“Tutti rivendichiamo altre prospettive” (TRAP), anche noi che siamo ragazzi e ragazze che abbiamo sbagliato, siamo segnalati dall’autorità giudiziaria o in carico ai servizi della giustizia minorile, gli USSM. La devianza non è detto che debba essere l’ultima parola. Abbiamo iniziato un percorso e siamo alla ricerca di una seconda opportunità. Per restare protagonisti, ma non di atti devianti.
Non sono queste le esatte parole che pronuncerebbero i ragazzi coinvolti nel progetto triennale per il contrasto alla povertà educativa minorile finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini, che coinvolge sei province siciliane, tra cui Catania. Ma sono questi i contenuti del progetto TRAP, di cui è Capofila Arci Catania e di cui è partner, insieme ad altri, anche Manitese Sicilia, i cui responsabili da tempo si occupano di giovani inseriti nel circuito della giustizia.
Con alcuni amici di queste associazioni abbiamo fatto una chiacchierata per capire qualcosa di più di questo progetto, a partire dal nome, che rimanda ad un genere musicale associato alla droga e all’aggressività, ma in questo caso è un acronimo che indica invece la ricerca di alternative di legalità e rinascita.
Ci è sembrato interessante, innanzi tutto, che i contenuti di cui i ragazzi si occupano nel corso del progetto siano scelti da loro stessi e non calati dall’alto.
Le prime occasioni di incontro, infatti, i cosiddetti ‘laboratori di orientamento’, sono pensati per permettere ai ragazzi di mettere a fuoco i propri interessi e i propri desisderi, i temi e le attività di cui vogliono occuparsi. Sceglierli insieme, tra loro e con i tutor, significa che i ragazzi diventano protagonisti del progetto educativo che li riguarda. A partire da un ripensamento su se stessi che li aiuta a conoscersi, a scoprire i propri bisogni e, nel contempo, rielaborare il proprio vissuto.
A questo punto si parte, e l’aspetto più propriamente riflessivo si intreccia con attività pratiche da imparare sotto la guida di tutor competenti, che possono essere esperti esterni o gli stessi operatori. Si trattano, ad esempio, temi come il bullismo o le questioni di genere, si riflette sulle proprie emozioni e sulle conseguenze del cambiamento climatico sul nostro territorio, ma nel frattempo si impara a lavorare il cuoio e a restaurare mobili. O a realizzare murales, come è avvenuto ad Avola.
Ci sono poi iniziative di grande valore formativo, che coinvolgono tutti i ragazzi, a livello regionale, come le camminate lungo la via francigena o le esperienza di convivenza in barca a vela, microcosmo che educa alle regole insegnando a seguire una rotta.
In tutta la Sicilia i ragazzi coivolti nel progetto sono circa 60, di cui una ventina in provincia di Catania.
In buona parte, ma non in tutti i casi, si tratta di giovani che vengono da un contesto sociale e familiare molto difficile, per i quali il percorso, che dura tre anni, non è detto sia sufficiente a determinare una vera e propria svolta di vita. Qualcosa comunque viene seminato e oggi, dopo un anno e mezzo di attuazione del progetto, a metà percorso, c’è già qualche segnale positivo. Alcuni ragazzi, ad esempio, vogliono ricominciare a studiare iscrivendosi ad una scuola serale, altri hanno espresso il desiderio di frequentare un gruppo scout. Una richiesta nata in seguito ad incontri, favoriti dagli operatori, con gruppi di coetanei provenienti da ambiti diversi e portatori di interessi più ampi.
Notevole, in questo progetto, oltre al coinvolgimento delle famiglie, l’investimento fatto sulla formazione degli operatori, che hanno così la possibilità di acquisire un bagaglio di competenze che resta loro come un bene prezioso da mettere in campo in altre occasioni di incontro con le situazioni di povertà educativa così presenti nel nostro territorio.
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