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Una persona alla volta, Gino Strada e le sue utopie

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La guerra è come un cancro. Va prevenuta e curata. La guerra non è una necessità, è una realtà. La guerra è l’uccisione volontaria di tanti esseri umani. Va eliminata l’ipotesi della guerra per risolvere i conflitti umani.

Queste alcune delle frasi lette da Lucia Sardo alla presentazione del libro di Gino Strada “Una persona alla volta” all’Aula Magna dell’Accademia delle Belle Arti a Catania.

E ancora: Utopia non è il nome dell’assurdo. È il nome di desideri che possono diventare realtà. Tanto è vero che, “fino a due secoli fa, c’era chi pensava che l’abolizione della schiavitù fosse una utopia… Sessant’anni fa, negli Stati Uniti era una utopia l’idea di cancellare la segregazione razziale, o anche solo pensare di candidare un sindaco nero. In quarantaquattro anni, l’impensabile è diventato possibile e un uomo di pelle nera è stato eletto presidente, acclamato da elettori neri e bianchi insieme”.

Questo libro, i cui proventi sostengono Emergency, “racconta l’emozione e il dolore, la fatica e l’amore di una grande avventura di vita, che ha portato Gino Strada a conoscere i conflitti dalla parte delle vittime e che è diventata di per se stessa una provocazione. In ognuna di queste pagine risuona una domanda radicale e profondamente politica, che chiede l’abolizione della guerra e il diritto universale alla salute

A proposito della sua esperienza in Afghanistan negli anni 80, Strada scrive “Nessun soldato, specie in una zona di guerra, raccoglierebbe da terra un oggetto di plastica verde che pare un giocattolo. Saprebbe riconoscere la mina antiuomo… Un bambino, invece, può essere attratto da una specie di farfallone di dieci centimetri, e lo prende in mano, lo guarda, cerca di capire a cosa serva, lo maneggia… La farfalla non scoppia. O almeno non subito: c’è tempo per giocarci, magari per passarla a un amico lì vicino. Spesso arrivavano in Ospedale tre, quattro amici insieme, vittime tutte della stressa esplosione vigliacca… Tutto ciò è disumano, mostruoso, mi dicevo, e ho cercato di non crederci… L’Unione Sovietica che produce e usa armi fatte apposta per mutilare i bambini? Non è possibile, avevo pensato, sarà la solita propaganda filoamericana. Poi me ne portarono uno in ospedale… Così quel bambino divenne per me il vero volto della guerra, il volto di una delle sue tante vittime. Volute, cercate e selezionate. Dunque era vero, nessuna propaganda”.

Intervistata dal giornalista di Repubblica Alessandro Puglia, la volontaria di Emergency Agata Scordino ha dato voce al progetto di Gino Strada.

“Ci siamo per non esserci. Vorremmo non esserci. È per questo che si punta alla formazione del personale locale, per renderlo autosufficiente”.
Quello che si intende garantire – prosegue – è il diritto di vivere, senza una medicina di serie A ed una di serie B. Ecco perché gli ospedali realizzati vogliamo che siano “esattamente come quello che sarebbe stato costruito a casa nostra e dove porteresti anche tuo figlio: ospedali scandalosamente belli per favorire la dignità umana”. Unico obbligo per i Paesi dove vengono costruiti è che si deve permettere l’accesso a chiunque, anche a chi è nemico.

Questo libro non vuole essere una autobiografia, ma in questo libro si legge quello che Gino Strada ha “capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro”.

Diventa di fatto anche una autobiografia, perché ci dice della sua scelta di fare il medico, della sua famiglia, di zia Gianna, di Simonetta, degli anni universitari, di Teresa, di Cecilia.

A Simonetta Gola viene espresso un ‘grazie’ particolare per avere reso possibile la pubblicazione di questo libro: l’Incompiuto.

È sua la postfazione: “Qualcuno lo dipingeva come un uomo immolato alla causa, un martire, ma non c’è niente di più lontano da Gino dell’idea del sacrificio. Non aveva nessun moralismo. Faceva quello che riteneva giusto, gli piaceva farlo, ci si dedicava anima e corpo e allo stesso tempo sapeva godere delle cose belle che la vita offre. Era appassionato, divertente, con una grande ironia, la voglia di inventare mille cose fino all’ultimo respiro”

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