Un’analisi di Ettore Palazzolo sulla guerra in Ukraina, con uno sguardo rivolto al futuro prossimo.
E’ già passato un anno dall’inizio della “operazione speciale” russa in Ukraina e ancora non se ne intravede la conclusione. Anzi. C’è una situazione di parziale stallo sul campo militare, mentre dal punto di vista politico non si intravedono grosse novità, a parte il flop del Piano cinese, ancora pieno di ambiguità.
L’unico aspetto su cui è il caso di soffermarci è costituito dalle prossime (fra un anno e mezzo) elezioni americane, le quali incideranno certamente sulla durata della guerra. Sul voto peseranno i costi del sostegno militare all’Ukraina, cui peraltro corrisponde una enorme crescita dei profitti dell’industria delle armi, e, in generale, del complesso militare-industriale degli USA.
Un’eventuale vittoria dei Repubblicani, anche se non necessariamente di Trump, avrebbe un impatto certamente più vantaggioso per Putin e la Russia. E’ questa è una delle ragioni per cui i russi cercheranno probabilmente di prolungare quanto più è possibile la durata della guerra. D’altronde, anche l’amministrazione Biden pare si stia orientando a chiudere la guerra – o più esattamente il sostegno militare all’Ukraina – entro l’anno o comunque non oltre i primi mesi del 2024, non intendendo fare di tale impegno con l’Ukraina uno dei temi della campagna elettorale, cosa che probabilmente avvantaggerebbe i repubblicani.
Ma l’Europa ed i singoli Paesi europei hanno consapevolezza di ciò? A me pare che l’acritico allineamento dell’Unione europea alle posizioni USA come conseguenza del fatto che la politica estera e di difesa dell’Unione Europea è stata, di fatto, appaltata alla NATO, cioè agli Stati Uniti, non tenga in adeguata considerazione tali aspetti e, più in generale, dei differenti interessi degli USA rispetto ai Paesi europei.
Gli Stati Uniti, situati al di là dell’Atlantico, si stanno preparando alla sfida anche militare con la Cina ed è prevedibile che prima o poi – chiunque potrà essere il successore di Biden – decideranno di sganciarsi dal sostegno economico e soprattutto militare all’Ukraina, particolarmente se vi sarà un repubblicano alla Casa Bianca. Oltretutto ciò non dovrebbe sorprenderci più di tanto: un eventuale repentino abbandono da parte degli USA dei suoi alleati dopo quello che è avvenuto con i Curdi e con gli Afgani, sarebbe fra le cose possibili…
E l’Europa, con una guerra scoppiata a qualche centinaio di chilometri di distanza, in tale evenienza cosa farà? Continuerà a sostenere l’Ukraina, sopperendo con propri mezzi e risorse militari al venir meno dell’aiuto fondamentale dell’alleato USA? Oppure deciderà, sotto il peso di questa evenienza, che è venuto il momento di venire a patti con la Russia, anche a costo di abbandonare l’Ukraina al suo destino?
A me pare che ancora si brancoli nel buio profondo. E questo è molto preoccupante. Tutto ciò perché è venuta meno, e da tempo, la Politica (mi ritrovo in questo con Massimo Cacciari) e tutto si è ridotto alle sanzioni da irrogare e alle armi, sempre più sofisticate, da inviare per sostenere militarmente l’Ukraina, costi quel che costi, subordinando le decisioni politiche ai rapporti di forza che si vanno determinando sul campo di battaglia. Con un approccio etico e politico che ricorda molto quello dei neo-con americani (ai quali, non a caso, si è sempre opposto un conservatore tradizionale, di impostazione realistica, come Kissinger).
La Politica esige invece di superare la pur comprensibile indignazione contro la criminale aggressione dell’Ucraina, in funzione di una visione razionale delle relazioni internazionali, dei rapporti di forza, delle zone rosse da non oltrepassare, degli assetti politici da definire e degli equilibri fra potenze da ridefinire, anche in Europa. Tutto ciò che è mancato, almeno negli ultimi 20 anni. E che occorrerebbe invece ristabilire una volta che si sarà posto fine alla guerra. Ben sapendo, da un lato che c’è un diritto internazionale da ripristinare, ma dall’altro che anche nelle relazioni estere uno non vale sempre uno.
La Russia, a detta di tutti, non può vincere la guerra, ma non può neanche perderla. Una grande potenza, se non una superpotenza, la quale detiene nel proprio arsenale migliaia di testate nucleari non è pensabile possa perdere una guerra come quella in Ukraina (140 milioni di abitanti, disponibilità di uomini, di mezzi e munizioni, basti pensare alle fabbriche di armi funzionanti 24/24 h., ecc.). Il che significa che, non solo l’Ukraina, ma anche i Paesi della NATO debbano convincersi che una vittoria contro la Federazione Russa è impossibile, se non mettendo apertamente in campo l’ipotesi di una terza guerra mondiale, nella quale l’opzione nucleare diventerebbe fortemente probabile. La cosa potrà non piacere, ma il dato di realtà e i rapporti di forza impongono una drastica scelta.
Ed allora l’unica soluzione seriamente praticabile – se non si vuole giocare alla roulette russa – è quella di darsi come obiettivo un grande compromesso: un cessate il fuoco o armistizio, che potrebbe durare anche decine di anni, prima di un vero e proprio trattato di pace, la Corea insegna. Per la pace occorrerà infatti aspettare ancora, e parecchio. Nel frattempo, in Europa, la prospettiva sarà quella di una lunga fase di guerra fredda con la Federazione Russa.
Di pace si potrà parlare solo dopo una Conferenza internazionale, tipo quella di Helsinki del 1975, che potremo chiamare Helsinki 2, sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dopo che, colpevolmente, gli Stati europei non hanno provveduto ad aggiornare il retaivo Trattato, a seguito della situazione venutasi a creare dopo il 1991 con la disgregazione dell’Unione sovietica.
Ecco quello che dovrebbe fare Elly Schlein, la quale, rifuggendo da una, spesso falsa, contrapposizione se armare o meno gli ukraini, si è dichiarata al contempo pacifista, senza negare aiuti anche militari agli ucraini. A questi ultimi va garantito tutto il sostegno materiale possibile, compreso anche quello militare – che pure io stesso nei mesi scorsi ho criticato – perché possano difendersi da un’aggressione di gran lunga sovrastante.
Ma anche, proprio in ragione di tale sostegno da parte di tutti i Paesi occidentali, noi cittadini dell’Unione europea, dobbiamo comprendere, ma anche far comprendere agli Ucraini, che la sconfitta militare della Russia è praticamente impossibile e che la situazione di guerra potrà concludersi solo con un grande compromesso. Compromesso che potrà contemplare aspetti certamente dolorosi per l’Ukraina, come cessioni territoriali, ma anche l’eventuale previsione, in forma bilanciata e reciproca, di zone smilitarizzate (con riguardo in particolare alle basi per missili a medio raggio nei paesi dell’Est europeo aderenti alla NATO, così come nell’Ovest della Federazione Russa) se si vuole davvero porre termine a questa carneficina e alla distruzione totale di un gran numero di città e paesi del territorio ucraino.
In altri termini la fine dello stato di guerra (armistizio o cessate il fuoco) e la prospettiva della pace devono essere l’obiettivo fondamentale e costante da perseguire, da parte dell’Italia, degli altri Stati europei e dell’Unione Europea, cosa che finora non è affatto avvenuto. Ma a distanza di un anno e mezzo dalle elezioni presidenziali negli USA, che non sappiamo quale esito potrebbero avere, questa mi sembra l’opzione più ragionevole da proporre in tutte le sedi, nazionali ed europee, con voce forte e chiara.
Solo un ‘osservazione , quel “conservatore realista e razionale di Kissinger” è stato l’ideatore ed esecutore del golpe cileno ectutto ciò che ne è conseguito. Le Sue mani sono ancora sporche di sangue anche se va in giro a fare il puro, citato da tutti, da voi a Travaglio.
Chi sia stato Henry Kissinger penso lo sappiano tutti, o quasi. Credo però che sia ancora possibile fare una distinzione fra il Kissinger Segretario di Stato USA negli anni settanta del secolo scorso e il Kissinger insigne studioso di relazioni internazionali e fra responsabilità politica e responsabilità, per così dire, intellettuale. Non ho inteso santificare Kissinger, lo ho solo citato – a proposito la virgolettatura è scorretta: non ho usato l’espressione “conservatore razionale”, ma solo “tradizionale” – per mettere in risalto la distinzione fra un approccio fondamentalista nelle relazioni internazionali, proprio dei neo con americani (non a caso chiamati anche teo-con) e l’approccio realista, basato cioè sull’analisi dei rapporti di forza e degli interessi delle diverse nazioni: niente di più e niente di meno. Avrei potuto citare qualcun altro studioso dello stesso orientamento? Probabilmente. In ogni caso stiamo attenti con la cancel culture. Perché, se adottiamo questo criterio, non si salva più nessuno, a cominciare da Mazzini, poi da che Guevara, fino ai dirigenti comunisti delle Brigate internazionali, a sostegno della Repubblica spagnola, ad alcuni dirigenti della Resistenza, tutti responsabili, in maniera diversa, di non trascurabili eccidi, e con le mani, parimenti, insanguinate. Non dovremo più citare neanche tutti questi?
Ettore Palazzolo
Non capisco come si può auspicare pace e lavorare per una soluzione diplomatica continuando a fornire armi…
Siamo nel mondo di Orwell…
Inoltre l’organizzazione fondata dalla radicale Bonino “Non c’è pace senza giustizia” dovrebbe invertire i termini perché è molto più vero che non c’è giustizia senza pace
Debbo dire che a fronte di una tale obiezione invidio quelli che non hanno dubbi, ma solo granitiche certezze, per i quali esiste solo il Bianco e il Nero, i Buoni e i Cattivi, essere per la Pace oppure per la Guerra. Io, nel mio piccolo, ammetto di avere molti dubbi ed in particolare sulla guerra in Ukraina ho modificato più di una volta il mio giudizio, da una posizione possibilista al sostegno militare, alla critica e poi ad una riconsiderazione complessiva che mi ha fatto vedere il problema in termini differenti. Ritengo infatti che la guerra in Ukraina, nel corso dei mesi abbia subìto una rilevante trasformazione: da iniziale guerra difensiva contro un’aggressione ingiusta e criminale (che quindi meritava il sostegno, proprio per impedire che uno Stato indipendente perda la sua sovranità, o quanto meno la sua integrità territoriale), sia divenuta una guerra fra due Imperi per la delimitazione delle rispettive sfere di influenza. Può darsi che quest’aspetto fosse già presente fin dall’inizio, ma probabilmente in forma solo potenziale…E’ ovvio che accettando tale conclusione, il problema del fornire armi agli ucraini assume un ben diverso rilievo.
Peraltro, fin dall’inizio del conflitto, avevo manifestato forti critiche all’invio di armi, ritenendo che l‘aiuto alla difesa si può fornire in tanti modi: logistica varia, mezzi di trasporto, centrali e generatori elettrici, vettovagliamento vario, invio di tecnici e di squadre di operai per il ripristino anche di edifici e infrastrutture civili distrutti, strumenti ottici ed elettronici altamente sofisticati, ecc. Si tratta di forniture utilissime alla difesa, ma non certo qualificabili come armamenti in senso proprio.
Tuttavia non ho mai demonizzato nè considerato avversari chi la pensasse diversamente da me, anche perché ritenevo un argomento forte e serio quello secondo cui “se i russi smettono di combattere finisce la guerra, se gli ucraini smettono di combattere finisce l’Ukraina (come nazione indipendente e sovrana)”. E che se è legittimo difendersi, deve essere altrettanto legittimo aiutare chi si difende.
Ovviamente speravo di non essere neanch’io demonizzato per le opinioni da me espresse. Ma così non è stato: ho ricevuto critiche di segno opposto: da un lato di essere filoputiniano e dall’altro di avallare comunque la guerra e non essere un vero pacifista.
Il problema è l’obiettivo che si vuole ottenere, o, se vogliamo, la strategia complessiva. E questo non è affatto chiaro, o peggio, è chiaro forse nella segrete stanze di qualche Comitato NATO e tenuto probabilmente nascosto pure ai Governi europei. Si vuole solo difendere l’Ukraina per arrivare al più presto alla pace (o, almeno, ad un cessate il fuoco), proprio per quella trasformazione della guerra cui accennavo in precedenza, o si vuole sconfiggere la Russia, dandole una lezione “che se la ricorderà per sempre”? Le due ipotesi sono molto diverse ed attraversano gli Stati europei. La Polonia e i Paesi baltici, d’esempio, sono chiaramente per la seconda ipotesi, offrendo addirittura ampio sostegno alle rivendicazioni indipendentistiche delle tante etnie non russe presenti all’interno della Federazione Russa. Ma così si legittima ancor più la narrazione, a questo punto non più solo vittimistica, dei Russi che si sentono aggrediti nella loro stessa integrità territoriale e che vedono la presenza occidentale, sia pure indiretta, nella guerra d’Ucraina come il primo passo per un’aggressione totale alla Federazione Russa. Ma queste due diverse posizioni sono presenti anche all’interno del nostro Paese. Ecco perché anche fra i sostenitori dell’invio di armi all’Ukraina vi siano (almeno) due linee ben distinte. E dunque le posizioni favorevoli all’invio di armi contengono un notevole margine di ambiguità (come pure, del resto, le posizioni opposte). Questo perché manca una linea Politica ben definita.
Come si può vedere i problemi sono un tantino più complessi che quello di un Sì o un Nò all’invio di armi all’Ukraina.
Ecco perché la posizione di Elly Schlein, non solo non mi scandalizza, ma potrebbe costituire una risorsa in più, in quanto la nuova Segretaria del PD, dichiarandosi pacifista, senza negare aiuti anche militari agli ucraini, potrebbe proprio in ragione di tale sostegno, levare alta la voce non solo in Italia, ma anche verso tutti i Paesi occidentali, per un’autentica svolta di pace. Cosa che molti dicono di volere senza però, in concreto, muovere un dito per realizzare.
Ettore Palazzolo