Se la memoria è “l’occhio del presente che si volge verso il passato e ritorna al presente per poi lanciarsi verso il futuro tentando di decifrarlo”, essa non rimane solo un contenitore di eventi passati, ma genera attenzione all’oggi e si proietta su ciò che può ancora avvenire.
Una riflessione necessaria se si vuole evitare di scivolare nel già detto e ripetere un rito stanco che parla poco al presente e soprattutto ai più giovani: una modalità decisamente inadeguata per ricordare che il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. E che il primo novembre del 2005, l’ONU istituì il Giorno della Memoria per ricordare tutte le vittime della Shoah.
Qualche giorno fa, tuttavia, si è svolto nell’aula magna del Liceo Galilei un incontro di formazione, a cura del Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica, un ente di formazione e aggiornamento promosso dai Cobas Scuola), che ha provato a coniugare il ricordo del passato alla comprensione del presente e alla proiezione verso il futuro, riuscendo a coinvolgere un pubblico numeroso e partecipe di docenti e studenti, che si sono trattenuti a discutere al di là del l’orario preventivato per la chiusura dei lavori.
L’evento, “Shoah e persecuzioni: conoscere il passato per costruire il futuro”, è stato coordinato da Marina Mangiameli e ha avuto come relatori Guido D’Agostino, dell’Università di Napoli, Presidente dell’Istituto campano per la storia della Resistenza (sue le parole virgolettate all’inizio), Antonino De Cristofaro, docente e componente dell’EN Cobas e Salvatore Distefano, presidente dell’Associazione Etnea Studi Storico-Filosofici.
Aprendo i lavori D’Agostino ha sottolineato che non sempre il “nuovo” coincide con il progresso e dunque bisogna porsi di fronte a tutte le ricorrenze in modo critico, consapevoli che ricordare criticamente ciò che è accaduto, purtroppo, non significa automaticamente non ripetere gli stessi errori. Ha, quindi, precisato che il ricordo è selettivo, che scegliamo più o meno consapevolmente cosa ricordare e come.
Nel caso della Shoah, evento unico ma che può riprodursi in altre forme e con altre dimensioni, è un invito a non trascurare il ‘male’ che si può ancora produrre, e verso il quale non possiamo essere disattenti senza esserne anche responsabili.
De Cristofaro si è interrogato sul ruolo del fascismo nella tragica storia del “secolo breve”, rimettendo in discussione la stessa idea di una sorta di innata “mitezza” del popolo italiano, sintetizzata con uno slogan ampiamente conosciuto che ci definisce “brava gente”. Ha, quindi, ripercorso le atrocità commesse nelle cosiddette colonie e durante l’occupazione della Jugoslavia, in concorrenza con gli stessi tedeschi, e il precedente tentativo durante il fascismo di negare identità e diritti della comunità slava. Premesse fondamentali per comprendere ciò che è avvenuto dopo l’otto settembre del 1943 e il destino dei profughi, da sempre cruda testimonianza della guerra come delle sue conseguenze.
Della centralità del linguaggio per comprendere il presente ha parlato Di Stefano, evidenziando come anche il linguaggio contribuisca, con slittamenti semantici e stravolgimenti dell’uso delle parole, a fenomeni revisionistici. Ha portato l’esempio del termine “riforma”, che ha un senso se si parla della Riforma religiosa del ‘500, un altro se ci si riferisce alle conquiste sociali degli anni ’70 del ‘900. E ha definito l’uso della lingua come solo apparentemente libero, perché è proprio dall’uso della lingua che deriva la comprensione, l’interpretazione e la memoria stessa dei fatti storici. Avviene ad esempio con il termine nazionalismo che – ha concluso – “rappresenta un atteggiamento di chiusura che espelle dall’orizzonte l’elemento più nuovo e caratterizzante degli ultimi anni: l’Europa come ampio orizzonte dei singoli destini nazionali”.
Dal convegno emerge, nel complesso, la consapevolezza che ci sia ancora molto da capire di ciò che abbiamo alle spalle ma anche di ciò che ci sta attorno, sempre applicando un rigoroso metodo scientifico. Ma la storia, pur essendo eminentemente giudizio critico del passato, deve anche essere “esperienza e speranza”, come ha suggerito D’Agostino. Deve cioè proiettarci verso il futuro. E i giovani presenti, appassionandosi alla discussione, hanno dimostrato di averlo capito.
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