Parole come macigni, quelle di Antonio Fisichella sul modo in cui il quotidiano cittadino riporta la notizia della condanna dell’imprenditore Virlinzi e del giudice che lo avrebbe favorito
Provate a parlare del giornale La Sicilia a qualcuno dei vostri amici o anche ad un semplice conoscente. Qualcuno vi dirà di non averlo mai comprato, altri di non averlo mai letto, altri si disimpegneranno dicendo che “si, uno sguardo bisogna darlo se si vive a Catania”.
Ma tutti, lettori e non, vi guarderanno con un’aria di compassione mista a curiosità. La curiosità distratta che si dedica a coloro che si occupano di cose strane e fuori dal tempo, quasi si avesse di fronte un archeologo impegnato in qualche scavo millenario.
Sguardi e parole dei vostri interlocutori finiranno con il convergere in un punto: “La Sicilia? Ormai…” Seguirà una pausa di silenzio che dice più di mille parole. Più o meno queste: “La Sicilia non la legge più nessuno. E’ finita. Mario Ciancio ha novant’anni e quel giornale e quell’uomo appartengono al passato”. Giornale ed editore-imprenditore, sono pensati come dei sopravvissuti. Insomma, La Sicilia non conta più niente.
Ma il processo Ciancio va al di là dell’aspetto penale su cui è chiamata a decidere una corte di giustizia. La sua importanza consiste nel fatto di rappresentare una vera e propria miniera di informazioni, di conoscenze, di autentiche rivelazioni sulle nostre classi dirigenti e le cointeressenze che le legano al mondo mafioso.
E’ in atto una enorme rimozione, come se la città, anche nelle sue parti più sane, facesse fatica a confrontarsi con il suo passato. Rinunciando in questo modo a fare i conti con il presente. Ma quel passato, se non viene disvelato, non passa.
E La Sicilia, nonostante il suo drastico ridimensionamento, una funzione continua a svolgerla. Importante e preziosa: insostituibile canale di comunicazione delle classi dirigenti, politiche e non; principale garante del loro potere, delle loro relazioni e della loro impunità.
Un esempio ? E’ proprio di queste ore. Chiaro come il sole. Qualche giorno fa Giuseppe Virlinzi, rappresentante di una delle più importanti dinastie imprenditoriali della città, è stato condannato, in primo grado, a sei anni di reclusione per corruzione. Condannato alla stessa pena anche l’ex giudice tributario Filippo Impallomeni, per aver favorito Virlinzi nei contenziosi con l’Agenzia delle entrate per oltre 800 mila euro, cioè per avergli evitato di pagare tasse dovute.
Lo ripetiamo: la sentenza è di primo grado e fino a quando non si arriverà a sentenza definitiva, giudice ed imprenditore sono da ritenersi innocenti. Ma la notizia è enorme. Un grande imprenditore e un giudice potente vanno a braccetto e, allo stato attuale di fatti, si scambiavano favori a discapito della comunità.
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Meriterebbe spazio, inchiostro e colonne di giornale. Ma La Sicilia sistema tutto con un succinto trafiletto nella cronaca cittadina, poco più di 50 striminzite righe. La metà delle quali dedicata alla rivendicazione di innocenza della difesa. Poche e misurate parole che però sono il concentrato di una inossidabile partigianeria a favore dei potenti.
La sensazione del lettore è che si sia dinanzi ad un imprenditore qualsiasi, incappato in un banale incidente, se non in un errore giudiziario cui la sentenza di un nuovo tribunale porrà sicuramente riparo. L’edizione on line del giornale appare ancora più “riservata” della gemella su carta: nel titolo del trafiletto non appare nemmeno il fatidico nome di Virlinzi.
Non poteva essere diversamente, i rapporti tra Ciancio e i Virlinzi sono fraterni, storiche le consorterie d’affari che hanno realizzato, generosamente ripagate dalle pubbliche amministrazioni locali. Ma al di là di questo singolo caso le pagine de La Sicilia sono, ieri come oggi, un porto franco, un inossidabile spazio di impunità delle elite cittadine e del loro buon nome.
Sbaglia chi volge lo sguardo da un’altra parte e non si avvede come lo spazio pubblico della città continui ad essere ostruito e avvelenato. Oggi al pari di ieri. E invece su questo tema occorre dare ancora battaglia. A partire dal processo Ciancio per sottrarlo ad un vergognoso e intollerabile silenzio.
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Filippo Impallomeni non è un giudice. Non è mai stato un giudice. Al più avrà fatto parte del collegio dei decisori tributaristi. Non è , nè è stato mai un TOGATO. Prima era dirigente all'Ufficio Imposte o qualcosa del genere. Non ritengo producente che anche con le gravi inesattezze si infanghi il corpo dei magistrati togati. Sono uomini e quindi una certa percentuale di loro non è immacolata e al di sopra di ogni sospetto. Ma in misura molto ma molto minore di quanto non si riscontri in altre istituzioni pubbliche.
In merito al commento di sopra, non mi pare che si stesse dubitando della rettitudine della magistratura!
Ma qual è la grave accusa alla magistratura?
non mi pare che ci stanno queste gravi inesattezze... l'articolo non parla di magistrati... che poi i magistrati non siano immacolati siamo d'accordo... che lo siano meno di altri ne possiamo discutere...
vabbuò, non è togato, sempre giudice è. non era questo il punto. Qua si parla d una città che sta cadendo a pezzi, non di quanto sono buoni e puri i TOGATI
Per un mero refuso alla parola giudice manca l'aggettivo tributario. Che aggiungiamo subito. Come tale Impallomeni non appartiene all'ordine giudiziario, nè l'articolo voleva indurre una qualsiasi confusione. Tuttavia tutte le cronache definiscono, senza per questo mettere in discussione l'onore della magistratura, Impallomeni come giudice. Perchè chiamato a giudicare i contenziosi tributari.
E l'articolo tutto volevo essere che un attacco al prestigio dei magistrati. Il fuoco dell'articolo è del tutto diverso.
In ogni caso la non appartenenza di Impallomeni all'ordine giudiziario non rende la vicenda meno grave. Comunque, Impallomeni è stato l'ex presidente dell'ottava sezione della locale commissione provinciale.
Il vantaggio del cognome è il fatto che non rubano marmitte catalitiche
Sì, giusto, condivido!
Una chiara a azione di tentativo di ridimensionamento della notizia.
La storia delle strutture informativa nella nostra area, a partire dalla fine del fascismo, è ben chiara a tutti i lettori di questo sito.
Bisogna pur dire, necessariamente, che è stato importante per questo strumento divulgatore di notizie (...certo tutti risentono abbondantemente del calo delle vendite cartacee) svolgere la sua parte, con tutti i supporti rappresentativi dei ceti borghesi “operosi” che agiscono, comandano e raggranellano lauto soldo.
Tant’è, la città principale è più reietta di cinquant'anni addietro.
C’è stato un tempi in cui si è sperato dell’ “insorgenza rivoluzionaria” di un quotidiano nazionale che nella sua azione quotidiana inserisse la parte regionale( siciliana) ……...è finita come è finita.
A ciascuno il suo giudizio!
Però, come tutte le cose, c’è sempre l’altra faccia della “medaglia”.
Per il quotidiano richiamato, ad una giornalista ( oggi in pensione), è stato dato sempre ampio margine d’uso della libera informazione.
Molto tematiche e racconti di eventi, care/i alla gran parte dei frequentatori di questo significativo sito informativo, sul piano partecipativo, civico e democratico, nel corso di tanti anni sono state affrontate e pubblicate.
Cero, può essere la “ contraddizione dell’essere”, sempre presente in tutte le vicende umane.
A ciascuno il suo responso!