Alcuni giorni fa, a trenta anni dall’uccisione di don Pino Puglisi, la Rai ha trasmesso il documentario “Me l’aspettavo. Il sorriso di don Puglisi”, realizzato da Officina della Comunicazione in collaborazione con Rai Documentari, su testo di Matteo Billi, per la regia di Simone Manetti.
‘Me l’aspetttavo’ sono le ultime parole pronunciate dal parroco della chiesetta di San Gaetano a Brancaccio prima di essere ucciso con un colpo alla nuca da Salvatore Grigoli, poi divenuto collaboratore di giustizia, su mandato dei boss del quartiere, i fratelli Graviano.
Dalla voce del killer che ricostruisce il delitto durante la deposizione in aula, dalle foto d’epoca, dalle testimonianze di coloro che furono a fianco di don Puglisi negli anni di impegno nel quartiere, dai racconti dei giornalisti che di Brancaccio documentavano la drammatica situazione, emerge un racconto molto vivo della figura di don Pino e di tutto il contesto in cui egli operò.
Non emergono, invece, le difficoltà che egli visse anche all’interno della Chiesa, approfondite nel volume pubblicato dalla casa editrice De Girolamo nel 2013, Beato tra i mafiosi, che raccoglie scritti di Francesco Palazzo, Augusto Cavadi, Rosaria Cascio.
Divenuto parroco di San Gaetano, don Pino aveva impostato la sua pastorale sul ‘rimbocarsi le maniche’, sull’essere accanto a chi viveva in catoi che non potevano essere chiamate case e aveva come prima preoccupazione quella di riuscire a mangiare ogni giorno, come disse intervenendo – sette mesi prima di morire – all’incontro “Chiesa e mafia: la cultura del servizio e dell’amore contro la cultura del malaffare”, tenutosi al Centro Padre Nostro, da lui fondato.
Soprattutto si era dedicato ai bambini e ai ragazzini, utilizzati dalla mafia come manovalanza e indotti a far propria una pratica di vita basata su violenza e sopraffazione. A loro don Puglisi vuole offrire un’alternativa, un modello diverso, vuole che vadano a scuola e partecipa alla lotta perchè anche Brancaccio abbia la sua scuola media.
Senza l’illusione di poter risolvere i problemi del quartiere, invita tutti a fare qualcosa, perchè “se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto“.
Il sorriso, la mitezza, ma anche il coraggio della denuncia furono le armi utilizzate da questo piccolo prete che la fede nel Vangelo rendeva libero da intimidazioni, lusinghe e minacce. Per questo la più potente organizzazione criminale del Paese vide in lui un nemico pericoloso, capace di mettere in discussione il proprio potere. E volle eliminarlo.
Per chi volesse vedere o rivedere questo documentario, può trovarlo su Rai Play a questo link
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Don Pino se lo aspettava.
Quanti eravamo a Palermo in quel periodo ce lo aspettavamo.
Tutti ci aspettiamo sempre che i disperati tentino di uccidere la speranza degli altri.
E che tanti altri assistano indifferenti, come avveniva a Palermo i quel triste periodo. E continua ad avvenire, basta vedere chi si vota (quando si vota).
Non so se don Pino continuerebbe a sorridere...