Anche in una regione fiorente come l’Emilia Romagna ci sono sacche di disagio sociale in cui prende piede la dispersione scolastica, tanto da arrivare alla percentuale del 24%.
In uno di questi contesti difficili, quello del basso ferrarese, è in corso, da circa sei anni, una esperienza pilota di contrasto alla dispersione, una Comunità educante che ha ottenuto una diminuzione, di circa dieci punti, della percentuale di abbandono.
Di questa esperienza ha parlato nel format Mezz’ora con di Memoria e Futuro, Giovanni Lolli, che – fin dall’inizio – ha definito la dispersione un problema sociale e non soltanto scolastico, che va affrontato quindi da tutta la comunità e non solo dalla scuola.
La scuola resta comunque al centro di qualunque progetto in materia, ma deve essere supportata dagli enti locali, dal terzo settore, persino dalle aziende che operano nel territorio, perché da sola non ce la fa.
Nel Patto di Comunità (PECO), approvato e finanziato dalla Regione Emilia Romagna nel basso ferrarese, sono coinvolti 9 Comuni del territorio, 14 scuole di ogni livello, compresi gli enti di formazione professionale, alcuni servizi sociali, una Asl e una quarantina di enti di Terzo Settore.
Analizzando il fenomeno dell’abbandono, sono state individuate soprattutto tre cause che lo generano: una scelta sbagliata dell’indirizzo di studi al momento del passaggio dalla scuola media inferiore alla scuola superiore (il passaggio più critico e l’età più critica), una proposta educativa inadeguata da parte delle scuole, una chiusura delle scuole rispetto al territorio circostante.
In risposta, è stato innanzi tutto ripensato l’orientamento, sul piano temporale e qualitativo, sottraendolo agli interventi un po’ improvvisati di fine scuola media e avviando un percorso che parte dal primo anno delle medie e viene affdato a specifiche figure a ciò preposte e appositamente formate.
Il problema della specializzazione e della formazione degli operatori è centrale nel PECO, così come è fondamentale la spinta affinché la scuola ripensi se stessa, a partire dalle modalità didattiche utilizzate dai docenti, che devono essere sempre più orientate alla personalizzazione dell’apprendimento e meno inclini a schematismi che, si pretende, vadano bene per tutti.
Quanto alla chiusura delle scuola al territorio, sono state individuati interventi finalizzati ad una apertura come i laboratori realizzati in spazi messi a disposizione dai Comuni o la sperimentazione di nuove forme di socialità. Anche in questo caso con il supporto di una specifica figura professionale, l’esperto di relazioni di comunità.
Il Patto educativo è lo strumento per eccellenza per il contrasto all’abbandono scolastico ma, per essere efficace, esso deve essere istituzionalizzato e deve definire con chiarezza il tipo di intervento di ogni ente, “chi fa cosa” dice Lolli, anche per assicurare la continuità.
Una condizione necessaria, questa, per assicurare la quale – avverte Lolli – non bisogna lasciare gli interventi sulla dispersione al solo volontariato che “per quanto coinvolto ed interessato, non può assicurare la continuità necessaria”. Ecco perché, prosegue, è necessario “istituzionalizzare” e la regia della nostra esperienza è stata affidata al sindaco del più rappresentativo dei Comuni coinvolti, “il sindaco deve rendersi conto della gravità dell’abbandono scolastico, così come deve monitorare la presenza delle buche nelle strade”.
Un esempio che ci parla, indirettamente, di una realtà molto lontana dalla nostra, di amministrazioni che amministrano davvero, che sono presenti nella soluzione dei problemi e chiamate a rendere conto del loro operato.
Una situazione ben diversa dalla nostra, in cui, se dovessimo aspettarci dagli enti locali la stessa attenzione che viene riservata al rattoppo delle buche nelle strade, non potremmo che ammettere di avere già perso la nostra battaglia.
C’è un altro elemento che distingue la nostra situazione da quella emiliana, ed è l’assenza di un contesto produttivo avanzato e diffuso.
E’ notevole che, davanti ad un’alta percentuale di abbandono scolastico, Lolli affermi che “il nostro sistema economico non se la può permettere” perché “le aziende cercano personale preparato” laddove l’abbandono alimenta la disoccupazione. Da qui la necessità di coinvolgere nel progetto il mondo produttivo e la funzione che, dentro il progetto, svolgono le realtà imprenditoriali (presso le quali il PECO ha formato dei tutor aziendali) che hanno nei confronti dei ragazzi un’importante funzione motivazionale. E’ chiaro infatti che la possibilità di trovare uno sbocco lavorativo soddisfacente può motivare un ragazzo e spingerlo a riprendere un percorso formativo interrotto, magari tarandolo meglio sulle proprie inclinazioni e sulle esigenze del mercato del lavoro.
In presenza di un panorama ben più povero dal punto di vista economico, per noi siciliani è difficile sfruttare il valore motivazionale delle prospettive di lavoro, anche se potrebbe essere opportuno avviare una più attenta mappatura della nostra realtà produttiva, per quanto frammentata, e provare a stabilire con essa forme di collaborazione
Altro elemento che differenzia la situazione meridionale è la presenza capillare della criminalità organizzata, ormai diffusa anche al Nord, che ci fa immediatamente associare la dispersione al rischio di devianza minorile.
Ciò nonostante, anche da noi qualcosa si muove. Portavoce di una esperienza già avviata nel catanese è stato Glauco La Martina della Cooperativa Prospettiva, che ha partecipato, sia pure con non poche difficoltà tecniche, alla diretta.
Ha raccontato l’esperienza di avvio di una ‘Comunità educante’ nel territorio di Catania Nord (San Giovanni Galermo, Barriera/Canalicchio, Trappeto, Nesima) in cui sono coinvolte 4 scuole (Petrarca, Vittorino da Feltre, Italo Calvino, Quasimodo-Di Guardo) e 9 enti di terzo settore tra cui Mani Tese Sicilia, Centro Astalli, Ri-mani, e naturalmente Cooperativa Prospetiva.
Una esperienza nata ai tempi del Covid, quando – all’interno della Cooperativa, attiva da trenta anni nel sostegno ai minori in difficoltà – si è deciso di intervenire a supporto dei ragazzi che non riuscivano a seguire le lezioni a distanza, per mancanza di un dispositivo adatto o di un collegamento internet o anche di un posto da cui poter seguire con attenzione le lezioni.
Consapevoli del rischio che questa situazione avrebbe esasperato la marginalità già vissuta da questi minori, gli operatori della Cooperativa hanno lanciato un appello alla città ottenendo una larga disponibilità e riuscendo a fornire ai ragazzi gli strumenti tecnici necessari e a garantire che fossero affiancati, anche nel rapporto di uno ad uno, dai volontari. In questo frangente è risultata essenziale anche la collaborazione con gli insegnanti e, naturalmente, con le famiglie.
Quello che si sta cercando di fare con la Comunità “Costruire Educando” è proseguire questa esperienza, rafforzandola ulteriormente, sottraendola alla discontinuità dei ‘progetti’ e quindi strutturandola in modo da “definire un modello di intervento sul territorio”, come spiega La Martina.
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