la lettura di un articolo de La Voce.info, che propone una interessante ipotesi di analisi del problema e suggerisce le relative soluzioni.
Secondo Rony Hamaui, sulla base della recente ricerca economica, i profitti sono stati riconosciuti come una importante componente dell’inflazione. Un pensiero anticipato da Adam Smith che, nella sua opera La ricchezza delle nazioni scriveva: “In realtà alti profitti tendono a far salire i prezzi molto di più degli alti salari”. E che sarebbe verificato dal fatto che molte imprese sono riuscite ad aumentare i propri margini di profitto anche con volumi di produzione in discesa, mentre i salari reali subivano una drastica riduzione.
Con queste prenesse, le risposte, più che dalla politica monetaria, possono venire da politiche fiscali redistributive e da adeguate politiche industriali. Come esempio viene citata la Spagna, dove il governo Sànchez è riuscito a ottenere risultati considerevoli contenendo l’inflazione intorno al 2 per cento, “mentre la crescita dei profitti è in linea con il costo unitario del lavoro”.
Leggi l’articolo di Rony Hamaui, Contro l’inflazione non c’è solo la politica monetaria, a questo link
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