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Centuripe, l'archeologia e l'estetica dell'imbroglio

“Sono usciti tesori di superba terracotta, vasi di bronzo e di gemme del IV sec. a. C. dispersi ovunque e in minima parte assicurati ai musei nazionali dell’isola ; ed è con vero rammarico che ho dovuto sin qui trascurare quel ragguardevole centro archeologico della decadente civiltà ellenica causa l’angustia dei nostri bilanci …”, così, nel 1901, scriveva l’archeologo Paolo Orsi del depredamento incontrollato del suolo centuripino

Quel ragguardevole centro archeologico era, infatti, Centuripe, un paesino dell’ennese, definito da Orsi “archeologicamente ricchissimo” che ebbe un periodo di grande splendore durante l’Impero Romano.

A distanza di un secolo le affermazioni dell’archeologo sono confermate dal gran numero di reperti archeologici disseminati nei musei di Parigi, Berlino, Londra, New York, Catania, Siracusa, Palermo, Trapani, Napoli, Roma, Milano. Senza omettere “il depredamento” di cui fu vittima il paese a causa delle attività di scavo, frenetiche e illegali, sviluppatesi nell’800 e nel ‘900 ad opera dei tombaroli, e delle attività dei falsari.

A tal proposito come non ricordare Antonino Biondi (1887/1961) “il capostipite dei falsari” di Centuripe, un personaggio molto apprezzato nell’ambiente accademico del tempo per il contributo dato alle scoperte archeologiche del sottosuolo centuripino. Egli era in contatto con molti luminari, antiquari, mecenati professori dell’epoca che ne difesero di frequente le “patacche”, tra cui 7 tondi fittili policromi, datati al III sec. a.C. dall’archeologo Giulio Emanuele Rizzo, regalati al duce nel 1939 e poi affidati al Museo di Napoli.

Carlo Albizzati, esperto di arte greco-romana, avanzò presto delle riserve sull’autenticità dei tondi ingaggiando una disputa con Rizzo, conclusasi con una querela.

Antonino Biondi, definito un genio della truffa, continuava intanto il suo lavoro di tombarolo, restauratore, falsario, ricettatore, mentre i suoi falsi, considerati autentici, andavano ad arricchire collezioni pubbliche e private.

Solo in tempi recenti, nei primi anni del 2000, un gruppo di ricercatori dell’Università di Catania, che studiavano alcuni reperti del museo archeologico e la collezione archeologica di Guido Libertini (rettore dell’Università di Catania), ritrovarono, tra i carteggi degli anni ’30, il taccuino di lavoro di Antonino Biondi con una serie di schizzi tratti da uno scavo abusivo insieme ad alcune matrici con le quali realizzava statuine in terracotta.

Giacomo Biondi (puro caso di omonimia), archeologo dell’Ibam (Istituto per i beni archeologici e monumentali) dell’Università di Catania, è riuscito, grazie alle moderne tecniche di analisi a scoprire le falsificazioni.

“Un’estetica dell’imbroglio“, afferma Giacomo Biondi, eppure molti ci sono caduti. Per esempio la testa del Sileno, il cui originale si trova al museo di Siracusa, mentre quella di Centuripe è solo una copia. Ma in giro per il mondo, per esempio al Metropolitan di Paul Getty di Malibù, sono conservate statuine di provenienza asiatica molto simili agli schizzi del famoso taccuino. “Ci vorrà molto tempo per analizzare tutti i reperti di più che dubbia autenticità”, conclude l’archeologo Biondi.

Oggi sono rimasti a Centuripe quegli artigiani che hanno conservato ed ereditato le tecniche di lavorazione per anticare pezzi e farli apparire autentici dando vita ai cosiddetti “falsi d’autore” che riproducono vasi centuripini, statuette fittili, monili, tutti certificati .

Centuripe è dotata di un museo archeologico ad hoc, i cui lavori avviati nel lontano 1954 si sono conclusi con l’inaugurazione nel 2000. Espone i reperti archeologici della romanità in Sicilia, reperti recuperati sia dal vecchio museo civico del paese sia dagli scavi condotti a partire dal 1968 dalla Soprintendenza per i beni culturali. Un gran numero di materiali resta tuttavia al museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa.

Uno di questi è tornato a casa il 28 agosto 2021, dopo circa 80 anni dalla data del suo ritrovamento: si tratta della testa marmorea di Cesare Ottaviano Augusto, uno dei più bei ritratti del primo imperatore, scolpito sullo stesso modello di quello della statua di Augusto rinvenuta nella villa della moglie Livia a Prima Porta, oggi custodita nei Musei Vaticani.

Il 30 aprile 1938, nel pieno delle celebrazioni del bimillenario augusteo a Centuripe, uno degli operai intenti a scavare per la fondazione di 4 piloni destinati a sorreggere un tratto di strada sovrastante l’area archeologica, fuggì atterrito alla vista di un volto cereo affiorante dal terreno, scambiato per un cadavere. L’opera emerse proprio in questa città che Ottaviano, duemila anni prima, aveva dotato di nuovi edifici e riconosciuta come città franca, quindi senza obbligo di pagamento delle tasse, per ricambiare l’aiuto offertogli durante la campagna contro Sesto Pompeo in Sicilia (39-36 a. C.).

Dopo il suo ritrovamento, nonostante la decisa opposizione dei centuripini, il busto fu portato al museo Paolo Orsi di Siracusa. Là rimase nei depositi per lungo tempo facendo qualche sortita nei musei di Berlino, Spoleto, Roma e anche a Centuripe, solo per tre mesi. Dopo lunga trattativa si arrivò ad un accordo con la Sovrintendenza di Siracusa secondo il quale la testa di Augusto sarebbe rimasta nel Museo Paolo Orsi fino al totale completamento del museo in costruzione a Centuripe .

Anche se con tempi biblici la testa è rientrata a Centuripe grazie ad una inedita collaborazione fra le amministrazioni interessate e rimarrà in esposizione nel museo per cinque anni, dando vita ad una sezione del Paolo Orsi nel museo di Centuripe.

Così il museo di Siracusa diventerà un museo “diffuso”, un progetto inedito in Italia, fatta eccezione per gli Uffizi Diffusi, un’idea sviluppata dal direttore delle Galleria degli Uffizi Antonio Natoli e portata avanti da Eike Schmidt attuale direttore.

Argo

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