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Collegamenti Catania-Etna sud, decenni di progetti e idee per approdare al nulla (e al caos)

Un fiume di 60 mila veicoli al giorno, nelle ore di punta, si riversa in città dai paesi etnei del versante meridionale del Vulcano. Catania è rimasta, infatti, il luogo dove vanno a lavorare, studiare, fruire dei servizi, la maggior parte di coloro che vivono nei paesi etnei, compresi quelli che lì hanno scelto di traferirsi dopo aver abbandonato la città, alimentando una espansione che, senza interventi di pianificazione, ha trasformato piccoli centri con vivaci attività agricole e artigianali in quartieri dormitorio.

E’ questo lo scenario della ricerca di un giovane storico residente a Mascalucia, Giulio Pappa, la cui tesi di laurea è stata recentemente pubblicata dall’editore Maimone con il titolo “Un collegamento ferroviario tra Catania e i paesi dell’Etna Sud”.

Una ricerca iniziata in seguito al ritrovamento, nella Biblioteca Regionale universitaria di Catania, di un opuscolo del 1887, “Sopra una variante per Mascalucia al tracciato della CircumEtnea”, riferito ad un progetto di fine Ottocento, che dimostra le radici antiche di un problema ancora oggi di scottante attualità.

E’ proprio alla fine del secolo, infatti, che nasce e si sviluppa in Italia la ferrovia, anche quella a scartamento ridotto, utilizzata come ‘complementare’ alla rete principale, soprattutto nelle aree montuose periferiche. E a scartamento ridotto nasce – nel 1895 – la Ferrovia Circumetnea, pensata sopratutto per il trasporto delle merci prodotte nei paesi etnei in direzione del porto di Catania. Il tracciato, inizialmente previsto fino a Randazzo, venne proseguito fino alla stazione di Giarre-Riposto, dove avrebbe trovato uno sbocco nel porto di Riposto e un raccordo con la linea ferroviaria Catania – Messina.

Dalle carte analizzate da Pappa (documenti dei consigli comunali, pamphlet, articoli di giornali) emerge la vivace discussione sviluppatasi attorno alla scelta del percorso, che poteva seguire la linea diretta Catania, Misterbianco, Paternò e oltre, o prevedere delle varianti attraverso i paesi del Bosco Etneo (San Giovanni La Punta, Gravina, Mascalucia…), disponibili anche a contribuire alle spese per non rimanere esclusi dallo sviluppo promesso dalla strada ferrata.

A chi opponeva i problemi posti dalla pendenza e dalla lunghezza della variante, si rispondeva ricordando che si trattava comunque di una ferrovia di 4° classe realizzata proprio per “stringere quanti maggiori centri sarebbe possibile”, come già avveniva in altre parti d’Italia e della stessa Sicilia. Ma fu la linea più breve ad avere l’approvazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, anche se i paesi esclusi fecero ricorso.

Il collegamento tra Catania e i paesi dell’Etna Sud si avviava a divenire un grande problema irrisolto, a cui si continuarono a cercare soluzioni alternative, come ad esempio, sempre a fine Ottocento, una tramvia a vapore, che alcuni comuni (Adernò, Licodia, Belpasso, Mascalucia) erano disposti a finanziare per intero.

Lo studio di Pappa, che si compone di due parti, dopo aver ricostruito le vicende a cavallo tra fine Ottocento e primo decennio del Novecento, “sposta l’attenzione sugli ultimi 40 anni”, quando, nei paesi etnei di cui ci occupiamo, la situazione demografica e ambientale è già esplosa.

Catania, che “ha raggiunto nel 1971 il massimo storico di popolazione residente”, quattrocentomila abitanti, negli anni successivi ne perde circa 100mila a favore dei paesi dell’Etna sud, dove la popolazione aumenta del 200% . La fisionomia di questi centri abitati viene stravolta dal consumo di suolo, dall’edilizia residenziale incontrollata, dall’inquinamento, dalla congestione del traffico, e dalla necessità – per i residenti – di spostarsi continuamente verso la città dove rimangono accentrate “le funzioni lavoro-studio”.

Come spiega nell’introduzione, l’intento di Pappa è quello di esplorare nel dettaglio “i progetti e i piani di sviluppo della mobilità catanese e del suo hinterland”, compresa la trasformazione, in ambito urbano, della ferrovia FCE nella prima metropolitana della Sicilia.

Molte le soluzioni prese in considerazione, a partire da una Pedemontana “il cui progetto viene inviato al Ministero delle Infrastrutture e Trasposti nel 2001 per la richiesta di finanziamento”: circa 800 milioni di euro per un percorso di 18.5 km, da piazza Verga attraverso Picanello, Canalicchio, SGGalermo, Gravina Tremestieri Trappeto San Gregorio, per poi connettersi all’asse dei viali e alla linea aeroporto-stazione-Misterbiano-Paternò.

Caduta nel vuoto la richiesta, furono prese in considerazione soluzioni più econonomiche, una rete tramviaria e una metropolitana leggera. Su un progetto di tre linee di metropolitana leggera (viola, verde e blu), con costi e tempi di realizzazione ridotti, nel 2007, venne siglato un accordo tra Provincia e Comuni interessati. Alternando corsie uniche e doppie corsie, a seconda dell’ampiezza delle strade esistenti e modificando, in alcuni tratti, la circolazione ordinaria, si poteva offrire un collegamento con i comuni che generano i maggiori flussi veicolari. Era prevista anche una interconnessione con i servizi esistenti di FCE e della RFI, ma il problema posto dalla promiscuità con il traffico veicolare privato fece sì che l’iter venisse bloccato “con l’obiettivo di ricercare soluzioni più efficaci”.

Il nuovo progetto fu la monorotaia EtnaRail, due linee Nord Sud e una bretella di interconnessione Est Ovest, poi sostituita da un Brt di raccordo. Era un mezzo che si muoveva su una struttura propria senza il problema della promiscuità con il traffico veicolare, anche se c’era la difficoltà dei permessi necessari da parte di Soprintendenza, Anas, Genio Civile, etc. Fatto sta che, dopo l’approvazione del progetto preliminare, nel 2015, anche questa prospettiva venne abbandonata.

Nel frattempo nel PGTU (2012) erano stati inseriti due progetti, il Mini metro (People mover) Milo-Santa Sofia e un BRT Gravina Mascalucia Nicolosi Pedara

Il Mini metro aveva solo lo scopo di migliorare l’accessibilità alla Cittadella ma una proposta di modifica del Catania Mobility Lab, che suggeriva di prolungarlo da piazza Santa Maria di Gesù fino al parcheggio dei Due Obelischi, poteva trasformarlo in una linea metropolitana alternativa al mezzo privato. Aggiungendo alcune linee BRT, in partenza dai Due Obelischi verso i paesi dell’Etna Sud, si poteva offrire, con un solo cambio, la possibilità di raggiugere il centro di Catania. L’ostacolo era rappresentato, in questo caso, dalle norme vigenti che non consentono di estendere i servizi AMT verso i comuni non confinanti (lr n 68, 14 giugno 1983), ma potrebbe essere superato da accordi di cooperazione tra i comuni interessari.

Per disincentivare l’uso dell’auto privata, all’introduzione del BRT dei paesi etnei si dovrebbero, tuttavia, associare misure come la chiusura della città al traffico veicolare e l’aumento delle tariffe della sosta in centro.

Nonostante l’ampio ventaglio di ipotesi, i progetti già approvati, gli accordi conclusi, a tutt’oggi nulla è stato realizzato. La ricerca effettuata da Pappa ci induce ad attribuire la responsabilità di questo immobilismo ad una classe dirigente politica e amministrativa incapace di fare scelte coraggiose e lungimiranti per il timore di scontentare qualcuno. Potremmo azzardare che l’interesse elettorale abbia prevalso sulle responsabilità di governo del territorio.

Soprattutto in questo momento storico in cui è alta la disponibilità di fondi di provenienza europea, si potrebbe finalmente passare ai fatti, ma bisognerebbe innanzi tutto procedere ad una operazione di trasparenza, considerato che la città è tenuta all’oscuro dei progetti legati ai fondi del PNRR.

Rimane ancora un capitolo da approfondire, quello della trasformazione della ferrovia circumetnea in metropolitana anche fuori dal circuito cittadino. Con un spesa altissima non proporzionata al modesto numero di spostamenti provenienti da Ovest e perdendo l’occasione di valorizzare una ferrovia storica con caratteristiche di attrazione turistica. L’autore mette già in chiaro i termini del problema. Torneremo sull’argomento, anche con il suo contributo.

Argo

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  • È davvero incomprensibile questa mancanza di attenzione amorevole verso il territorio, la città e il suo miglioramento sia a livello di vivibilità che di incremento turistico. Noi cittadini che amiamo la nostra Catania come possiamo far sentire la nostra voce? Se si mettessero insieme tutte le voci e le forze possibili del nostro territorio, associazioni, comitati e simili, si potrebbe forse essere ascoltati? È veramente doloroso assistere impotenti a tutto questo....

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