Sul ritorno alla politica attiva di Totò Cuffaro, festeggiato con entusiasmo dal quotidiano locale, diamo spazio ad un intervento di Antonio Fisichella.
Le persone normali nel caso di un lieto evento capitato ad un conoscente inviano un biglietto d’auguri, magari accompagnato da una telefonata. Invece, sul quotidiano La Sicilia si fanno le cose in grande stile, festeggiando sulla prima pagina, quella nazionale, la figlia di Totò Cuffaro diventata magistrato
Anzi si festeggia “il doppio lieto fine dei Cuffaro”: nello stesso giorno in cui la figlia diventa magistrato, il padre riporta nel parlamento siciliano la D.C. Il cronista è così partecipe delle gioie della famiglia Cuffaro da non poter trattenere il proprio entusiasmo, lanciandosi in una appassionata riabilitazione a tutto tondo del politico di Raffadali, giurando e spergiurando che ormai l’ex governatore è un uomo nuovo.
Il cronista garantisce lui in prima persona, per tutti noi: “Cuffaro ha pagato col carcere i suoi reati e ha riconosciuto i suoi errori morali”. Quindi discorso chiuso. Diventa del tutto normale, persino fisiologico che un condannato per gravissimi reati di mafia decida il sindaco di Palermo e contribuisca in maniera determinante all’elezione del presidente della regione.
Che il sistema politico siciliano e nazionale non trovi di meglio che riaprire le porte ad un condannato per mafia è un conto, che una buona parte della politica siciliana e del mondo imprenditoriale non voglia rompere con tali relazioni è un dato tanto tragico quanto scontato. Ma da qui a far passare il ritorno di Cuffaro (e dell’Utri) alla politica come una cosa normale ce ne corre.
Perché qui di normale non c’è nulla. E’ invece un’enorme patologia. Della vita democratica e per il futuro della nostra isola. L’esistenza della mafia per decenni e decenni è stata negata. Una negazione che serviva non solo a nascondere l’esistenza di una organizzazione criminale ma soprattutto ad occultare le sue relazioni con il mondo politico.
Quando queste relazioni, come nel caso di Cuffaro, non possono essere più negate, si minimizzano, si giustificano e sono addirittura cancellate con un semplice tratto di penna. Cuffaro va ripetendo di essersi pentito del proprio passato e di aver intrapreso una vita nuova D’altronde insondabile è il cuore umano e non spetta certo a noi scavare nell’animo di Cuffaro. Ce ne guardiamo bene. E’ materia degna di un romanzo alla Dostoevskij, magari di un nuovo Delitto e Castigo in salsa siciliana.
Ma la vita di un politico non si risolve nella propria coscienza. Un politico, per essere credibile è tenuto a compiere atti concreti, scelte chiare e inequivocabili. Da questo punto di vista, non si comprende in cosa consista la vita nuova dell’ex presidente della Regione se con i suoi amici di cordata continua ad infarcire le liste elettorali di uomini in odor di mafia.
Ancor meno ci si capacita di questo nuovo percorso esistenziale se accetta, senza proferir parola, la candidatura di un politico quantomeno discusso come Schifani, omaggiato da Totò Riina per la sua testa fina e attualmente sotto processo perché sospettato di aver fornito notizie riservate a Montante, mentre questi era inquisito.
E diventa poi particolarmente difficile da capire come un uomo così interiormente rinnovato possa sedersi al tavolo insieme a Marcello Dell’Utri, l’eminenza grigia di Arcore, uomo di riferimento della mafia pre e post corleonese, per decidere le sorti di Palermo e della Sicilia.
Più che ad un rinnovamento morale ed esistenziale sembra di assistere alla continuazione di vecchi e rovinosi percorsi, alla perpetuazione di quel sistema politico affaristico criminale che chiamiamo mafia. La folgorazione sulla via di Damasco di Totò Cuffaro sembra davvero assai lontana. Nonostante gli appassionati e imbarazzanti auguri a mezzo stampa di un giornale incapace di cambiare la sua vocazione di fondo: al fianco, sempre e comunque, dei potenti di turno.
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