L’Università di Catania, con il progetto di edificare due enormi aule didattiche sopra un parco archeologico, si è cacciata in un pasticcio. Piuttosto grosso, alquanto scandaloso e decisamente rivelatore.
Le cose sembrano essere andate così: qualcuno ha letto il titolo di una misura del Pnrr; qualcun altro si è ricordato di un progetto vecchio di trent’anni ma mai messo da parte, tanto da essere inserito – ancora nel dicembre 2021- nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche dell’Università di Catania; qualcun altro ancora è stato incaricato di proporlo tra i progetti finanziabili con i soldi del Pnrr.
Una vecchia e rodata catena di comando, cieca come la più ostinata delle burocrazie si è messa in moto e ha tirato fuori dagli archivi la più sbagliata delle idee. Per far cosa, per quale fine? Accaparrarsi un finanziamento del Pnrr, dare vita ad un appalto milionario, soddisfare qualche imprenditore, consentire il giubilo di vertici universitari che potranno cantare vittoria per aver ottenuto un cospicuo finanziamento.
E’ questo in soldoni il pasticciaccio brutto dell’area archeologica della Purità. Tutto tremendamente già visto, tutto irrimediabilmente vecchio. Quello all’opera sulla straziante bellezza della collina di Montevergine è un ateneo che ha rinunciato a se stesso, intento ad alimentare un vecchio e disastroso ciclo del cemento, prigioniero di processi decisionali autoreferenziali, incapace di aprire un confronto con i bisogni autentici di un rione che di tutto ha bisogno tranne che una nuova colata di cemento su un’area archeologica che potrebbe rappresentare una risorsa verde, un luogo di aggregazione, un’occasione di nuova vivibilità e di fruizione turistica di alto livello.
Ma ciò che colpisce in questa vicenda è soprattutto il silenzio: non un sussurro, né tantomeno una voce si è levata da Unict. Mentre cittadini e associazioni manifestavano in maniera civilissima, l’università si è sottratta a qualsiasi confronto.
Eppure sono stati eminenti studiosi dell’ateneo catanese ad insegnarci che la democrazia vive nel discorso pubblico e si sostanzia in un processo decisionale aperto e partecipato.
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C’è solo un modo per uscire da questa impasse: strappare quel brutto progetto, metterlo definitivamente da parte, aprirsi ad un confronto autentico con i cittadini, il Comitato Antico Corso, le associazioni che ogni giorno operano in quell’area della città e che rappresentano un enorme patrimonio civile e culturale.
Egregio Rettore ci dia retta. Rompa con le incrostazioni del passato, si confronti senza riserve, investa le risorse del Pnrr in progetti di ricucitura urbanistica e sociale di un quartiere millenario in cui l’università è solo un ospite. E’ tempo di cambiare rotta. Forse in questo modo potremmo trasformare un errore madornale in una opportunità. Per l’Antico Corso e la città tutta.
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L’Ateneo catanese ama la corsa del gambero invece che il salto della gazzella ?
Non faccia ridere il mondo accademico, per favore, ed abbia rispetto per il bello che qualcuno ha creato secoli prima.