Di Salvatore Incorpora, dei suoi affollati presepi e delle sue figure tormentate e contorte, ci siamo più volte occupati, ricordando anche la cura amorevole che i suoi figli hanno avuto delle opere del padre.
Di uno dei figli, Giovanni Incorpora, ingegnere di professione ed erede della sensibilità artistica paterna, presentiamo oggi un volume sull’arte africana, frutto dei suoi viaggi e del suo intelligente lavoro di ricerca e approfondimento su alcune delle innumerevoli culture che il grande continente ospita nel proprio immenso territorio. Firma la recensione una collaboratrice di Argo, Marina Mangiameli.
Quando da lontano si guarda il profilo di una montagna spesso ci appare una massa imponente priva di definizione. Eppure, avvicinandosi a quella massa indistinta si cominceranno a vedere case, alberi, strade che connotano progressivamente quella massa informe e la trasformano in un paesaggio antropizzato molto più di quanto si sarebbe pensato in un primo momento.
E’ la sensazione che si ricava leggendo “A colpi d’ascia. Legni, crete, storie a sud del Sahara” di Giovanni Maria Incorpora (Rubbettino 2022) che scolpisce l’arte africana e ne fa apparire tutta la diversità, tutta la complessità e la densità di significato rifiutando con forza l’atteggiamento tipicamente neocoloniale che per un verso ignora la dignità intellettuale di questa produzione artistica e per l’altro, senza capire il suo significato vero, presume di essere comunque superiore.
Così apprendiamo non solo la grande diversità e varietà delle forme, dei materiali e dei significati, ma anche diciamo, del loro valore “storico”, del loro significato culturale, del loro valore sociale. Insomma quello che agli occidentali, inconsapevolmente chiusi nei loro preconcetti, appare come un enorme buco nero guardato più da vicino si mostra come un mondo fervido di realtà e significati.
La prima osservazione che ci coglie impreparati è la constatazione che, al di là dei diversi materiali in cui sono fatte, tutte le opere che rappresentano la figura umana non sorridono. In altri termini l’arte africana si disinteressa dei momenti ludici. Forse anche perché il sorriso è spesso una mimica a metà fra “l’aggressione (mostrare i denti) e la pacificazione (chiudere la bocca)” (p.27).
Nelle quattro aree geografiche prese in esame l’autore descrive le diverse culture ed etnie ed il valore dell’arte nei differenti contesti.
Insomma per chi voglia fare un viaggio inusuale nel grande continente africano la lettura, spesso non facile, di questo testo può essere una guida preziosa, uno stimolo, un affresco introduttivo a patto di entrare in un mondo in cui non contano le parole ma le immagini, non contano i concetti ma i simboli.
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