Unesco alla siciliana

“A cosa serve vantare il primato di essere la regione con il maggior numero di siti Unesco, dodici, 7 del patrimonio materiale, 3 di quello immateriale, 2 Geoparks, se poi non siamo in grado di tutelarli, valorizzarli, conservarli?”.

E’ questo lo sfogo di Silvia Mazza storica dell’arte e giornalista alla presentazione del dossier di Legambiente Sicilia, dal titolo ironico e provocatorio “Unesco alla siciliana. I siti in sofferenza della bella Sicilia”, avvenuta a Nicolosi il 7 maggio scorso, con la moderazione di Giacomo Milazzo del Circolo Etneo di Legambiente.

Il Dossier giunto alla terza edizione si presenta come un cahier de doléances, nel quale vengono elencate tutte le carenze e i ritardi nella gestione dei siti, ma vengono nello stesso tempo avanzate, caso per caso, proposte e soluzioni possibili.

E’ stato un lavoro necessario, prosegue Silvia Mazza, quello fatto da Legambiente, e – al di là delle criticità evidenziate – è emersa la scarsa consapevolezza, da parte della comunità, che il bene che si possiede è patrimonio dell’Umanità prima che della collettività locale. Maggiore è, dunque, la responsabilità.

Ad aggravare questa condizione è la carenza di coordinamento delle strutture preposte alla gestione dei siti, lo scollegamento dei siti WHL rispetto al territorio, l’assenza di una visione di insieme e di lungo respiro. A proposito si possono citare alcuni esempi: i visitatori del parco archeologico di Agrigento sono costretti a percorrere a piedi un tratto di strada molto trafficato, a loro rischio e pericolo; il patrimonio universale diventa talora bene riservato a qualche evento mondano; per non parlare delle demolizioni dei 650 immobili abusivi che procedono molto a rilento.

L’obiettivo delle amministrazioni che ambiscono ad ottenere il riconoscimento Unesco è quello di ridurlo a mero fattore attrattivo per il turismo. Ma di quale turismo? si chiede ancora Silvia Mazza, forse quello insostenibile del mordi e fuggi che prevale nell’area del rifugio Sapienza sull’Etna, soggetto giornalmente all’invasione di migliaia di autoveicoli che affollano i posteggi?

“Il riconoscimento è un punto di partenza e non di arrivo” raccomanda Paola Di Vita, responsabile Beni Culturali di Legambiente Sicilia. Ottenuto il bollino le amministrazioni devono tutelare e governare il patrimonio mettendo al centro le comunità locali che, riappropriandosi del senso del proprio territorio, devono lavorare in sinergia con le amministrazioni .

Purtroppo il grado di consapevolezza delle comunità è molto scarso e lo testimoniano la ‘munnizza’ e le microdiscariche abusive disseminate sull’Etna, che non sono certo un buon biglietto da visita per chi si avvicina al Parco.

A parlare del vulcano è Gianfranco Zanna presidente Legambiente Sicilia, il quale ripercorre le tappe del riconoscimento dell’Etna Patrimonio Unesco nel 2013. Perché la procedura per la candidatura possa essere portata avanti, il sito in questione deve essere iscritto in una lista, che il governo nazionale aggiorna annualmente, depositata a Parigi nella sede mondiale dell’Unesco. Nel 2010 L’Etna non si trovava in quella lista! Furono gli sforzi congiunti di Legambiente, del direttore del Parco, del sovrintendente di Catania e del rappresentante dell’Unesco ad avviare l’iter di iscrizione arrivando, celermente, al riconoscimento nel 2013 .

“Il riconoscimento non è un traguardo” ribadisce Zanna. Accade anzi che, quando lo si ottiene, crescano smisuratamente molti appetiti. Per esempio sul porto di Siracusa (riconosciuto sito Unesco nel 2005) c’è un progetto per la creazione di due porti turistici per l’attracco di imbarcazioni Ma il vero interesse non sono i posti barca ma quello che si dovrebbe realizzare a terra, anche laddove la terra non c’è, strappandola al mare per ricoprirla di bar, ristoranti, alberghi.

La tutela di questi siti è così importante che, laddove noi non riusciamo a garantirla, ecco che provvedono altri. E’ questo il caso dei pantani di Cuba e Longarini che sono stati acquistati nel 2014 dalla fondazione ambientalista tedesca “Stifung Pro Artenvielfalt”. Essi ricadono nei comuni di Pachino, Noto, Ispica e, insieme ad altri pantani della Sicilia Sud-Orientale, rappresentano uno dei più importanti sistemi di zone umide costiere dell’Europa meridionale.

La nuova proprietà li ha ripuliti e sistemati per assicurare un approdo alle tante specie migratorie di uccelli che, durante gli spostamenti dall’Africa al Nord Europa, utilizzano la rotta del Mediterraneo centrale come luogo di sosta e nidificazione.

Eppure la Regione Siciliana possiede tutti gli strumenti legislativi per operare e intervenire: nel lontano 1981 si è dotata di una legge per l’istituzione di parchi, riserve naturali e per la tutela del patrimonio artistico e naturale, ben dieci anni prima della legge quadro nazionale 394 del 1991. Inoltre ha istituito nel 2005 la Fondazione Unesco per la tutela e la valorizzazione del Patrimonio Unesco, che prevede, tra i suoi 10 obiettivi, proprio la redazione dei piani di gestione, la valorizzazione e promozione di beni di interesse ambientale e culturale, la tutela della natura.

Ma proprio sulla stesura dei piani di gestione e sull’individuazione degli enti gestori preposti all’attuazione di tale piano si consuma il fallimento della programmazione. “Programmazione, questa sconosciuta!!” dice Silvia Mazza.

Al di là delle carenze strutturali ci sono carenze sia gestionali sia di intercettazione di fondi. Un utile strumento di supporto per l’elaborazione del Piano di gestione, prosegue Silvia Mazza , potrebbe essere il manuale Managing Cultural World Heritage, di cui l’assessorato beni italiani patrimonio mondiale ha curato la traduzione.

A proposito dei fondi ogni anno il MIC (Ministero della Cultura) assegna finanziamenti ai beni iscritti al Patrimonio in base ad una legge del 2006. Tuttavia non sempre si riesce a intercettarli per incapacità, scarsa competenza, assenza di enti gestori. Oltre al MIC, altri fondi provengono dal Ministero della Transizione ecologica e dal Ministero del turismo.

Chi non stanzia fondi con cadenza regolare, nonostante detenga il maggior numero di siti Unesco, è la Regione Siciliana. In via straordinaria, per compensare gli effetti negativi derivati dalla perdita di incassi per la pandemia, nella Finanziaria 2020 ha previsto un trasferimento di 1.000.000,00 di euro del bilancio regionale, ripartiti sulla base degli ingressi dell’anno 2019. Un criterio discutibile, secondo Silvia Mazza, perché premia i big e lascia le briciole a siti che sono magari più virtuosi sul fronte della tutela e progettazione.

Argo

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