Si chiama double standard ed indica il diverso comportamento che si tiene a seconda del contesto in cui si opera
Nel nostro caso si tratta del rispetto delle leggi che tutelano l’ambiente. Le grandi compagnie petrolifere, ad esempio, in Europa e nei paesi occidentali, rispettano accuratamente le severe leggi sullo smaltimento dei rifiuti, emesse a difesa dell’ambiente.
Nei paesi poveri le stesse compagnie sono molto meno scrupolose, non solo provano, spesso con successo, ad aggirare le leggi, ma arrivano al punto da sollecitarne alcune che siano convenienti per i loro interessi e dannose per l’ambiente.
Sul Corriere della Sera è apparsa, qualche giorno fa, una notizia che riguarda la Chevron, grossa società petrolifera statunitense, che ha ottenuto dal governo dell’Angola l’autorizzazione a scaricare nell’oceano, in fondali bassi e a poca distanza dalla riva, rifiuti petroliferi pericolosi, contenenti i cosiddetti “detriti di perforazione” delle piattaforme offshore.
Sversare sostanze tossiche in acque basse è particolarmente grave perché la concentrazione dei veleni è molto alta. Il petrolio, i metalli pesanti, i fanghi che vengono rilasciati in mare mettono a rischio la fauna marina e finiscono nel circuito alimentare, vale a dire nei nostri piatti.
In effetti, per evitare che ciò accadesse, nel 2014 il governo angolano aveva dato il via a una politica chiamata «zero discharge», discarica zero, ma già nel 2019 aveva concesso a vari operatori di scaricare in mare i frammenti di lavorazione, purchè in acque profonde e solo in caso di attività esplorative o di nuove concessioni.
Dal 3 maggio di quest’anno c’è stato un nuovo strappo alla legge ed è stato permesso alla Chevron lo sversamento anche in acque basse, una deroga a cui aspirano adesso anche Esso e Total.
La preoccupazione per la salvaguardia dell’ambiente, professata sempre a gran voce dai vari governi, non è abbastanza forte da contrastare gli interessi delle compagnie, che usano varie forme di pressione sui governanti, spesso corrotti, dei paesi più deboli, in molti casi dipendenti dall’aiuto straniero, nonostante le molte risorse presenti sul proprio territorio.
La provincia angolana di Cabinda, in cui si produce il 60% del petrolio del paese, è nota anche per le sue foreste tropicali e per la produzione di caffè, cioccolato e olio di palma. Eppure la gente che vi abita, come del resto il 54% di tutti gli angolani, vive in povertà.
E’ il dramma dell’Africa: le sue immense risorse arricchiscono le compagnie straniere che le sfruttano e i compiacenti ceti dirigenti locali alla ricerca di vantaggi personali.
Nè stupisce che alcuni leader africani che avevano avviato riforme sociali radicali, a vantaggio dei più, siano stati fortemente ostacolati e abbiano pagato con la vita il loro impegno disinteressato, come nel caso di Lumumba in Congo o Sankara in Burkina Faso.
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