La storica Marina Mangiameli, collaboratrice di Argo, analizza i due volumi de “La scuola laboratorio di Pace”.
A Napoli, nel maggio 22, il CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica, il centro di formazione per il personale scolastico promosso dai Cobas Scuola) ha promosso un convegno di studi e formazione sul tema: ‘Ucraina, La scuola si interroga’.
Il successo del convegno e la necessità che la scuola discutesse del presente, provando a sviluppare la cultura della pace, hanno fatto sì che nell’anno scolastico 2022/23, in circa venti città italiane si siano svolti altrettanti convegni con un nuovo e più esplicito titolo: ‘La scuola laboratorio di pace‘. L’insieme degli interventi sviluppati in tutti questi convegni sono stati raccolti in due volumi (Ed.Aracne) che riprendono il titolo dei convegni e lo articolano ulteriormente. Il primo volume tratta di Storia, geopolitica e didattica di pace; il secondo di Militarismi e narrazioni belliciste.
Si può dunque dire che l’opera raccolga e renda fruibile un vasto e articolato dibattito che ha ricadute immediate e sensibili nella didattica quotidiana. Bisogna subito dire che nell’unanime coro di gaudio per l’eroica lotta dell’Ucraina in difesa dei “nostri” valori, l’indubbio pregio dei due tomi in questione è quello di offrire una prospettiva nuova della questione in termini sconosciuti ed assenti in tutti i mezzi di comunicazione di massa più diffusi. Del resto, come giustamente ha affermato papa Bergoglio, la pace è un’opportunità che non cade dal cielo, ma si costruisce giorno dopo giorno e serve giorno dopo giorno.
L’opera offre molti punti di vista ma soprattutto è ricchissima di documenti, informazioni e spunti e ci propone una impostazione, una chiave interpretativa nuova e diversa .
Si va dal contributo di Gaetano Bucci, che opportunamente ricorda già nel titolo che “Scuola pubblica Costituzione e ripudio della guerra” non sono semplicemente concetti opinabili, ad Anrea Catone (“Alle origini della crisi ucraina”) che svela le motivazioni profonde e assolutamente concrete dello scontro in atto in termini puramente storici; a chi come Riccobono-Lo Sapio ripropone ”A 60 anni dalla ‘pacem in terris’ quale pedagogia per la pace” e propone la pace come un impegno improrogabile, per finire, con la posizione di Alex Zanotelli che sottolinea come “La pace ‘sia’ unica alternativa”.
La cosa estremamente interessante è che ogni contributo viene sostenuto da una ricchissima bibliografia scientifica che aiuta e guida, chi non si voglia contentare degli slogan, o delle litanie televisive, a crearsi un’idea propria e magari una valutazione problematica di una drammatica realtà dove forse non c’è solo un orco cattivo ed una povera vittima.
Leone Ginzburg, fondatore dell’editrice Einaudi, era nato in Ucraina, e si sentiva russo. Gogol chiamava l’Ucraina “piccola russia” e la stessa parola “ucraina” significa del resto “terra di confine”. Basterebbe forse questa piccola informazione per fare sorgere qualche dubbio.
Certo si è che il problema non si è posto fino a che Russia ed Ucraina facevano parte del medesimo stato ed è esploso solo dopo che l’affermarsi di nuovi equilibri internazionali (“Nuovi equilibri internazionali” di Manlio Dinucci) ha suscitato nuove mire egemoniche in vecchi contendenti.
Ma (“Alle origini della crisi ucraina e della guerra in corso” di Andrea Catone), in questo contesto bisogna avere il coraggio di superare la propaganda anche quando ci viene prospettata come un articolo di fede e cercare nel passato. Nel passato recente quando nel 2014, dopo avere vinto le elezioni con la promessa di mettere fine al conflitto in Donbass e costruire un’intesa duratura con la Federazione russa, dopo avere disatteso gli accordi di Minsk si è lasciato scivolare il paese in un disastroso conflitto dagli esiti incerti. Nel passato più lontano quando l’Ucraina era parte integrante e fondativa della Russia.
In questa situazione è tutt’altro che pleonastico porsi il problema del ruolo della scuola (“Educare alla pace” di Antonino De Cristofaro) ed evidenziare che uno dei perni fondamentali della educazione alla pace è costituito dalla formazione del pensiero critico, ed anche che per “superare un conflitto in modo pacifico…occorre immedesimarsi nelle ragioni dell’altro/a, percorrendo fino in fondo la strada della relazione”(p.158). Giustamente De Cristofaro sottolinea che nel lavoro scolastico occorre fare una particolare attenzione per evitare le banalizzazioni e le generalizzazioni superficiali. Né si può ignorare che come osservava Gino Strada a partire dalla sua esperienza nelle guerre contemporanee solo il 10% delle vittime sono militari.
Occorre dunque che la didattica affronti e superi anche questa sfida. In altri termini i problemi sono molto più vasti e complessi di quanto lascerebbe credere una certa narrazione televisiva ed è compito della scuola mostrarla.
Anni fa J. Benda parlava del tradimento dei chierici nel contesto del secondo conflitto mondiale. Crediamo sia giunta l’ora di porsi la questione. Archiviato il secondo conflitto mondiale nella biblioteca della storia stiamo vivendo inconsapevolmente il terzo sull’onda delle emozioni sorrette da un eccezionale, continuo, assillante apparato propagandistico che nulla ha da invidiare a quello russo. Questo libro fa chiarezza sulle motivazioni e le problematiche da cui emerge il nostro presente. In tanto fumo può essere un raggio di luce che ci guidi ad opinioni più ponderate.
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“La Scuola” non so, ma la vita degli studenti nell’ edificio scolastico è segnata da una desolante mancanza di pensiero critico. La maggioranza fermamente allineata ai valori tolleranti e democratici delle varie cancel culture, fluid gender e democrazie occidentali. I pochi che vorrebbero dare una visione un po’ più dialettica e complessa dei problemi, definiti fascisti e intolleranti. Mia figlia diciottenne, che grazie a Dio sta per chiudere per sempre con questa istituzione, ha paura di parlare anche con i compagni di classe. Interrogata per una mia curiosità sull’ eventualità di considerare il tema di attualità agli esami, mi ha risposto spaventata che non potrebbe mai scrivere quello che pensa.