Con il suo cappotto scuro e l’espressione concentrata ma pronta al sorriso, Pippo Gliozzo ha partecipato in silenzio alla Via Crucis di mercoledì 5 aprile, a san Berillo. Fedele tra i fedeli, come ha scelto di essere da quando ha lasciato il suo ruolo di parroco del ‘Crocifisso della buona morte’, della comunità parrocchiale che in cinquanta anni di presenza nel quartiere San Berillo, ha accolto tutti e annunciato a tutti misericordia, indipendentemente da appartenenze religiose, etniche, sociali.
Un clima di cui la Via Crucis pasquale per le vie del quartiere, che si ripete da anni, è uno dei simboli. Così come simbolica è stata la ormai tradizionale liberazione dalle loro gabbie di alcuni uccellini catturati con le reti. Quest’anno di fedeli ne sono accorsi tanti, alcuni forse spinti anche dalla curiosità, non fosse altro per l’annunciata presenza del vescovo. Ma il grosso delle presenze era quello dei parrocchiani, dei giovanissimi di alcuni gruppi scout, di giovani e meno giovani impegnati in associazioni che lavorano nel quartiere, dal Centro Astali a Trame di quartiere, di alcune suore ma anche di figure del mondo sindacale, e persino del canddato sindaco dell’area progressista, Maurizio Caserta. E tanta gente comune.
Il dialogo interreligioso, curato per anni da Gliozzo, era testimoniato dalla presenza dell’Imam della Moschea della Misericordia, da rappresentanti della chiesa anglicana di Randazzo e della comunità ortodossa romena, ospitata in alcuni locali del ‘Crocifisso della buona morte’, che ha atteso l’arrivo della via Crucis in piazza Falcone con i propri vessilli e i propri canti.
Ma la protagonista dell’evento è stata tutta la comunità dei partecipanti, senza che nessuno, neanche il vescovo Luigi Renna, cercasse di occupare un posto sotto i riflettori. In silenzio, composti e spesso commossi, donne, uomini, ragazzi di tutte le età e di tutte le apppartenenze, hanno ascoltato le brevi introduzioni che il nuovo parrocco, Piero Belluso, dedicava ad ogni stazione.
E soprattutto hanno ascoltato gli interventi, sobri e intensi, dei testimoni che hanno coraggiosamente messo a nudo la propria vita e il proprio dolore. Spesso con la voce incrinata dal pianto, hanno raccontato storie di abbandono, di violenza, di abuso, di emarginazione, di difficile scoperta della propria identità sessuale. Non certo per il gusto di occupare la ribalta, ma per testimonare come, anche nella situazione più buia, c’è spazio per la speranza se c’è un Gesù che “comprende la mia angoscia e la mia pazzia” e che, condividendo il mio affanno di vittima, è riuscito ad “allontanare quel cane rabbioso che mi mordeva il cuore”.
Un Gesù che ribalta la scala dei valori, mette al primo posto gli umili e i rottami della società piuttosto che i potenti, “strappa Dio dal cielo” per collocarlo in mezzo a noi. E crea speranza perché produce solidarietà, crollo di ogni pregiudizio, cura dei più fragili, ma anche coscienza della propria fragilità.
Ed ecco il Cireneo che si fa carico della fatica di Gesù, la figura che il vescovo Renna, nelle poche parole pronunziate a conclusione, ritiene la più vicina ad ognuno di noi, il modello di chi incontra Dio senza neanche saperlo e si carica della croce del fratello, non per scelta ma perché è necessario.
Della rivoluzione contenuta nel messaggio cristiano parlano anche le canzoni composte per questa tradizionale Via Crucis da Nino Bellia, da anni membro attivo della comunità parrocchiale.
“Ci precedono lungo il cammino gli umiliati, i perdenti, i reietti, chi si ostina a sognare il destino d’essere tutti amati ed eletti”, hanno cantato i partecipanti andando dietro la croce. Ed ancora “Ci precedono ed entrano in scena il diverso, il malato, l’escluso, chi subì e pagò ingiusta pena, pregiudizio, congiura ed abuso”, ma anche chi ha saputo fare un gesto di attenzione verso chi soffre, come la Veronica, “donne e uomini, poche parole, gesti semplici, un tocco leggero, vera icona di ciò che Dio vuole”. E quando Gesù muore, e sembra che la sfida sia fallita, che venga “decretata la vittoria del deserto, del buio, del niente”, Bellia propone che si canti: “ è morendo che il chicco di grano non rimane da solo e dà frutto, nulla c’è che si perda o sia invano”, perché la Luce trionferà sul Lutto. Ma questo è un salto che solo la fede permette di compiere.
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Un Gesù che “strappa Dio dal cielo” per collocarlo in mezzo a noi.
grazie per questa bellissima frase che riassume tutto
È stato un momento forte dal punto di vista umano e spirituale che ci ha toccati con grande intensità. Ho ammirato il coraggio di chi si è messo a nudo davanti a tutti denunciando la propria fragilità e annunciando la luce del Cristo che vince il buio e la morte.