Myriam e Faith, due donne arrivate a Catania dal continente africano. Due donne, fragili e forti come le donne sanno essere, non solo l’otto marzo, ma tutti i santi giorni, instancabilmente.
Due storie, due percorsi, che si ripetono da troppo tempo e ai quali rischiamo di abituarci, che ci parlano di adulti, ma anche di bambini che subiscono una delle violenze peggiori: quella di essere costretti ad abbandonare la loro terra, intraprendendo percorsi che, anche quando raggiungono la meta finale (ma la strage di Crotone dimostra che tante, troppe, volte, non è così), segnano per sempre le loro vite.
Myriam non parlava italiano, aveva un corpo esile e nodoso, camminava male come se avesse un handicap o un problema di salute. Arrivava dalla Libia, ma era originaria del Corno d’Africa, aveva con sé un bambino, piccolo, di carnagione più chiara della sua, da cui si manteneva distaccata, lontana. I volontari, i mediatori culturali e le associazioni che le sono state accanto hanno innanzitutto “imparato” a sostenerla in un lungo e difficile percorso psicologico. Un percorso necessario per superare i traumi vissuti, le violenze subite ed accogliere finalmente con tenerezza quel bambino che di quelle violenze era il frutto. Poi, pian piano, il fisico che si rafforza, la ricerca di un lavoro, di una casa, gli altri figli che la raggiungono, la convivenza inizialmente difficile con questi ultimi che non parlano tutti la stessa lingua e devono imparare a comunicare, ma, finalmente, è un nuovo inizio.
Faith viene da un grande paese africano dell’Ovest. Giorno dopo giorno, insieme al marito, accudiscono la loro bimba disabile. Come tanti, troppi, subiscono le inesorabili “leggi del mercato”, non avendo un lavoro sicuro, e quindi nemmeno le garanzie richieste per affittare un appartamento adeguato alle loro esigenze, devono accontentarsi di case umide e piccole, ma hanno dignità da vendere e la bambina è sempre vestita come una principessa. Ma Faith, e il marito, nonostante le difficoltà, non hanno nessuna intenzione di arrendersi.
Ringraziamo Francesca per averci parlato di queste donne, che anche lei ha contribuito ad aiutare ma che hanno – soprattutto – saputo aiutare se stesse.
Quando non dovremo più raccontare storie come queste allora sì che sarà 8 marzo.
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